Prosegue fino al 5 marzo 2023
la mostra
HAZE
Contemporary Art From South Asia
a cura di HH Art Spaces e Mario D’Souza
Uno sguardo inedito sul panorama artistico contemporaneo dell’Asia meridionale attraverso le opere di 21 artisti attivi tra India, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka.
Fondazione Elpis
via Orti 25, Milano
da giovedì a domenica, h 12-19
www.fondazioneelpis.org
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Fondazione Elpis, HAZE. Contemporary Art From South Asia, installation view. Ph. Shivani Gupta
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Fondazione Elpis presenta fino al 5 marzo 2023 la mostra collettiva HAZE. Contemporary Art From South Asia, a cura di HH Art Spaces e Mario D’Souza.
Progetto ambizioso, pensato appositamente per i nuovi spazi espositivi di Fondazione Elpis in via Orti 25 a Milano, HAZE vuole offrire uno sguardo inedito sull’arte contemporanea dell’Asia meridionale e raccontare il ruolo delle arti visive nella narrazione di una crisi globale che investe diversi livelli: ecologico, politico e socio-culturale.
La mostra presenta pratiche consolidate ed emergenti di 21 artisti di diverse generazioni attivi tra India, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka, spaziando tra pittura, scultura, disegno, fotografia, performance e installazioni site specific.
HAZE riunisce una selezione di opere inedite e produzioni recenti di: Bani Abidi (1971, Pakistan), Nikhil Chopra (1974, India), Avian D’Souza (1992, India), Madhu Das (1987, India), Kedar Dhondu (1981, India), Pranay Dutta (1993, India), Madhavi Gore (1976, India), Shivani Gupta (1984, India), Yasmin Jahan Nupur (1979, Bangladesh), Munir Kabani (1976, India), Romain Loustau (1982, Francia), Sahil Naik (1991, India), Soumitrimayee Paital (1986, India), Amol Patil (1987, India), Pala Pothupitiye (1972, Sri Lanka), Fazal Rizvi (1987, Pakistan), Joydeb Roaja (1973, Bangladesh), Lala Rukh (1948-2017, Pakistan), Vineha Sharma (1975, India), Divyesh Undaviya (1994, India), Diptej Vernekar (1991, India).
Sottolineando il dinamismo della scena artistica dell’Asia meridionale, la mostra esplora diversi approcci alla contemporaneità, presentando narrazioni e riflessioni che abbracciano un’ampia gamma di tematiche: dalle condizioni e i diritti dei lavoratori in un’era di migrazioni globali, alle questioni di genere, dall’eredità post-coloniale all’espropriazione delle terre indigene, dalla libertà d’espressione alla situazione politica fino alla sopravvivenza e metamorfosi delle tradizioni e dei rituali.
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Divyesh Undaviya, Greys Are to Be Listened; Are to Be Felt, 2022, carbone su legno, cintura di cotone, abbigliamento, tenditore a cricchetto, 221 x 221 x 30.5 cm. Courtesy the artist. Ph. Noemi Ardesi
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A curare la mostra insieme a Mario D’Souza è HH Art Spaces, un collettivo di artisti e curatori con sede a Goa, in India, del quale fanno parte alcuni autori presenti in mostra. Avviato nell’ottobre 2014 da Nikhil Chopra, Madhavi Gore e Romain Loustau, ai quali si sono aggiunti nel tempo Shivani Gupta e Shaira Sequeira Shetty, HH Art Spaces promuove workshop, mostre, eventi e residenze d’artista con un’attenzione particolare alle arti dal vivo e la performance.
Per questo progetto espositivo il collettivo ha voluto illustrare attraverso la voce degli artisti quella di un intero subcontinente: “L’ascesa del nazionalismo e la sua politica maggioritaria in India; una crisi economica e le conseguenti instabilità politiche in Pakistan e Sri Lanka; le repressioni autoritarie della libertà di parola con arresti di critici e giornalisti che dilagano sempre più incontrollati: i muri che ci separano come persone sono sempre più spessi. Odio e paura sono gli strumenti utilizzati per depotenziare le minoranze. Attraverso questi aspetti la mostra si propone di presentare un’intera regione attraverso la porosità e la possibilità di storie e leggende, di ciò che rimane vivo ancora oggi e di ciò che si è perso per sempre, in un tempo segnato da polarizzazioni, politiche violente e maggioritarismo”.
Attraverso il linguaggio dell’arte, HAZE vuole quindi offrire una prospettiva sulle polarità, le contraddizioni e i dualismi che caratterizzano i quattro paesi d’origine degli artisti, provando a mettere a fuoco tematiche e narrazioni che appaiono avvolte da una ‘foschia’, che è nebbia, fumo, smog, tossicità, magia: un ignoto che inghiotte la distanza per ricordare la fragilità dell’oggi, dell’immediato, e insieme un’opportunità per evocare nuove visioni e sviluppare un’acuta consapevolezza sul presente.
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Nikhil Chopra e Romain Loustau, The rock needs no water and the island never cries, after a song by Paul Simon and Art Garfunkel, 2022, installazione site specific, tela, carboncino, gesso, porcellana, traccia sonora. Courtesy the artists. Ph. Noemi Ardesi
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Diptej Vernekar, Spiritual Machine, 2022, cera, rame, catena, tavolo in legno, dimensioni variabili. Courtesy the artist. Ph. Noemi Ardesi
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IL PERCORSO ESPOSITIVO
“Una nebbia avvolge la regione”. Con questa immagine si apre nei nuovi spazi della Fondazione Elpis a Milano la mostra collettiva HAZE. Contemporary Art From South Asia.
Nebbia e regione sono le due parole chiave che ritmano la narrazione espositiva. Da un lato, la nebbia è il filo rosso che accomuna le opere esposte, declinato secondo diversi livelli di lettura e di interpretazione: foschia, smog, fumo, bruma, tossicità e magia, un velo che avvolge il presente rendendone incerti i contorni. Dall’altro, la regione è il campo di indagine del progetto espositivo, che tenta di restituire uno spaccato della scena artistica contemporanea di quattro paesi del subcontinente indiano – India, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka – dai quali provengono gli artisti in mostra.
Il percorso espositivo inizia al piano terra, dove la nebbia è percepita come un fumo tossico che opprime la terra e la sua popolazione. È il fumo dell’inquinamento globale, che causa il riscaldamento di laghi e mari alterandone gli ecosistemi. Un tema affrontato per esempio da Sahil Naik con l’opera All Is Water and To Water We Must Return, una storia di resistenza e resilienza naturale e umana che narra la vicenda drammatica e poetica del paese di Curdi, nella regione di Goa, sommerso dall’acqua in seguito alla costruzione di una diga alla fine degli anni Sessanta. L’opera con la sua dinamicità replica il continuo emergere e prosciugarsi delle acque, che portano le case a riaffiorare periodicamente, nella bella stagione. Un momento celebrato con canti e rituali dagli abitanti originari, che possono tornare a occupare le loro case anche se solo temporaneamente.
E cosa succede quando la nostra percezione visiva è messa alla prova? Quando i nostri paradigmi di interpretazione vengono disorientati? Su questo giocano le gouache Untitled I e Untitled II di Madhavi Gore, in un astrattismo colorato che sfida i paradigmi formali. La percezione visiva è confusa anche nelle fotografie di Shivani Gupta, Of Rock and Apricot and Mountain Top, dove una roccia al centro di un prato può essere un’impronta, un fossile o una vestigia del passato, in fondo tutto dipende dal nostro occhio e dalla nostra fantasia.
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Kedar Dhondu, Trying Matter, 2018, acquerello e matita su carta,34.5 x 24.5 cm. Courtesy the artist
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Al primo piano la foschia investe la sfera dei confini geografici, che sfumano e si confondono gli uni negli altri, facendo emergere una riflessione sull’appartenenza a un territorio. Questo processo riguarda tanto le culture quanto le religioni e le stesse frontiere nazionali. Haze può infatti inglobare la terra, la sua definizione, la creazione dei confini, dando vita a situazioni indefinite e sospese.
Come la porosità di un sistema giudiziario ancora legato alle tradizioni del passato feudale, dove le dispute per la proprietà degli immobili sono ancora oggi attuali tra gli eredi dei proprietari terrieri e gli eredi di chi la terra la lavorava, come racconta Trying matter di Kedar Dhondu. Ma la foschia può anche essere la situazione di sospensione e di non definizione legale dei popoli indigeni che si trovano ai confini tra Bangladesh e Myanmar, apolidi nella loro terra a causa di continue repressioni ed espulsioni da parte di entrambi i paesi, come testimonia la serie di opere di Joydeb Roaza, intitolata Generation Wish Yielding Tress and Atomic Tree. Il tema dei confini ritorna nella serie Security Banners di Bani Abidi, un inventario delle barriere di sicurezza usate nella città di Karachi, e nelle cartografie Mannar Map di Pala Pothupitiye, nelle quali l’immagine rovesciata del sud-est asiatico mette in discussione l’identità dell’intera regione.
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Fondazione Elpis, HAZE. Contemporary Art From South Asia, installation view. Ph. Shivani Gupta
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Al piano interrato, Haze si trasforma in una foschia dove si incontrano tradizioni spirituali diverse e se ne creano di nuove. Di questo parla l’opera Spiritual Machine di Diptej Vernekar, un modo ironico per raccontare come a Goa, dall’unione coloniale di animismo e cattolicesimo, sia nato un sistema rituale basato sugli ex voto che a sua volta è diventato un vero e proprio mercato.
Un’immagine forte ci riporta poi alla crisi economica, politica e sociale derivata dalla pandemia del 2020. In quel periodo migliaia di persone, avendo perso il lavoro, sono state costrette a lasciare le città per tornare nelle campagne. Impossibilitati a viaggiare con i treni, gli abitanti hanno iniziato a camminare, creando infinite processioni di persone che hanno subìto ogni tipo di umiliazione, fra cui la disinfestazione forzata. Tra loro l’artista Soumitrimayee Paital, che a partire da quest’esperienza ha dipinto la serie Enemy at the Door che riflette sulle molteplici personalità che si nascondono dietro a un volto.
Apre e chiude la mostra il mare, o meglio l’Oceano Indiano, protagonista indiscusso della storia del subcontinente asiatico, dalla via della seta ai commerci della Compagnia delle Indie, dal colonialismo alla tratta degli schiavi. Dell’Oceano parla Beneath a steel sky di Pranay Dutta, un’installazione che confonde l’acqua con il cielo e le nuvole che vi si rispecchiano, in un continuo gioco di percezione che crea un parallelismo con le opere di Lala Rukh, che ha ritratto l’Oceano Indiano da più punti geografici, affascinata dall’idea dell’impossibilità di ritrarre un elemento in continuo movimento ed evoluzione. E nell’orizzonte del mare ritroviamo la foschia, nella quale la nostra percezione si perde aprendosi verso l’infinito.
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Lala Rukh, North Sea (A) & (Z), 1994, stampa su alluminio, 29.84 x 20.32 cm. Ph. Noemi Ardesi
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FONDAZIONE ELPIS
Costituita nel 2020 da Marina Nissim, imprenditrice e collezionista d’arte, Fondazione Elpis è una realtà dinamica, aperta alla diversità e al multiculturalismo. Un luogo di sperimentazione che ha al centro della sua mission il supporto ai giovani artisti. La Fondazione persegue i suoi scopi attraverso la realizzazione di mostre, residenze, attività educative e progetti diffusi su tutto il territorio nazionale. Con l’obiettivo di coinvolgere diverse fasce di pubblico ed esplorare aree geografiche al di fuori dei circuiti tradizionali dell’arte, Fondazione Elpis unisce mondi solo apparentemente distanti intercettando l’evolversi dei linguaggi espressivi.
Il 29 ottobre 2022 Fondazione Elpis apre in via Orti 25 a Milano la nuova sede e spazio espositivo, frutto di un accurato intervento di restauro e riqualificazione di una ex lavanderia industriale di fine Ottocento a cura di Giovanna Latis di Gio Latis STUDIO. Situata nel cuore di Porta Romana, la nuova sede è uno spazio dedicato a mostre e installazioni site specific, performance, incontri, reading e attività interdisciplinari rivolte a un pubblico allargato con l’obiettivo di promuovere visioni innovative, generare partecipazione, scambio e dialogo intorno ai temi dell’arte e supportare talenti emergenti della scena contemporanea, provenienti da culture e Paesi diversi, dando loro opportunità di crescita e di espressione.
L’apertura di una sede stabile scaturisce da un percorso che negli ultimi anni ha visto la Fondazione attivare collaborazioni e progetti su scala nazionale, consolidando attorno a sé una rete in evoluzione sempre più ampia e mettendo in atto nuovi modelli di partecipazione e fruizione culturale. Ne è un esempio Una Boccata d’Arte, il progetto d’arte contemporanea giunto alla sua terza edizione nel 2022, realizzato in collaborazione con Galleria Continua e con la partecipazione di Threes. Un’iniziativa diffusa in tutta Italia che ogni anno coinvolge 20 artisti nell’ideazione di installazioni visibili per l’intera estate in 20 borghi, uno per ognuna delle 20 regioni italiane.
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Fondazione Elpis, Milano. Ph. Nicolò Panzeri
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