L’ADL del 2 marzo 2023

L’Avvenire dei lavoratori

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2 marzo 2023 – trasmesso a 22mila utenti in italia, europa e nel mondo

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EDITORIALE

 

oggi Parliamo di Elly

 

di Andrea Ermano

 

Oggi intendiamo parlare di Elly Schlein, ma prima di arrivarci occorre toccare un paio di punti importanti. Per esempio: il Ciclone Gabrielle che ha colpito la Nuova Zelanda. Non se ne è saputo un granché. Ci siamo subito messi la coscienza a posto leggendo sui giornali che in fin dei conti si è trattato di poca cosa. Tant’è che Wikipedia in edizione italiana non ha finora dedicato nemmeno una riga a questo evento.

    Su Wikipedia portoghese si apprende che i morti sarebbero “solo” nove e i dispersi “solo” dieci, ma questi sono i numeri accertati, mentre si è rimasti “senza contatto” per quattromila novecento diciotto persone! Stiamo dicendo che su quasi cinquemila esseri umani non si hanno notizie dirette. In realtà è accaduto un immane disastro le cui proporzioni restano al momento incalcolabili.

    Per inciso, è in Nuova Zelanda che vive e lavora l’ing. Tiziana Stoto, curatrice del nostro blog (vai al sito). La quale di suo non mi aveva detto niente del ciclone. E alle mie insistenti domande ha risposto manifestando sorpresa per l’interesse: «Per noi è normale venire ignorati e tra l’altro la situazione della Nuova Zelanda è molto privilegiata rispetto al resto dell’Oceania», ha tagliato corto, tanto più che il Paese è stato nel frattempo lambito dal ciclone Judy ed è in procinto d’arrivare il ciclone Kevin. I danni maggiori di Judy sono stati registrati nella Repubblica di Vanuatu (come si può leggere cliccando qui). Ammiro lo stoicismo neozelandese, sospetto che il surriscaldamento climatico si farà sentire sempre più, e provo disagio verso il nostro mondo.

 

 

Ma bando ai lunghi discorsi. Chi vuole inviare un contributo di solidarietà è invitato a farlo tramite il sito della Croce Rossa.

 

Anche in Italia abbiamo registrato la morte di esseri umani uccisi dall’acqua, ma è stata una strage degli innocenti diversa dal maremoto neozelandese.

    Sull’ennesima carneficina di migranti nel Mediterraneo, alle viste della Calabria, sul mare di Cutro, in provincia di Crotone, si è acceso in Parlamento uno scontro politico di notevole momento.

    Il nuovo PD a guida Schlein (intervenuta ieri alla Camera) ha chiesto le dimissioni del ministro Piantedosi, in quanto costui aveva osato buttare la colpa del naufragio avvenuto nelle nostre acque territoriali non addosso a sé stesso, ma su chi è morto. Tra le vittime: donne e bambini in fuga dalla guerra e dal terremoto che in Siria e Turchia hanno provocato oltre 51.000 morti, più di 120.000 feriti nonché cinque milioni di sfollati. Una tragedia biblica. Ma il nostro ministro ha detto che nessuna disperazione giustifica quei genitori, rei di avere esposto i propri figli a tanto rischio (vedi il video).

    Quel che resta negli occhi è un’immagine con quattro file di bare e una di essa di colore bianco. Immagine atroce, giuntaci da Crotone, dove oggi si è recato il Presidente Sergio Mattarella.

    La richiesta di dimissioni del ministro dell’Interno da parte della neo-segretaria nazionale del PD è per noi giusta e motivata: Da Piantedosi parole indegne e disumane, si dimetta, ha dichiarato Elly Schlein. E però adesso – qui si parrà la sua nobilitate – non lo deve più mollare, quel ministro. A meno che egli non chieda pubblicamente scusa per il vertice di cinismo politico nel quale si è prodotto.

 

Ma veniamo a Elly Schlein. Di lei da queste colonne incominciò a raccontare Renzo Balmelli, con consumato fiuto giornalistico, nell’autunno scorso (vedi ADL 13/10/22): «A destra, se non hanno nessuno da demonizzare, dormono male e si svegliano imbronciati… Ora nel tritacarne è finita Elly Schlein, l’anti conformista per antonomasia e grintosa deputata del Pd che sull’altro fronte vedono come il fumo negli occhi», scriveva allora Balmelli. E diceva con chiarezza quel che, dopo la sconfitta, in molti già pensavano: bisognava puntare sulla Schlein, che con un caloroso “Io sono Elly” rivendicava «il suo orgoglio di essere di sinistra-sinistra, senza arretrare di un passo», così allora Balmelli sullADL dell’8/12/22.

 

Renzo Balmelli in una riunione al vecchio Coopi

 

Dieci settimane dopo, lo scenario appare assai diverso: moltissime persone appartenenti alla società civile (1.098.623) hanno partecipato al voto delle primarie democrat catapultando la Schlein alla guida del PD. Su tutto ciò Felice Besostri ci invia il seguente statement, che doverosamente riportiamo: «Ho votato per Elly perché nipotina del sen. Agostino, avvocato senese insigne, nipote di Mario, amico e compagno socialista come il padre e, infine, figlia della professoressa Maria Paola Viviani, anche lei come me allieva del prof. Paolo Biscaretti di Ruffìa, con cui ho condiviso i miei anni di ricerca e insegnamento universitari».

    Da questo lessico familiare d’alto profilo si vede come la neo-segretaria abbia vinto in volata perché – ben più del buon Bonaccini – poteva promettere un mix di “nuovo che avanza” ma anche di “establishment che resta”. E che ora Elly Schlein intenda pilotare la sinistra italiana in un’alleanza fra i “primi” e gli “ultimi”, lasciando ai propri competitori i ceti intermedi, sembra abbastanza plausibile.

    Osserva Michele Mezza su Terzo Giornale: «L’affermazione di Elly Schlein non autorizza di per sé a un’aspettativa di svolta strategica, ma sicuramente butta fuori dal ring le ombre di quel piccolo mondo antico che continuava a tenere in ostaggio memorie e rimpianti del glorioso passato, usandole come giustificazione per le proprie acrobazie governiste».

 

 

L’invasione del PD da parte di una società civile metropolitana, abbiente e ambiziosa, – conclude Mezza – mostrerebbe che l’epoca della governabilità per la governabilità è finita.

    Purtroppo, o per fortuna, la parola “fine” è difficile da maneggiare. Perché poi ogni nuova generazione detiene «sia il diritto che il dovere di ricercare, di continuare a esplorare, di individuare e sperimentare le soluzioni più appropriate alla propria crisi di governabilità», – come annota Pasquino nel suo articolo per la Treccani, – sicché sempre «la crisi di governabilità, pur con caratteristiche meno appariscenti e senza essere sotto la luce accecante dei riflettori, rimane con noi».

    Comunque sia, la “società civile metropolitana, abbiente e ambiziosa” (cioè la borghesia illuminata, si sarebbe detto una volta) desidera tornare a compiere certe scelte, dando per superata la emergenza insorta trent’anni or sono in seguito al grumo esplosivo di inflazione, disoccupazione, terrorismo, instabilità e inefficacia decisionale.

    Insomma, si vorrebbe poter ritornare alla famosa “Programmazione” del primo centro-sinistra, ma bisognerebbe comunque garantire un minimo di alleanze dei “primi” con gli “ultimi”.

    Cosa più facile a dirsi che non a farsi. Perché ai “primi” conviene disporre di una sufficiente base di consenso e agli “ultimi” conviene veder garantito un minimo di tutele sociali. Ma l’architettura di un così vasto compromesso sociale richiede un tessuto ben strutturato e capillare.

    Dove le vedete voi le strutture di questo tessuto, dopo trent’anni di desertificazione durante i quali sono stati sistematicamente minati gli edifici dei sindacati, dei partiti e financo dello Stato?

    La strada appare molto, ma molto in salita. E però ogni lunga marcia inizia dal primo passo. Quindi, avanti! E, per quel poco che vale, anche noi cammineremo, augurando a Elly Schlein buon lavoro.

 

         

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

ORA LA VERITÀ

 

di Ginevra Matiz 

 

I morti sono saliti a 67, nel mentre si cerca di ricostruire l’esatta dinamica dei fatti e cosa ha impedito ai soccorsi di muoversi in tempo. Nelle ultime ore stanno emergendo nuovi elementi. Il nodo principale riguarda le decisioni prese dalle autorità italiane fra la serata di sabato 25 febbraio e le prime ore di domenica 26. I giornali parlano di ritardi e di rimpalli di responsabilità e decisioni operative che potrebbero avere avuto un ruolo nel naufragio. Vanno avanti intanto i recuperi e lo straziante riconoscimento delle salme da parte dei parenti. La camera ardente è stata allestita al Palasport di Crotone dove sono state sistemate le bare delle 67 vittime accertate. I parenti delle vittime sono accompagnati alle bare dai volontari delle associazioni. Alla camera ardente è arrivato il procuratore di Crotone Giuseppe Capoccia.

 

Sul piano politico restano le polemiche forti e le richieste di dimissioni per il ministro degli Interni accusato di non aver agito per tempo e quindi di essere inadeguato al ruolo che ricopre. Un ministro che è rimasto saldo nel rispettare la dottrina Piantedosi: “La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”, così come ebbe a dire nelle ore seguenti il naufragio di Cutro.

Le parole del ministro Piantedosi sui migranti “sono apparse a tutta Italia indegne, disumane e inadeguate al ruolo ricoperto” ha detto la segretaria del Pd Schlein intervenendo in commissione Affari Costituzionali. “Le sue dichiarazioni – ha precisato – suggeriscono le sue dimissioni e una riflessione profonda per Giorgia Meloni”. “Sono rimasta molto colpita dalle sue parole di oggi. E non solo quelle di oggi: ricordiamo tutti che, dopo la strage, lei ha fatto dichiarazioni sul fatto che la disperazione non giustifica viaggi che mettono a repentaglio la vita dei figli”. “Noi vogliamo che si chiariscano dinamiche e responsabilità di quanto accaduto. Io non so se avete letto le parole del comandante Aloi della capitaneria di porto di Crotone che dice che c’erano le condizioni per salvare quelle persone. C’era mare forza 4 e non forza 8. Perchè non c’è stato l’intervento della Guardia Costiera per evitare la strage?”.

 

Il presidente del Consiglio Meloni si rivolge all’Europa in una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, alla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e al primo ministro di Svezia, paese titolare della presidenza Ue, Ulf Kristersson. “Il naufragio, avvenuto nei giorni scorsi a pochi metri dal litorale di Crotone, nel quale sono morte decine di persone e tra queste molti bambini, ha sconvolto tutti noi. Non si tratta purtroppo di un caso isolato. In Italia da molti anni ci ritroviamo a piangere tragedie come quelle di domenica scorsa nelle quali chi prova a raggiungere le nostre coste su imbarcazioni di fortuna perde la vita in mare. È nostro dovere, morale prima ancora che politico, fare di tutto per evitare che disgrazie come queste si ripetano”.

 

La tragedia di Cutro però non agita solo le richieste di risposte dell’opposizione ma anche le acque della maggioranza con Fratelli d’Italia che chiede chiarimenti al ministro degli Interni. Un modo per colpire indirettamente Salvini, sponsor politico di Piantedosi. Lo fa attraverso l’esponente di FdI Alberto Balboni che ha chiesto di chiarire “se ci sono state lacune nella catena di comando per un soccorso tempestivo. Noi lo dobbiamo sapere. Questa non è una richiesta che Fratelli d’Italia lascia all’opposizione. Se ci sono davvero delle responsabilità, noi siamo i primi a chiedere che sia fatta luce, perché non si può lasciare una nave piena di bambini in balìa delle onde”.

       

      

SPIGOLATURE

 

Ah, Se la guerra

fosse un romanzo

 

di Renzo Balmelli

 

DISSENSO. Se la guerra in Ucraina fosse un romanzo, la trama cambierebbe ogni giorno. Ognuno scriverebbe la sua cercando in tutti i modi di far valere la propria narrazione. In letteratura molte cose sono possibili, non ultima la capacità di riscrivere la sorte delle eroine più celebri. Anna Karenina si ribella al suo destino, Madame Bovary sfugge di mano a Flaubert. Nella realtà non è così che funziona. Sul terreno le cose cambiano e la barbara invasione della Russia e del suo autocrate non concedono svolazzi letterari. Enfatizzare la presunta minaccia dei droni di Kiev vicini al Cremlino è frutto di una collaudata tecnica propagandistica per ribaltare una storia la cui fine ancora non è stata scritta. A taluni ricorda l’impresa del tedesco Mathias Rust che nel l987 atterrò con un piccolo aereo da turismo sulla Piazza Rossa di Mosca. Per le difese sovietiche fu una beffa che fece scalpore e che lasciò un segno indelebile. Quei droni configurano le visioni inconciliabili di un conflitto feroce che getta nella confusione le autorità russe. Il Cremlino si riscopre vulnerabile, mentre cresce il dissenso dell’opinione pubblica che viaggia sotto traccia E non è un romanzo.

 

ABISSO. “È tempo di ritornare umani”. Nel leggere questa implorazione vergata con mano ferma su un foglio agitato dal vento lungo la spiaggia calabrese di Cutro, ci coglie un sentimento di dolore e di tristezza. Tutt’intorno le telecamere inquadrano scene che non si dovrebbero mai vedere. Le immagini che scorrono sullo schermo mentre, come direbbe Primo Levi, siamo seduti nelle nostre tiepide case, tolgono il respiro. Avvolti in un telo bambini, neonati, madri, padri ai quali la vita è stata rubata, giacciono sulla riva che fra qualche mese, colmo dell’ingiustizia, magari si riempirà di bagnanti festanti. Per loro si alza il grido che in nessun modo può essere ancora disatteso: tornare umani per risalire dall’abisso di una tragedia disumana oltre ogni limite. Non farlo sarebbe l’ultima ingiuria alle vittime dell’ennesima via crucis dei migranti esposti a ignobili speculazioni e lasciati alla mercé di leggi che non sono in grado di proteggerli dalle mire rapaci dei mercanti di morte. Se ancora non basta la tragedia che si è consumata sulle coste calabresi, dobbiamo chiederci che altro occorra per evitare il ripetersi di tali infamie. Ogni minuto di ritardo è sinonimo di altre sventure

 

SFIDA. È iniziata l’era Schlein e già se ne avvertono le prime ripercussioni. Ora, dicono gli osservatori, tutto può accadere mentre, con due donne alla guida dei due principali partiti, si apre nella vita politica italiana una nuova fase ancora tutto da esplorare ma assai intrigante. Sul versante di destra che si considerava inattaccabile l’iniziale sicumera post elettorale di colpo è diventata un po’ meno granitica. Lo si intuisce dall’imponente opera di destabilizzazione contro la nuova segretaria del Pd che al suo apparire non previsto dai sondaggi ha scosso non poche certezze. Ci mancano difatti soltanto i cosacchi alle porte di Roma e poi gli eroi della tastiera potranno scatenarsi. Negli ambienti che fanno capo all’attuale maggioranza, il verbo più in voga per descrivere il Pd era finora “asfaltato”, finito, kaputt. Addirittura ammazzato. Ora col Partito democratico determinato a uscire dall’apatia, l’arrivo di questa giovane donna anti conformista cambia radicalmente le carte in tavola. I giudizi sommari diventano frecce spuntate e l’elezione della “luganese” Schlein, una donna che vince nel nome di altre donne, può diventare davvero un serio problema per il governo di Giorgia Meloni. La quale dal canto suo si aspetta una opposizione durissima nella sfida della politica al femminile che fa dell’Italia il solo grande Paese con questo primato.

 

RITUALE. Correvano i primi anni Ottanta e oggi il giudizio sulla P2 e i danni che fece all’Italia è sui libri di storia. Bastano poche righe per capire che non sono pagine edificanti e nemmeno banali incidenti di percorso. A proposito della famigerata loggia di Licio Gelli si è parlato molto in questi giorni nel ricordare l’attività del noto giornalista Maurizio Costanzo, scomparso all’età di 84 anni. Agli esordi della carriera colui che sarebbe diventato uno dei protagonisti più in vista della televisione pubblica e privata incappò nello scandalo della P2 che travolse centinaia di illustri personaggi. Risultava infatti tra gli iscritti di una confraternita che si ispirava ai precetti della massoneria, ma che in effetti era una vera e propria associazione per delinquere a scopo eversivo e di chiaro stampo fascista. Al padre della tivù nazional popolare, autore di programmi di grande richiamo, va riconosciuta, oltre alle indubbie doti professionali, l’onestà di essersi assunto le proprie responsabilità. Così non fu per tutti. Le vicende legate alla P2, come la morte di Roberto Calvi, il banchiere trovato impiccato sotto il Blackfriars Bridge, il ponte dei Frati Neri sul Tamigi che mette i brividi, sono strettamente connessi con gli anni della strategia della tensione che segnò uno dei periodi più bui della recente storia italiana. Non è difficile immaginare che cosa si celasse dietro a un rituale tanto macabro.

   

   

Politica

 

IL VENTO ITALIANO

 

di Paolo Bagnoli

 

Al pari di tutti gli altri venti anche quello

italiano si sa da dove viene, ma non dove va.  

 

Arriva gelido dalla crisi più che trentennale del nostro sistema democratico. Le recenti elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio lo confermano con un’astensione che viaggia in maniera così galoppante finendo per erodere la base di tenuta e di legittimazione della democrazia.

    Il sistema, così, si sfarina soprattutto per due ragioni: la prima è la mancanza di politica, quella vera che non è governismo e che solo veri partiti possono produrre; la seconda perché con il risultato delle elezioni politiche di settembre, ora confermato e consolidato, non sembra esserci nessuna alternativa alla destra nazionalistica che esprime il governo. Una situazione praticamente strutturale dal momento che, anche se le opposizioni si fossero tutte riunite in un solo fronte alternativo, la destra avrebbe vinto egualmente e pure con largo margine.

   Da qui ne consegue che l’opposizione in Parlamento avrà poco peso; lo squilibrio del sistema si accentuerà pendendo tutto a destra e, paradossalmente, il fatto di non avere una opposizione politicamente viva non gioverà nemmeno a chi ha la responsabilità del governo. Psicologicamente, poi, ciò si traduce nella convinzione che è inutile andare a votare tanto si sa già chi vincerà.

    Il partito del presidente del consiglio è uscito alla grande dalle prove elettorali pur non riprendendo gli stessi voti delle politiche, – anche la Lega ne ha persi in valore assoluto – ma poiché la presenza alle urne è stata solo del 40% è chiaro che il risultato percentuale è cresciuto. Ciò, naturalmente, non risolve le difficoltà che il governo per dati oggettivi, impreparazione e carenza di classe politica adeguata, deve affrontare. E che la paura serpeggi forte sotto le foglie di una facciata che vuole trasmettere sicurezza lo dimostra il refrain sulla durata del governo e sulla compattezza della maggioranza, sul perseguire un programma votato dagli italiani.

    Alla fine fondare tutto sulla comunicazione metterà a nudo quanto grande sia l’assenza di un’Idea dell’Italia che, se pur vista da destra, abbia la concretezza necessaria per misurarsi con la politica delle cose. La regressione di ruolo in cui ci troviamo in Europa lo dimostra. Il governo Draghi aveva agganciato l’Italia a Francia e Germania nell’apicalità della politica europea. Non è più così e non è certo ricorrendo a toni stizziti che si può sperare di risalire la china. La mancanza di siffatta idea fa sì che la destra – a ciò indotta anche dall’anima geneticamente nazionalistica – identifichi l’Italia con sé stessa rifuggendo dal rendersi conto della complessità.

    Si mostra smaniosa soprattutto di cancellare tutto quanto le sa di “rosso” come nel caso delle polemiche accese dal Festival di Sanremo che tutto è diventato fuorché l’occasione principe della canzone italiana. Diventato un grande circo di spettacolo politico esso non ha dato senso alla propria ragione di essere e per questo, caso mai, andava criticato non scaricandoci contro rabbia di valenza storica e una voglia di rivalsa anch’essa storica. Ma anche il Festival è stato l’espressione di cosa produce il vento italiano; il non saper dare senso alle cose è la prima causa di crisi del vivere civile. Lo è soprattutto per la politica poiché mina il fondamentale modello dialogante che è il presupposto stesso della democrazia, dei valori e dei comportamenti che la devono animare costituendone il motore morale indispensabile al suo essere.

 

(Continua la lettura sul sito de La Rivoluzione Democratica.

      

                 

 

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.collettiva.it

 

Centomila posti a rischio

è mobilitazione

 

Feneal e Fillea annunciano una serie d’iniziative che culmineranno il primo aprile in una giornata nazionale. “I provvedimenti del governo, a partire dal blocco dei crediti, mettono a rischio il settore. Servono politiche industriali stabili e durature”

 

I sindacati delle costruzioni si mobilitano. FenealUil e Fillea Cgil hanno annunciato un percorso di mobilitazione contro quelle che ritengono “scelte del tutto sbagliate per il lavoro, l’ambiente e la sicurezza”. A rischio ci sarebbero circa 100mila posti di lavoro, e le scelte dell’esecutivo  “renderanno impossibile per i redditi più bassi realizzare interventi sulle case popolari e più vecchie”.

    “Alla luce dei vari provvedimenti del governo – affermano Vito Panzarella e Alessandro Genovesi, segretari generali – il settore costruzioni rischia un netto peggioramento dell’occupazione e della qualità del lavoro con gravi impatti sull’ambiente e sulla possibilità di rigenerare quartieri e periferie senza raggiungere così gli obiettivi Onu e Ue per città sostenibili.”

     Sotto accusa c’è ovviamente il decreto 11/2023, che blocca la cessione dei crediti per i bonus edili,  “colpendo i redditi più bassi, chi vive, cioè, nelle case più vecchie ed energivore e nelle periferie”. Ma le critiche dei sindacati sono anche per le nuove norme del Codice degli Appalti che “riducono gli obblighi di applicazione dei contratti collettivi edili e introducono la liberalizzazione dei subappalti a cascata”. Le politiche del governo, insomma, “finiscono per tagliare drasticamente il lavoro nell’edilizia privata”, con un peggioramento della sicurezza per i lavoratori negli appalti pubblici, meno qualità e meno sostenibilità”. Per queste ragioni, a partire dai prossimi giorni, saranno organizzate varie iniziative, volantinaggi, assemblee e azioni simboliche che culmineranno il primo aprile in una giornata nazionale di lotta articolata in 5 manifestazioni territoriali.”

    Cinque le periferie scelte per le manifestazioni che, oltre alle lavoratrici e ai lavoratori del settore, delegati e militanti sindacali, saranno aperte a contributi di studenti, associazioni ambientaliste, comitati di quartiere, imprenditori, professionisti e intellettuali.

     “Una giornata d’impegno, per portare avanti le nostre proposte – spiegano i due sindacalisti – a favore del lavoro e dell’ambiente e che saranno anche un’occasione di confronto e di partecipazione per i cittadini che vivono in quei quartieri e che sono i più colpiti dalla mancanza di una politica e di una programmazione di medio periodo per la riqualificazione e la rigenerazione delle loro case e delle loro aree urbane”.

    Tra le proposte avanzate da FenealUil e Fillea ci sono: “politiche industriali, stabili e durature per il settore delle costruzioni”, ma anche “risorse e strumenti per realizzare la città dei 15 minuti, per garantire case di qualità, aree verdi, servizi di prossimità a partire dalle nostre periferie”, così come . “infrastrutture e opere pubbliche di qualità, avanzate che dai grandi interventi alla riqualificazione diffusa di scuole, ospedali, case popolari garantiscano a tutti di vivere meglio”.

     “Per questo – continuano i sindacati – chiediamo la modifica del decreto sui bonus edili”, per garantire “lo sblocco dei crediti”, ma soprattutto per “dare stabilità alle percentuali d’incentivo per i prossimi 10 anni, garantendo la cessione del credito e lo sconto in fattura per gli incapienti e per i redditi medio-bassi, per i condomini e per chi vive nelle periferie. Prevedendo un intervento pubblico diretto, anche straordinario, per l’edilizia pubblica residenziale”.

    Inoltre i sindacati chiedono “una legge quadro per la rigenerazione urbana, con una nuova pianificazione urbanistica basata su maggiori risorse e strumenti partecipativi, in coerenza con gli obiettivi del Next Generation Eu e dell’agenda Onu per città sostenibili”. E ancora “vincoli stringenti sull’obbligo di applicare e rispettare i contratti edili in tutti gli appalti”.

    Per fare questo bisogna “difendere e valorizzare il lavoro di qualità, sicuro e legale, indispensabile per azzerare le morti sul lavoro e in particole nei cantieri. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo”, anche se il governo “non ha coinvolto le organizzazioni sindacali in nessun tavolo sugli appalti e sulle politiche di settore, non riconoscendo ai lavoratori il ruolo che meritano”.

       

                                              

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze

http://www.rosselli.org/

 

Il lavoro che c’è e il reddito di cittadinanza”

di Patrizia Baratto e Roberto Giuliano (P.S. edizioni)

Un libro per la giornata della Donna

Lunedì 6 marzo, ore 17 allo Spazio Rosselli, via degli Alfani 101r, Firenze

 

Interventi di:

Alessandra Pescarolo, Società italiana di storia del lavoro

Emanuele Vannucci, Professore Università di Siena

Valdo Spini, Presidente della Fondazione Circolo Rosselli

 

Saranno presenti gli autori

 

Nell’occasione Patrizia Baratto illustrerà anche la certificazione sulla parità di genere, una procedura prevista dal PNRR al fine di raggiungere gli obiettivi europei in merito alla tematica diversity & inclusion (D&I) che rende obbligatoria l’adozione delle policy sulla diversità ed inclusione, per le imprese con più di 50 dipendenti.

       

        

Tramite il Circolo Rosselli di Milano

riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

In ricordo di Giorgio Ruffolo

 

di Andrea Ricciardi

 

La scomparsa di Ruffolo lascia un grande vuoto in chi l’ha conosciuto e, più in generale, nello scenario politico-culturale italiano anche se in pochi, al suo interno, nell’arida era dell’attimo possono comprendere quanto egli sia stato importante per la storia dell’Italia repubblicana. Il suo animo gentile e il suo dolce sorriso si accompagnavano a una ferrea determinazione, figlia della fiducia nelle idee di cui, durante la sua lunga vita, si fece portatore e che, mostrando sempre grande autoironia e autonomia di giudizio, seppe mettere in discussione pur rimanendo saldamente ancorato a valori quali l’antifascismo e il socialismo, inteso come tensione ideale unita a un riformismo forte e non come dogma ideologico né sterile dichiarazione d’intenti. Giovane rivoluzionario trozkista nel Partito socialdemocratico; funzionario dell’ENI di Mattei con il suo amico Mario Pirani; militante (e poi dirigente) del PSI, critico verso Craxi fin dalla fine degli anni Settanta quando lo stesso Ruffolo fu centrale nel dibattito avviato su «Mondoperaio» dopo la segreteria di De Martino; programmatore durante il primo centro-sinistra al fianco di Antonio Giolitti e parte del gruppo dei “lombardiani”; parlamentare in Europa e in Italia; due volte ministro dell’Ambiente; critico verso il PCI ma sempre aperto al dialogo; nel PDS e nei DS dopo la fine della Guerra fredda e lo sgretolamento del PSI dopo Tangentopoli, convinto di dover e poter dare un contribuito alla riorganizzazione della sinistra da cui, anche nel nuovo millennio, mai si staccò esprimendo forti perplessità sulla genesi e lo sviluppo del Partito Democratico.

    Tuttavia Ruffolo, anche quando s’impegnò concretamente nei diversi ambiti ricordati, mostrando pure notevoli doti di organizzatore, fu soprattutto un intellettuale di enorme spessore, mai rassegnato alla mera accettazione del presente nel nome della governabilità né indifferente alle diseguaglianze sociali e alle sorti dell’ambiente. È per questo che, pur non volendo di certo cancellare il mercato per legge (come ricordava provocatoriamente), continuò a mettere in discussione il capitalismo e, in particolare, la sua finanziarizzazione sostenendo la salvaguardia del ruolo dello Stato e del pubblico (comunque da rinnovare) rispetto al privato. La costante volontà di approfondire il passato era per lui connessa con l’esigenza di guardare con coscienza e senso critico al presente e al futuro, anche se la sua lucidità lo obbligava a fare i conti con il pessimismo della ragione, senza però perdere l’ottimismo della volontà.

    Nel 2000 mi rilasciò una lunga intervista intitolata Centrosinistra anni sessanta. Le avanguardie sconfitte, pubblicata su «il Ponte» (3/2000, pp. 89-113). In questa sede, tra l’altro, partendo dall’idea che aveva del pensiero di Riccardo Lombardi all’epoca del primo centro-sinistra, sostenne:

    Il capitalismo è una forma storica dell’economia di mercato che non necessariamente rimarrà immobile nel tempo. Accettare la fase storica che attraversiamo non significa che non vi saranno mai altri sbocchi. Del resto l’economia di mercato c’era prima del capitalismo, pensiamo per esempio all’economia mercantile descritta da Braudel o all’assetto di alcune società non occidentali caratterizzate da un’economia di mercato non capitalistica, e ci potrà essere anche dopo un’eventuale evoluzione del capitalismo stesso in qualcosa di diverso da ciò che è oggi. Nel terzo settore si può benissimo utilizzare il mercato senza che ci sia accumulazione e produzione per il profitto.

    Quasi un quarto di secolo dopo, in realtà, non sembra che le cose siano migliorate. Il titolo di un suo volume Einaudi del 2008, Il capitalismo ha i secoli contati, indica che Ruffolo non si faceva grandi illusioni sul futuro prossimo ma che non intendeva certo rinunciare al sogno di un diverso mondo possibile. Sogno senza il quale è sostanzialmente impossibile incidere sulla realtà e cambiarla in concreto, come Ruffolo tentò sempre di fare con la sua forza tranquilla e la sua contagiosa vitalità.

 

Testo apparso sulla Lettera ai Compagni

fondata da Ferruccio Parri (vai al sito)

     

          

Da CRITICA SOCIALE (sito)

riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

CAPITALISMO E DEMOCRAZIA

 

di Giorgio Ruffolo *)

 

È morto all’età di 96 anni l’ex ministro socialista ed economista, Giorgio Ruffolo. A darne l’annuncio con un lungo post di cordoglio sulla pagina Facebook è stato Valdo Spini, uno dei suoi successori nella carica di ministro dell’Ambiente ed ex vicesegretario nazionale del Psi: ‘‘Ruffolo lascia una traccia duratura nella cultura e nella politica socialista e della sinistra italiana’’. Noi della Critica Sociale vogliamo ricordarlo ripubblicando una sua lucidissima riflessione su capitalismo e democrazia apparsa su La Repubblica del 5 marzo 2013. Sono passati 10 anni, e quella analisi in alcuni tratti si è rivelata addirittura profetica. – Giovanni Scirocco

 

«Due grandi forze si contendono la storia dell’Occidente: il capitalismo e la democrazia. Esse si alternano nell’egemonia prevalendo volta per volta l’una sull’altra e dando così luogo a cicli storici, l’ultimo dei quali è quello che viviamo dall’inizio del secolo passato e che comprende tre fasi: l’età dei torbidi, l’età dell’oro e l’età della controffensiva capitalistica.

    L’età dei torbidi è caratterizzata da forti conflitti trai capitalismi nazionali ciascuno dei quali cerca di assicurarsi vantaggi decisivi sui rivali. Il risultato è una competizione selvaggia che ostacola la crescita comune.

    Età dell’oro. La definizione è di Hobsbawm. La caratteristica principale sta nel tentativo di raggiungere un “compromesso storico” tra capitalismo e democrazia che esalti le capacità di sviluppo di queste due forze senza provocare contraddizioni strutturali. Il principio fondamentale che regge il sistema è quello del libero scambio. Delle merci ma non dei capitali che sono assoggettati a controlli severi da parte dei governi nazionali. Questo sistema lascia ampie autonomie alle politiche nazionali e assicura quindi un relativo equilibrio tra le forze del capitalismo e le capacità regolatrici dello Stato.

    Tuttavia l’equilibrio che ne deriva si rivela tutt’altro che “storico”. Esso è costantemente messo in dubbio dai tentativi delle forze capitalistiche di sottrarsi agli obblighi costituiti dai controlli statali. Questi tentativi conseguono un decisivo successo negli anni Ottanta del secolo scorso con la decisiva eliminazione in Gran Bretagna e negli Stati Uniti di ogni controllo sui movimenti internazionali di capitale che assicura a quest’ultimo una superiorità decisiva sugli altri fattori della produzione. La superiorità è realizzata attraverso la sua possibilità di spostarsi nello spazio secondo le convenienze assicurate dagli investimenti. Si potrebbe dire che l’arma fondamentale del capitale è la valigia. La sola minaccia di uno spostamento blocca le possibilità di far valere l’autonomia della politica.

    L’eliminazione di ogni ostacolo al movimento dei capitali determina un vantaggio decisivo del capitalismo sulla democrazia pregiudicando il relativo equilibrio che si era raggiunto tra queste due forze. Questo vantaggio si traduce in una forte diseguaglianza tra i redditi del capitale e quelli del lavoro. Una diseguaglianza che potrebbe tradursi in una debolezza della domanda, costituita soprattutto dai redditi di lavoro. A questa minaccia il capitalismo reagisce con una “mossa” decisiva: l’indebitamento, che permette di compensare il minore aumento dei redditi di lavoro.

    L’indebitamento diventa un fenomeno generale e sistematico al punto che il capitalismo viene definito da un economista come quel sistema nel quale i debiti non si pagano mai. Una caratteristica chiaramente insostenibile alla lunga e che si traduce prima o poi in una inevitabile crisi determinata da insolvenze, come nel caso dei cosiddetti subprime. Originate negli Stati Uniti, ed estese all’Europa e a tutto il mondo determinando la condizione di crisi della crescita economica nella quale siamo oggi immersi.

    Questa condizione è affrontata, diversamente da ciò che accadde negli anni Trenta, con un colossale salvataggio finanziario dello Stato. Da fattore di perturbazione dei mercati – così definito dalla retorica liberistica – lo Stato diventa il salvatore del capitalismo.

    La logica del sistema tuttavia non muta. Esaurito il “salvataggio” il sistema torna alla logica dell’indebitamento, raffigurata scherzosamente nel dialogo fra Totò e il suo cameriere.

 

Cameriere: «Mi avete detto ieri che mi avreste pagato domani».

Totò: «E te lo confermo».

Cameriere: «Ma domani è oggi».

Totò: «Giovanotto, non scherziamo, oggi è oggi e domani è domani».

 

La soluzione che l’ideologia liberistica imporrebbe, di lasciare che i fallimenti si compiano secondo l’inflessibile regola dei mercati, naufraga nella vicenda della Lehman Brothers: un fallimento che, se esteso all’intero contesto capitalistico, ne determinerebbe il crollo.

    La verità si crea alla fine il suo spazio. I debiti si pagano. Come si chiude la vicenda? Chi paga alla fine? Pagano i contribuenti e i lavoratori, sotto forma di aumento delle tasse e/o di contrazione dei salari.

    Al fenomeno dell’indebitamento si somma quello della “finanziarizzazione”. La ricchezza è rappresentata dall’emissione di “titoli” che da semplici indicatori della ricchezza finiscono per diventare ricchezza essi stessi. Una ricchezza letteralmente inesistente ma che costituisce la base di una “taglia” imposta alla comunità dal potere finanziario. Questa taglia è percepita dalle banche e soprattutto da una classe di intermediari finanziari che approfitta della sua posizione “strategica” nelle transazioni finanziarie.

    È così che il capitalismo industriale basato sulla realtà delle “cose” diventa capitalismo finanziario basato sulla rappresentazione dei “titoli”. Il grande salvataggio si traduce ovviamente in un peggioramento della finanza pubblica. Ma diversamente da quello del finanziamento privato. Quest’ultimo è punito dalle politiche economiche e finanziarie che colpiscono i “salvatori”. Il capitalismo non ammette infatti che il settore pubblico diventi un elemento decisivo dell’economia.

    Si profila una condizione nella quale il rallentamento della crescita determinato da politiche repressive della finanza pubblica si accoppia con l’iniquità. Due elementi che rischiano di suscitare una depressione di lungo periodo». Dal quotidiano La Repubblica del 5 marzo 2013

 

* * *

 

N.d.R.: Siamo intervenuti sul testo di Ruffolo – per noi oggi non più facilmente reperibile su carta – apportando una struttura in capoversi onde renderne più agevole la lettura. La red dell’ADL

       

                      

L’Avvenire dei lavoratori – Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

 

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Su Radio Radicale

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Il privato collettivo (vai al sito)

Un nuovo socialismo che sta cambiando il Paese

  

volume (postumo) di

Franco Archibugi

 

a cura di

Nicola Acocella e Piero Schiavello,

 

con prefazione di

Giuliano Amato.

 

Sono intervenuti

Antonio Tedesco (Fondazione Pietro Nenni),

Giorgio Benvenuto (Presidente della Fondazione Bruno Buozzi),

Domenico De Masi (Sociologo),

Cesare Salvi (Docente all’Università Roma Tre),

Valdo Spini (Presidente della Fondazione Rosselli)

Francesco Verducci (Senatore della Repubblica)

 

Moderatrice

Annalisa Cicerchia (Vicepresidente di Cultural Welfare Center)

       

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

RICORDO di Giorgio Ruffolo

 

Invio per conto della Presidenza dell’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra (ARS), di cui faccio parte, un ricordo di Ruffolo.

    Una commemorazione ufficiale socialista non ci sarà, perché Ruffolo da tempo non era più iscritto al PSI e ignoro se lo fosse ancora al PD.

    La redazione del testo è stata affidata ad Alfonso Gianni, di tradizione non socialista, ma io non avrei scritto cose sostanzialmente diverse. Quando la sinistra italiana è un una situazione pre-1892, nella costruzione di una alternativa socialista è meno importante da dove veniamo rispetto a chi e cosa siamo ora e soprattutto dove e come vogliamo andare insieme.

    Non c’è un partito che rappresenti il socialismo nel nostro paese, ma, forse una serie di fondazioni che al socialismo si richiamano potrebbero decidere insieme, o ciascuna per suo conto, di dedicare un ricordo ai socialisti scomparsi.

    I socialisti, compresi quelli della mia generazione, hanno gli anni contati e in vista del 100° anniversario dell’assassinio di Giacomo Matteotti (grazie, Liliana, per il ddl), sarebbe giusto dimostrare che aveva ragione nella frase, a lui attribuita: “Uccidete me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai”, di cui sono state tramandate varie versioni. – Fraternamente – Felice Besostri

 

Con la scomparsa di Giorgio Ruffolo perdiamo una delle più grandi personalità che hanno saputo unire l’agire politico e istituzionale con una cultura economica di tipo innovativo, entro la quale massima era l’attenzione alla salvaguardia del pianeta che uno sciagurato modello di sviluppo ha ridotto nelle attuali condizioni. Tutta la sua storia intellettuale e politica smonta la convinzione un tempo radicata che tra economia e ecologia vi sia un contrasto insolubile.

    Ruffolo è stato un esponente storico del Psi e della sinistra lombardiana. Un attivo fautore dell’unità della sinistra. Anche quando confluì in quello che sarebbe diventato il Pd, mantenne sempre un atteggiamento critico e propositivo. È stato deputato, senatore, eurodeputato. È stato ministro dell’Ambiente tra il 1987 e il 1992, nei quattro governi che si succedettero in quel periodo.

    In quel ruolo rappresentò il governo italiano in importanti incontri internazionali, susseguenti al protocollo di Montreal del 1987 a protezione dell’ozonosfera. Successivamente si impegnò per la stabilizzazione delle emissioni di CO2 entro il 2000 ai livelli del 1990: la famosa “base 90”. Fu un acceso sostenitore del “principio di precauzione”.

    Nel 1991 Ruffolo propose, in una riunione dell’Ocse dedicata alla fiscalità ecologica, da lui presieduta, la “carbon tax”. Al “Vertice della Terra” di Rio de Janeiro del ‘92, alla presenza di Bush, Fidel Castro, Mitterand e 40 capi di governo africani avanzò l’idea di una tassa energia/CO2 che prevedeva un’articolata distribuzione del gettito. ricevette l’applauso dei presenti e venne definita dal Financial Times una delle rare idee concrete emerse in quel convegno.

    Naturalmente poi i governi non seguirono quella strada. “Le nostre voci … sono state troppo deboli di fronte all’avanzata impetuosa del capitalismo”, dirà nella sua ultima intervista nel 2015. Ma Ruffolo continuò ad insistere attraverso una costante produzione di articoli, saggi e libri. Non gli mancava la dolorosa consapevolezza della sconfitta della sinistra, che non incrinò il suo intelligente umorismo e che espresse in uno dei suoi libri più significativi che volle titolare “Il capitalismo ha i secoli contati”.

       

       

LETTERA

  

APPUNTI PER UN SEMINARIO su

“LE RAGIONI DEL SOCIALISMO”

 

di Franco Astengo

 

Punto di partenza (da Aldo Schiavone: “Sinistra”, Einaudi 2023): “La fine del lavoro come valore unificante ha messo di conseguenza fine al socialismo, che era lo strumento e l’obiettivo della lotta di classe. L’idea si era irradiata fino alla Costituzione Italiana. L’articolo 1 “La Repubblica è fondata sul lavoro” portava a compimento l’identificazione del cittadino con il lavoratore, e stabiliva su questa base il principio di uguaglianza. La sinistra non ha mia riconosciuto le novità prodotte da due eventi che hanno cambiato la storia, la rivoluzione tecnologica e la fine del comunismo. Ha negato la realtà per paura di diventare inutile”.

    Due punti di contestazione:

1) Per l’economia politica, «le uniche fonti di ricchezza sono state fin dall’inizio la legge e il “lavoro”». Per Marx, invece, nella vera storia della proprietà «conquista, schiavitù, rapina e omicidio svolgono un ruolo importante; violenza, in una parola».

    A questo punto, e tenendo conto dell’ontologia del lavoro di Marx, non sorprende che critica così fortemente quelle posizioni che giustamente collocano il lavoro come fondamento della proprietà. Bene, la citazione sopra è particolarmente utile per contrassegnare la differenza tra la posizione marxiana e le posizioni liberali in generale e quelle di Locke in particolare.”

    “L’emancipazione dell’umano, di tutto l’umano, non il socialismo che è stato solo un mezzo per raggiungere quell’obiettivo ma non il fine, anche se spesso le due cose sono state confuse”.

    Questa affermazione va contestata in radice proprio perché la descrizione che Marx fa dello sfruttamento rimane intera nella sua validità: sfruttamento che permane sulla scena della storia e richiede – appunto – la liberazione degli sfruttati. È il tema della “contraddizione principale”.

    2) Non può essere confusa con la fine del comunismo inteso come valore di perenne ricerca del superamento delle condizioni di sfruttamento e di diseguaglianza che permangono e opprimono l’umanità su diversi piani la caduta dei regimi usciti dall’inveramento statuale di fraintendimenti dell’etica marxiana verificatisi tra la seconda metà dell’800 e la prima metà del ‘900.

    Stabiliti questi punti di principio allora si può tornare a ragionare su di una “Terza Via” non più mediana tra il “comunismo reale” e la “socialdemocrazia dei Trenta gloriosi” come si propose tra gli anni ‘70 e ‘80 del XX secolo.

    Per muoversi in questa direzione non è sufficiente un tentativo di modificazione “etica” di riforma del capitalismo, modificazione orientata nel senso dell’uguaglianza da realizzarsi usando la forza della democrazia liberale e della politica democratica.

    È necessario che, proprio all’interno dello sviluppo della dialettica democratica (che deve avvenire a livello sovranazionale: si direbbe internazionalista e sulle cui forme concrete andrebbe aperto un ragionamento di fondo) sia presente una forza organizzata capace di rappresentare, prima di tutto, l’opposizione al pensiero “unico” unilaterale del dominio dello sfruttamento (opposizione che manca in questa fase).

    Sfruttamento che deve essere analizzato nel complesso delle sue forme rese sempre più evidenti nella modernità: guerra come ingordigia nello sfruttamento delle risorse (con il “continuum” della geopolitica del terrore, esercitato del resto anche nella fase in cui ci si credeva “alla fine della storia”); sopraffazione di genere; razzismo imperante.

    Andrebbe incentrata una riflessione sull’allargamento delle fratture culturali e sociali rispetto a quelle individuate nei canoni novecenteschi.

    Si tratterebbe di cercare di definire definendo intrecciare la “modernità” al permanere della forza della “contraddizione principale” per delineare un progetto di trasformazione “sistemica” degli equilibri sociali e politici:

    1) dal punto di vista culturale, rispetto alla critica delle forme della comunicazione di massa e del peso che ricopre nel determinare i comportamenti individuali e collettivi in una società che fu affluente e impostata sull’individualismo “competitivo” fondato sul consumo;

    2) l’introduzione del concetto di “limite” al riguardo della prospettiva dell’innovazione tecnologica. Una innovazione tecnologica che punta a rendere “invisibile” l’acuirsi delle contraddizioni nelle condizioni materiali di vita e lo fa quasi nascondendo il modificarsi progressiva dell’idea del lavoro: equivoco nel quale tendono a cadere quanti cercando di far coincidere una presunta “fine dell’età del lavoro” con l’inutilità dell’idea socialista.

       

            

L’Avvenire dei lavoratori

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

 

L’Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigra­zione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall’Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all’estero, L’ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon­diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l’Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L’ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l’integrazione dei mi­gran­ti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all’eclissi della sinistra italiana, diamo il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appar­tiene a tutti.

 

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