L’ADL del 9 marzo 2023

L’Avvenire dei lavoratori

9 marzo 2023 – e-Settimanale della più antica testata della sinistra italiana

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dall’otto marzo al 14 giugno

 

 

Care compagne, cari compagni, vi scriviamo nella giornata internazionale delle donne. Grazie al movimento femminista la società ha fatto importanti progressi. Si percepisce una diffusa volontà di cambiamento e questa è una buona premessa. Ma siamo ancora ben lontani dal nostro obiettivo: perché anche il lavoro di cura deve essere riconosciuto; perché è ingiusto che molte donne guadagnino meno dei propri colleghi; perché la violenza non è mai amore e perché solo Sì significa Sì. Per questi e molti altri motivi siamo pronte e pronti a scendere di nuovo in piazza al prossimo sciopero femminista del 14 giugno.

 

Saluti solidali, Laura e Fabrizio

di News Socialiste – Bellinzona (CH), 8/3/2023

       

     

L’Avvenire dei lavoratori

 

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LAVORO E DIRITTI

a cura di www.collettiva.it

 

Non chiamatemi

Wonder Woman

 

Guarda (clicca qui) la storia di Cristina, illustratrice

freelance a partita Iva alle prese con la maternità

 

di Ivana Marrone

 

Ecco a voi la storia di Cristina Portolano, illustratrice freelance a partita Iva, che ha avuto da poco la sua prima figlia, Annamaria.

    In occasione dell’8 marzo, racconta a Collettiva la sua situazione attuale: “Il mio lavoro ora è occuparmi della bambina – dice –, ma la mia attività di disegnatrice non si è mai fermata completamente.

    Sono costretta a restare nella sfera lavorativa, continuo a disegnare anche quando sto in maternità. Io non voglio essere super, voglio essere aiutata”.

       

          

Su Radio Radicale

https://www.radioradicale.it/

 

La strage di Cutro (clicca qui)

Tra politiche migratorie nazionali, Ue e cooperazione

Conducono Valeria Manieri (Radio Radicale) ed Elis Viettone (ASviS).

 

 

Intervengono:

 

Emma Bonino, Leader di +Europa, già Ministro degli esteri

Marco Francesco Morosini, già Docente di politiche della sostenibilità al Politecnico federale di Zurigo

Andrea Stocchiero, Policy officer presso la FOCSIV e coordinatore di ricerca nel CeSPI

   

       

a sergio mattarella Da MOROSINI e altri

 

“CARICO RESIDUALE”

 

LETTERA aperta SULLA STRAGE di migranti

 

Egregio Presidente della Repubblica Italiana,

Signor Sergio Mattarella,

 

nel giorno in cui Lei confortava in silenzio Crotone e l’Italia con la dignità dello Stato, noi, gente di mare, stilavamo questo appello per chiederLe di difendere l’onore marinaro e civile dell’Italia, ferito, a nostro avviso, da azioni, omissioni e parole inappropriate. Parliamo delle reazioni al viaggio di quattro giorni e al naufragio di un naviglio di nome e di bandiera non comunicati, proveniente dalla Turchia e protagonista della “strage del febbraio 2023 nello Ionio”, detta anche “strage di Cutro”.

 

Vedi alla voce Treccani:

 “Carico residuale”

 

Signor Presidente, Le chiediamo di esercitare la sua influenza morale e le sue prerogative istituzionali per far riflettere il Paese sull’opportunità delle tre seguenti iniziative da parte di attori appropriati, nelle sedi appropriate:

    1) MODIFICA della “Legge flussi migratori” da Lei promulgata ieri sulla Gazzetta Ufficiale N. 52, 2.3.2023, detta impropriamente “decreto anti-ONG” (Organizzazioni Non Governative).

    2) INDAGINE della magistratura e indagine del Parlamento sulle eventuali responsabilità per “il reato di strage colposa” così come fu propugnato poche ore dopo il naufragio del 18 aprile 2015 nel Canale di Sicilia.

    3) RIPARAZIONE nei media internazionali – per quanto possibile – di espressioni inappropriate tali da avere recato danno, anche involontario, alla reputazione della marineria italiana.

    Sul piano legale, conterà la parola dei giudici – fra anni o decenni.

    Sul piano morale, la reputazione marinara dell’Italia si erode in questi stessi giorni.

    I fatti che ci angustiano. Nessun governante ha ordinato l’intervento tempestivo della Guardia costiera. “Raccoglievo nell’acqua cadaveri di bambini alla luce del telefonino” dice il pescatore Vincenzo in un video che ha commosso il mondo. Cosa facevano, nel frattempo, i proiettori luminosi e i motori del soccorso specializzato? Invece di inviare i mezzi anti-naufragio, i governanti hanno lanciato mezzi anti-crimine. Eppure, la Guardia costiera era pronta per il soccorso (“Si potevano salvare”), così come innumerevoli altre volte, anche in condizioni di mare estreme. Le sue donne e i suoi uomini sono il nostro orgoglio.

    Le parole che ci angustiano. I colpevoli? Solo le naufraghe e i naufraghi? Tutti loro, perché partiti? O alcuni di loro, per avere gestito il viaggio, vuoi per disperazione, vuoi per costrizione, vuoi per lucro? La colpa dei morti è stata data ai morti. Così, purtroppo riferiscono i media internazionali. Il rigore della legge è stato applicato immediatamente: ma solo contro alcuni naufraghi, tra i quali un minorenne. Alcuni tra gli arrestati o indagati si dicono vittime, non criminali. Ma chiediamo: forse anche qualche “non-naufrago” è stato indagato per “strage colposa” o altri reati? Sui media internazionali si sono lette parole severe di governanti italiani: “Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi cosa devo chiedere io al luogo in cui vivo ma cosa posso fare io per il Paese in cui vivo per il riscatto dello stesso.

    I media del mondo riferiscono altresì che le navi umanitarie dedicate ai salvataggi in Mediterraneo sono state definite da governanti italiani “taxi di carne umana” e “navi pirata”. Essi citano i governanti attuali quando nel 2019 chiesero a gran voce che una nave umanitaria carica di naufraghe e naufraghi fosse “sequestrata, l’equipaggio arrestato, gli immigrati clandestini rimpatriati immediatamente e la nave affondata”.
    Il neologismo “carico residuale”, usato dai governanti per indicare naufraghi sgraditi è già nella storia della lingua italiana (
Treccani) e sta mettendo radici nella memoria delle persone, dei dizionari e dei server del mondo. 

    Occorre far presto, Signor Presidente. Occorre emendare subito queste parole. Perché, diversamente dai tribunali, le lingue del mondo non prevedono giudizi in appello. Con le “Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori” (D.L. 1/2023, 2.1.2023) il governo ha costretto negli ultimi mesi centinaia di bambini, donne e uomini, salvati e accalcati sulle navi umanitarie, alcuni stremati o malati, a molti giorni di navigazione verso porti inutilmente lontani, anche nel maltempo. Per questo diciamo forte: L’onore leso ora è quello dei governanti, non quello di noi naviganti italiani!

 
La ringraziamo, caro Presidente, per la Sua attenzione, e la salutiamo con stima e affetto.

 

Marco Francesco Morosini, Micaela Malingri, Francesco Della Porta, Yula Sambuy, Giuseppe Notarbartolo di Sciara, Valentina Pugnei, Ugo Paolillo, Manuela Driussi, Aimaro Malingri, Grazia Zanin, Antonio Solero, Claudio Stampi, Fabio Oliosi, Diego Maniacco, e altre e altri.  Il 3 marzo 2023

 

               

EDITORIALE

 

Fatto sta che a Cutro…

 

di Andrea Ermano

 

Come mille pietruzze attaccate ai tentacoli del polpo quando un uomo lo strappa dallo scoglio per cucinarselo in padella o sulla brace, – così la tempesta dello Ionio sbatte Ulisse contro un faraglione e il Re di Itaca vi si aggrappa disperato finché l’onda successiva non viene a trascinarselo via.

    E allora mille pezzetti di pelle delle sue mani restano incollati a quella roccia… Ce lo racconta il cantore cieco Omero.

    Tutto ciò accade diverse migliaia di anni fa, ma non molto distante da Cutro di Crotone.

    È in questo Mare che l’eroe omerico reduce di cento battaglie e mille stratagemmi, uomo astutissimo e dal multiforme ingegno, rischia seriamente la pelle, e viene però salvato per il soccorso di Atena.

    Dove sono finite le divinità degli antichi? E riuscirà il Dio unico di noi moderni a star dietro a tutto in un’epoca distratta e caotica quant’altre mai?

    Fatto sta che a Cutro il numero tuttora provvisorio delle vittime per la Strage dello Ionio del 25 e 26 febbraio 2023 si attesta al di sopra delle 71 unità.

    Le agenzie parlano di 80 individui salvati. Senonché – secondo Wikipedia (edizione inglese) – su quel barcone potrebbero essersi ammassate fino a duecento persone. Quindi, in realtà, noi a tutt’oggi ancora non sappiamo quanti siano i corpi dispersi tra le onde.

    Marco Morosini leva la sua voce contro una strage infinita. Le organizzazioni umanitarie ci fanno un ripasso di numeri da genocidio. E persino Il sole 24 ore (vai al sito) titola: «Cimitero Mediterraneo: 26mila morti in dieci anni».

 

Mi domando che cosa direbbe di questa ecatombe umanitaria il mio illustre concittadino di Tolmezzo, il Professor Remo Cacitti, ahimè scomparso il 3 marzo dopo lunga malattia.

    Umanista e storico insigne, pubblicò nel 2008 insieme a Corrado Augias presso Mondadori una fortunata “Inchiesta sul cristianesimo”.

    Ricordo, una vita fa, il padre operaio che era sceso dalla bicicletta e mi raccontava per strada, fierissimo, di quel figlio intellettuale il quale, nonostante la poliomielite, aveva saputo “emergere” all’Università Cattolica di Milano. Un modello per tutti noi più giovani. Poi Cacitti passò alla “Statale”, dove assunse la cattedra di Storia del cristianesimo antico; e rinvio qui all’archivio di Radio Radicale, dove si può riascoltare un importante discorso su “Chiesa e potere” (vai al sito).

    Ai tempi del terremoto in Friuli, se alle assemblee in tendopoli interveniva lui, arrancando sulla “erre”, il chiacchiericcio di fondo finiva e calava il silenzio, perché quando prendeva la parola Remo Cacitti tutti drizzavamo le orecchie.

    Un suo allievo milanese, il saggista, narratore e traduttore Davide Brullo ricorda su Pangea che: «Grazie al suo impegno – riconosciutogli, tra l’altro, in una premiazione pubblica, nel 2016 – il duomo di Venzone, intitolato a Sant’Andrea Apostolo, consacrato nel XIV secolo, sbrindellato dal terremoto, è stato ricostruito, pietra su pietra». E non per caso Remo ha voluto che le esequie si tenessero nel “suo” Duomo di Venzone.

    Lui stesso per una vita aveva abitato in Via Meravigli a Milano, a pochi passi dalla Biblioteca Ambrosiana. Ancora di recente ci siamo scambiati libri e libretti. Per parte mia, gli mandavo alcune nostre pubblicazioni. E ricordo che lui ci tenne molto a farmi leggere Le ceneri di Epicuro, un titolo quasi gramsciano che – come annotò – “scrissi sull’utilizzo della filosofia antica nel cristianesimo delle origini”.

 

   

Remo Cacitti, nato a Caneva di Tolmezzo il 13

maggio 1948, si è spento a Milano il 3 marzo 2023

 

E, dunque: che cosa avrebbe detto Remo Cacitti della Strage del 25 e 26 febbraio 2023?

    Secondo me, non avrebbe mancato di osservare che si trattava di persone costrette ad abbandonare i loro Paesi, il Pakistan, l’Iran e l’Afghanistan.

    Avrebbe probabilmente sottolineato che si trattava non di “clandestini” ma di veri e propri “profughi”, posti perciò sotto l’egida del diritto internazionale.

    Avrebbe aggiunto sui “profughi” che sono da considerarsi “sacri” per antonomasia all’interno di ogni tradizione culturale o religiosa d’Occidente negli ultimi duemila anni. Ma questa è solo una supposizione, ovviamente.

     

 

 

SPIGOLATURE

 

SULLE SPONDE DELL’ARNO

 

di Renzo Balmelli

 

DERIVE. Rispondere alla violenza con la violenza può essere nefasto. Quei balordi che allo squadrismo fascista nel liceo hanno replicato con l’effige della premier e di un ministro mostrati a testa in giù non hanno fatto altro che imitare gli aggressori. Ormai affrontare le sfide con cinismo e sarcasmo significa inasprire la spirale dell’odio che non porta da nessuna parte, se non ad aizzare le derive nostalgiche. L’antifascismo è un’altra cosa, una cosa seria, storicamente ineccepibile, da mantenere viva e da usare coi modi giusti nei momenti giusti. La bella, appassionata manifestazione di Firenze svoltasi nel segno di una idea della ritrovata sinistra che non muore ha toccato corde profonde che parlano al cuore. Al loro confronto le scomposte, beffarde reazioni della destra del tutto assurde in un’epoca carica di angustie confermano che il messaggio salito dalle sponde dell’Arno è quello giusto.

 

PIETÀ. Rimane una ferita che il tempo non è riuscito a cicatrizzare la sorte dei caduti italiani in Russia durante la Seconda guerra mondiale. Il rimpatrio delle salme si è rivelato e si rivela ancora oggi molto laborioso a causa delle enormi difficoltà incontrate nel localizzarle in quelle sterminate contrade. A volte le notizie accendono la speranza di altri ritrovamenti come quello recente di sei artiglieri rimasti sepolti per oltre ottant’anni coperti di terra, neve e ghiaccio in una località non lontana dalla città di Rostov. Come tanti altri soldati male equipaggiati, anche questi hanno finito col pagare un prezzo altissimo per essere stati mandati allo sbaraglio nel nome una ideologia bacata. Ora, quelle povere ossa, restituite alla pietà dei vivi, potranno finalmente tornare alle loro famiglie che tanto hanno sofferto e ricevere una degna sepoltura. Nel rendere loro il dovuto e commosso tributo non si dovrà tuttavia mai dimenticare in quale terribile contesto le loro giovani vite furono brutalmente spezzate sull’altare dell’insana stoltezza del regime.

 

MOSTRO. Più che una bomba planante di fabbricazione russa è un mostro di acciaio che sembra uscito dalle pagine dell’horror fantascientifico. Finora mancano soltanto le prove che l’episodio sia realmente avvenuto, per trasformarla in un ordigno spaventoso di rara potenza distruttrice. Se l’UPAB-1500B-E, ossia la sigla con la quale il micidiale congegno è stato repertoriato dai suoi creatori, abbia avuto davvero il battesimo del fuoco sul fronte ucraino è notizia mai confermata da Mosca. Tuttavia già solo il pensiero che quella tonnellata di esplosivo telecomandata e capace di colpire nel mucchio sia pronta all’uso negli arsenali del Cremlino, basta e avanza per mettere i brividi e aggiungere una ulteriore minaccia ai danni della popolazione civile. Il nuovo jolly di Putin fa la sua comparsa in una fase del conflitto sempre più cruenta ove non ci sono le condizioni perché la situazione si avvii su un percorso pacifico. A questo punto chi stia dalla parte dell’aggressore si trova davvero dal lato sbagliato della storia.

 

MALE. È vero. Alla fine l’umanità vince sempre. A dispetto dell’emergenza di una guerra che nessuno ha voluto ma che con insistenza spinge alle nostre porte, l’essere umano trova le risorse per risollevarsi dall’orrore. Ma a che prezzo? Se la vulgata trumpiana bolla come terroristi gli antifascisti, non sarà certo lo sproloquio dell’ex presidente a spegnere la fiamma della speranza. Anche nelle peggiori circostanze l’ardore dell’anima si è rivelato più forte della prevaricazione dell’uomo sull’uomo. Mastroianni salvato da una giovane russa durante la ritirata, oppure la spiga che il burbero Don Camillo dal cuore buono porta alla madre del figliolo caduto al fronte sono vicende che letteratura e cinema hanno saputo raccontare con sentita partecipazione. Nel segno dell’umanità esse sono andate componendo pagine esplicite di un dramma che taluni svicolano quando sentono parlare del male assoluto.

       

         

L’Avvenire dei lavoratori

 

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economia

 

La Fed, i tassi e le crisi

dei Paesi

emergenti

 

I paesi emergenti stanno pagando molto duramente l’acquiescenza

della Fed (e della BCE) di fronte allo strapotere del mondo finanziario.

In Libano, per esempio, la moneta ha perso dal 2019 il 98% del suo valore. Ma la lista dei gravi disordini economici è ben più lunga.

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all’economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 

Il continuo aumento dei tassi d’interesse da parte della Fed, seguito a ruota dalla Bce, sta avendo conseguenze catastrofiche soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Ciò ha spinto i capitali a lasciare questi Paesi e ha deprezzato le loro valute rispetto al dollaro. Ovvia conseguenza è l’aumento dei prezzi delle commodity, del costo delle importazioni, anche dei beni di sussistenza. Inoltre, l’enorme crescita del costo del debito li ha resi incapaci di far fronte al pagamento degli interessi.

    Si aggiunge una specifica situazione della Cina. Oltre agli effetti economici della pandemia, le sanzioni imposte a Pechino non colpiscono solo la Cina ma anche quei Paesi connessi alla sua “catena di approvvigionamenti”. Le merci cinesi che vanno nel resto del mondo non sono prodotte esclusivamente in Cina, ma soprattutto nei Paesi dell’Asia e dell’Africa che fanno parte della sua filiera produttiva.

    Il World economic outlook di gennaio 2023 del Fmi stima che il 15% dei Paesi a basso reddito sia in difficoltà debitoria, un altro 45% risulti esposto a grave minaccia di “sofferenza” mentre il 25% delle economie dei mercati emergenti sia anch’esso ad alto rischio.

    L’ultimo rapporto della Banca Mondiale rileva che alla fine del 2024 il pil dei Paesi emergenti e di quelli in via di sviluppo resterebbe del 6% sotto quello registrato prima della pandemia. Per loro si prevede un lungo periodo di debiti crescenti e pochi investimenti. I capitali, infatti, saranno assorbiti dalle economie avanzate, a loro volta colpite da tassi e debiti alti. Per 37 Paesi poveri la situazione sarà molto peggiore. Nell’Africa sub-sahariana si stima un aumento del tasso di povertà assoluta durante tutto il biennio 2023-2024.

    Il vero problema, soprattutto per noi occidentali, è che si prendono iniziative prettamente geopolitiche legate alla sicurezza e alla forza militare, spesso senza valutarne le conseguenze economiche e sociali in altre parti del mondo. Gli effetti impattano i Paesi geograficamente lontani, ma poi si riverberano in casa nostra.

    Di solito, quando i governi sono costretti a ridurre i bilanci, tagliano le spese sociali. Ciò porta all’instabilità politica e a rivolte popolari. Globalmente siamo di fronte a situazioni peggiori di quanto sperimentato, a cavallo del primo decennio di questo secolo, quando la speculazione sui beni alimentari ha mischiato l’inflazione con le cosiddette “primavere arabe”.

    Il Libano, ad esempio, sta affrontando quella che la Banca mondiale ha definito “una tra le crisi più gravi a livello globale dalla metà del XIX secolo”. Dal 2019 la moneta ha perso il 98% del suo valore.

    In Iraq, le proteste sono scoppiate a Baghdad per il crollo del dinaro, la valuta irachena.

    In Egitto, il valore della sterlina egiziana in un anno si è dimezzato mentre i prezzi sono aumentati.

    L’anno scorso lo Sri Lanka, nel mezzo di rivolte sociali, è stato inadempiente per la prima volta nella sua storia. Oggi le autorità hanno aumentato il prezzo dell’elettricità del 66% nel tentativo di ottenere un salvataggio dal Fmi.

    Il Pakistan sta affrontando la sua peggiore crisi economica, con mancanze di gas, interruzioni di corrente, aumenti dei prezzi.

    In Argentina, l’inflazione ha raggiunto, di nuovo, quasi il 100% su base annua.

    Alti tassi e inflazione sono un mix esplosivo. Il caso dell’Argentina è emblematico, dove il tasso della banca centrale è salito dal 35% di un anno fa al 75% di oggi. Allora la pensione media era di 450 dollari al mese, oggi di 150.

    L’aumento del tasso d’interesse della Fed ha spinto anche quello della banca centrale del Brasile dal 10,7% di un anno fa al 13,75% di oggi.

    In Messico, il tasso d’interesse è quasi raddoppiato, passando dal 6% all’11,25%.

    Il tasso d’interesse della Nigeria è aumentato dall’11,5% al 17,5%, l’inflazione è del 22%.

    Il mondo sta pagando un altissimo prezzo. Le cause, secondo noi, sono l’acquiescenza della Fed di fronte a una finanza aggressiva, i suoi errori di valutazione e i suoi mancati interventi. Non è un caso che, come per la cecità dimostrata alla vigilia della grande crisi finanziaria del 2008, oggi, fino all’ultimo minuto, la Fed ha continuato a ripetere che l’inflazione era “transitoria”. Tutto è transitorio, ma il problema è la durata della transizione e le sue conseguenze.

    In Europa non c’è da stare tranquilli. La Bce ha sempre dimostrato la sua “straordinaria indipendenza”, ma ripetendo qualche mese dopo gli stessi errori della Fed.

       

       

Politica

 

MACRON E LA RIVOLUZIONE DELLE PENSIONI

 

È dal 1789, dai tempi della rivoluzione, che i francesi hanno preso a scendere in piazza per ribaltare le leggi, anche se approvate da parlamenti democratici.

 

di Giulietta Rovera

 

I tentativi di silurare le riforme del sistema pensionistico sono iniziati subito dopo che la Francia, ispirandosi al rapporto Beveridge del 1942, creò lo stato sociale. E dal 1945 sono continuati periodicamente. Gli sforzi per modificare i diritti pensionistici, considerati una delle sacrosante conquiste sociali del dopoguerra, hanno sempre suscitato reazioni violente, come i vari presidenti francesi hanno constatato a loro spese.

    Già nel 1953 il governo abbandonò il tentativo di riforma dopo gli scioperi del settore pubblico. Nel 1995 il governo conservatore del neoeletto Jacques Chirac ottenne l’approvazione parlamentare di una legge che fondeva i regimi pensionistici privilegiati dei lavoratori del settore pubblico con il sistema pensionistico generale. Ma Alain Juppé, l’allora primo ministro, fu costretto ad abbandonare la riforma, che era già legge, dopo settimane di scioperi dei dipendenti pubblici, paralisi dei trasporti e violente manifestazioni. Una sconfitta dalla quale Chirac non si è mai ripreso. Nonostante la batosta, nel 2003 il suo governo è riuscito a realizzare un riavvicinamento delle pensioni del settore pubblico al settore privato.

    Chi ha affrontato con successo i disordini, ignorando settimane di scioperi indotti per impedire l’innalzamento dell’età pensionabile a 62 anni, dai 60 fissati dal presidente Mitterrand nel 1982, è stato Sarkozy nel 2010. Le battaglie sono riprese nel 2019, quando Macron ha prodotto la più grande riscrittura del sistema di pensionamento mai tentata, decidendo di abolire i 42 regimi pensionistici del Paese e creare un sistema unico con un aumento dell’età pensionabile a 64 anni. Godendo della maggioranza assoluta, Macron era sicuro della vittoria, ma settimane di scioperi dei trasporti, proteste e interruzioni bloccarono il progetto. L’epidemia di Covid all’inizio del 2020 lo obbligò a fare marcia indietro.

    La proposta attuale è meno radicale della versione precedente. L’innalzamento dell’età pensionabile avverrebbe non subito ma in modo graduale, con tre mesi di vita lavorativa in più aggiunti ogni anno fino al 2030. La nuova legge prevede inoltre esenzioni per coloro che svolgono lavori usuranti e che le pensioni privilegiate del settore pubblico siano lasciate intatte. Eppure l’opposizione è più feroce che mai. Per molti, infatti, la soglia della pensione è considerata sacrosanta, espressione inviolabile della responsabilità dello Stato nei confronti del singolo, un elemento prezioso del contratto sociale in un paese in cui molti vedono il lavoro come una fatica imposta da una società ingiusta.

    Con la sua bassa età pensionabile, la Francia è un’anomalia in un mondo in cui l’aspettativa di vita si è allungata, ma, paradossalmente, i sondaggi suggeriscono che dieci anni fa l’accettazione pubblica della necessità di riforme era maggiore di quella attuale.

    Macron considera il portare l’età pensionabile a 64 anni il pilastro del suo programma di modernizzazione per il suo secondo mandato. Ma i leader sindacali lo hanno avvertito: “Se vuole fare di questa la madre di tutte le riforme, per noi sarà la madre di tutte le battaglie.” Per costringere il capo dello Stato a un’inversione di marcia e bloccare la “crudele” riforma, hanno minacciato di fermare il Paese con scioperi e proteste. Minaccia attuata a partire dal 19 gennaio con lo sciopero nazionale di 24 ore, che ha portato alla cancellazione di treni e voli ed è stato accompagnato da interruzioni nelle scuole, negli ospedali e nelle raffinerie di petrolio. La manifestazione ha rappresentato la più grande dimostrazione di forza da parte dei sindacati da quando il presidente Sarkozy ha innalzato l’età pensionabile nel 2010.

    Proprio perché in Francia la stragrande maggioranza dei 17,4 milioni di pensionati fa affidamento sul sistema statale per il proprio reddito, la situazione si sta rivelando drammatica. L’iniziativa di Macron fa seguito alla pubblicazione in autunno di un rapporto da cui è emerso che, senza riforme, la spesa annuale per le pensioni statali supererebbe i contributi di dipendenti e datori di lavoro per i prossimi cinquant’anni, aggiungendo centinaia di miliardi di euro al debito nazionale, che già ammonta a € 2,9 trilioni.

    Il rapporto del Retirement Orientation Council ha evidenziato che la Francia aveva 2,1 lavoratori per ogni pensionato nel 2000, ma solo 1,7 nel 2020. Entro il 2070, quando si prevede che l’aspettativa di vita media sarà di 90 anni per le donne e 87 anni e sei mesi per gli uomini, la Francia avrà solo 1,2 lavoratori per ogni pensionato, a meno che i francesi non accettino di ritardare il pensionamento.

    Nel suo messaggio di Capodanno, Macron aveva affermato che il sistema pensionistico statale è a rischio collasso. “Dobbiamo lavorare di più”, aveva detto. Eppure il messaggio è impopolare. Che l’opinione pubblica sia contraria al cambiamento del regime pensionistico lo ha rilevato un sondaggio pubblicato di recente da cui risulta che il 68% degli intervistati è ostile al piano. Gli oppositori di Macron, a sinistra e a destra, sperano di cavalcare questa ondata di malcontento e infliggere una sconfitta umiliante al presidente centrista.

    Marine Le Pen, leader populista di destra, vuole mantenere la pensione a 62 anni per la maggior parte delle persone e ridurla a 60 per coloro che iniziano a lavorare prima dei 20, mentre Jean-Luc Mélenchon, leader del blocco di sinistra, vuole addirittura riportare la pensione a 60 anni, dove l’aveva stabilita il presidente Mitterrand nel 1982. Tuttavia se il sistema pensionistico rimarrà invariato, presto si avrà un disavanzo annuo dello 0,8 per cento del prodotto interno lordo.

    Il compito di Macron è aggravato dalla convinzione cronica e generalizzata che il paese stia andando in malora. Con la pandemia, la guerra, il cambiamento climatico, l’inflazione e le minacce di interruzioni di corrente, l’atmosfera è cupa. Un calo dei servizi pubblici normalmente eccellenti ha acuito il senso di collasso. Nonostante le tasse altissime che li finanziano, mancano i medici, gli ospedali sono affollati e gli alunni delle scuole sono al di sotto dei livelli europei con un crollo delle competenze di base. Il sistema giudiziario è soffocato da anni di casi arretrati e l’immigrazione clandestina e la criminalità sono percepite dal pubblico come una minaccia nazionale.

    Macron ha cercato di porre rimedio a tutti questi settori negli ultimi mesi, ma i suoi annunci hanno incontrato un misto di fatalismo e indifferenza. Il futuro si presenta tutt’altro che roseo per il presidente francese.

 

Da La Rivoluzione Democratica

https://www.rivoluzionedemocratica.it/

      

   

L’Avvenire dei lavoratori

 

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da >>> TERZO GIORNALE *)

https://www.terzogiornale.it/

 

El Salvador, allarme diritti umani

 

Il “Cecot”, un nuovo carcere di massima sicurezza, il più grande dell’America latina, è stato voluto dal presidente Bukele per contrastare le bande criminali che imperversano nel Paese

 

di Ludovica Costantini

 

Le immagini dei detenuti salvadoregni hanno fatto negli ultimi giorni il giro del mondo (vedi): ammanettati, con la testa bassa, e i tatuaggi tipici dei pandilleros bene in vista, quasi accovacciati uno sull’altro nel nuovo mega-carcere aperto nel Salvador. Si tratta del Centro de confinamiento del terrorismo (“Cecot”), presentato come la più grande prigione dell’America latina, fortemente voluto dal presidente Nayib Bukele, nel contesto della “guerra contro le bande” portata avanti dallo Stato salvadoregno (di cui ci siamo già occupati, v.qui).

    Il Centro è stato inaugurato il 31 gennaio a Tecoluca. Secondo il governo, nelle strutture saranno rinchiusi circa quarantamila detenuti. Il “Cecot” dispone di una specifica tecnologia per scansionare ed esaminare ciascuno dei detenuti, oltre che di una sorveglianza militare interna ed esterna permanente. Nel complesso carcerario c’è una serie di celle che ospiteranno fino a ottanta detenuti l’una, mentre un diverso trattamento è destinato a chiunque finisca in isolamento: in questo caso, il detenuto verrà trasferito in una cella buia, senza luce naturale né artificiale, con uno spazio personale ristretto e controllato. L’intera struttura non è dotata di cortili, spazi ricreativi o aree di incontro: quindi i detenuti sono autorizzati a lasciare la cella solo per assistere ai processi, che avverranno, però, in modalità virtuale azzerando ogni contatto possibile con il mondo esterno.

    Già duemila prigionieri sono stati trasferiti nel Centro, ed è lo stesso Bukele a condividere le immagini che hanno acceso il dibattito sulla condizione dei diritti umani in questo carcere: prelevati dalle loro celle dagli agenti penitenziari, ammanettati e costretti a camminare con il corpo piegato, vestiti solo con biancheria intima bianca e le mani dietro la nuca. Nel vedere queste immagini appare chiaro il motivo di preoccupazione delle organizzazioni per i diritti umani.

    Amnesty International e Human Rights Watch hanno messo in guardia sulle condizioni “subumane” in cui vivrebbero i detenuti, alcuni dei quali sono effettivamente appartenenti a bande pericolose come la Mara Salvatrucha (MS-13), mentre altri non sono stati neppure condannati, e sono rimasti vittime di arresti arbitrari nell’operazione di guerra contra pandillas: una “guerra” che ha visto uno stato d’emergenza prolungato per diversi mesi, durante i quali molte garanzie sono venute meno e numerosi sono stati gli arresti illegittimi. Questo è stato confermato da un report di Humans Right Watch, pubblicato dopo che erano stati resi noti dei database governativi, con l’elenco delle persone arrestate tra marzo e agosto 2022, cioè nel periodo dello stato di emergenza, in cui si sosteneva che migliaia di persone, tra cui centinaia di bambini, sono “state arrestate e accusate di reati definiti in modo impreciso e approssimativo, e che violano le garanzie fondamentali del giusto processo dei detenuti”.

    Anche il presidente colombiano, Gustavo Petro, si è espresso sulla questione, definendo il Centro un “campo di concentramento, che vorrebbe far credere ai cittadini che questa sia la vera sicurezza, facendo così salire alle stelle la popolarità (del presidente, ndr)”.

    A ciò Bukele risponde sul suo account Twitter, dicendo semplicemente che i risultati contano più della retorica.

    Dalla pagina Twitter di Amnistía Internacional Américas trapela molta preoccupazione: l’organizzazione ha infatti denunciato un modello di violazione dei diritti umani nell’ambito dell’attuale approccio alla sicurezza pubblica in El Salvador. La costruzione della nuova prigione è un segnale inequivocabile che le autorità intendono continuare ad applicare una politica della carcerazione di massa, senza affrontare le cause profonde della violenza nel Paese.

    Anche gli Stati Uniti si sono collegati agli avvertimenti sulla protezione dei diritti umani. Lo hanno fatto attraverso il portavoce della diplomazia locale, che ha ricordato la “responsabilità di garantire la sicurezza della popolazione”, ma anche la necessità di rispettare i diritti umani. Pur sottolineando “la sfida” che “fermare la violenza delle bande” rappresenta per il Paese centroamericano, è stato ribadito che lo Stato deve “garantire un giusto processo legale”.

(continua sul sito)

 

*) Terzo Giornale – La Fondazione per la critica sociale e un gruppo di amici giornalisti hanno aperto questo sito con aggiornamenti quotidiani (dal lunedì al venerdì) per fornire non un “primo” giornale su cui leggere le notizie, non un “secondo”, come si usa definire un organo di commenti e approfondimenti, ma un giornale “terzo” che intende offrire un orientamento improntato a una rigorosa selezione dei temi e degli argomenti, già “tagliata” in partenza nel senso di un socialismo ecologista. >>> vai al sito

       

         

L’Avvenire dei lavoratori – Voci su Wikipedia :

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Da Avanti! online

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Cina, Giappone e Usa

e le ragioni economiche

 

di Salvatore Rondello

 

Il governatore della Federal Reserve Jerome Powell ha avvertito che la Banca centrale deve essere pronta a muoversi più velocemente e che i tassi potrebbero raggiungere un picco più alto se i dati lo giustificassero. Sui mercati pesa anche l’obiettivo di crescita deludente per la Cina annunciato durante il Congresso nazionale del popolo nel fine settimana, dove il premier Li Keqiang ha fissato un target sul Pil del 5% per il 2023.

    Il settore tecnologico di Hong Kong è sceso di oltre il 3% dopo che la Cina ha annunciato la creazione di una nuova agenzia per gestire i dati e dare più potere al ministero della scienza e della tecnologia. Anche le azioni dei titoli ciclici di consumo hanno subito forti perdite mercoledì, così come la sanità, il settore immobiliare e quello industriale.

    Secondo Bloomberg, il presidente Xi Jinping ha svelato il più grande rimpasto dei vertici della burocrazia cinese degli ultimi decenni, durante la riunione annuale del Congresso, parte di una spinta radicale per rendere l’economia autosufficiente di fronte agli sforzi degli Stati Uniti per impedire a Pechino di ottenere tecnologia avanzata dall’Occidente.

    Il piano vuole rafforzare la supervisione del suo sistema finanziario da 60.000 miliardi di dollari, creando una nuova agenzia per la gestione dei dati, ristrutturando il Ministero della Scienza e della Tecnologia. Le mosse sono arrivate quando il nuovo ministro degli Esteri Qin Gang ha avvertito che gli sforzi degli Stati Uniti per «contenere e sopprimere» la Cina rappresentano dei rischi per il futuro dell’umanità.

    L’indice sul dollaro (Dollar Index) si è mantenuto sopra 105,5, attestandosi sui livelli più alti degli ultimi tre mesi dopo che il governatore della Federal Reserve Jerome Powell ha offerto una prospettiva più aggressiva sulla politica monetaria rispetto a quanto previsto dai mercati.

    Powell ha avvertito che il livello finale dei tassi di interesse potrebbe essere più alto di quanto previsto in precedenza alla luce di dati economici più forti del previsto. Ha anche affermato che la Banca centrale è pronta ad aumentare il ritmo degli aumenti dei tassi se i dati lo giustificassero.

    I mercati ora prezzano la probabilità del 70% di un aumento dei tassi di 50 punti base a marzo, secondo il FedWatch di Cme, rispetto alla probabilità del 30% di un giorno fa. Il dollaro ha scalato i massimi da diversi mesi contro tutte le principali valute, soprattutto contro il dollaro australiano.

    Il deficit del Giappone è salito a 1.976,6 miliardi di yen a gennaio 2023 da un surplus di 33,4 miliardi di yen registrato a dicembre, ben oltre le aspettative del mercato per un deficit di 818,4 miliardi di yen.

    È il più grande disavanzo storico del Giappone causato da costi dell’energia ostinatamente elevati che hanno pesato sull’economia del Paese. Quest’ultimo dipende fortemente dall’importazione di combustibili e materie prime.

    Le importazioni sono cresciute a livello annuale del 22,3% a 10.005 miliardi di yen a dicembre, superando di gran lunga un aumento del 3,4% delle esportazioni a 6.823 miliardi di yen.

    La Cina avverte gli Stati Uniti di smettere di cercare di contenere e comprimere Pechino per evitare un conflitto che diventerebbe inevitabile e che avrebbe conseguenze catastrofiche. Il declino nei rapporti tra le due grandi potenze è stato al centro della conferenza stampa del ministro degli Esteri cinese, Qin Gang, che ha lanciato avvertimenti a Washington su tutti gli aspetti delle relazioni bilaterali, dalla questione di Taiwan alla guerra in Ucraina, puntando, infine, il dito contro gli Usa per l’incidente diplomatico innescato dalla crisi del pallone spia cinese abbattuto al largo delle coste del South Carolina il mese scorso.

    Qin Gang ha parlato a margine dei lavori della sessione plenaria dell’Assemblea Nazionale del Popolo, l’organo legislativo del parlamento cinese, in corso a Pechino, da cui è atteso il rinnovo della classe dirigente cinese e la riconferma di Xi Jinping al vertice dello Stato con l’inizio del terzo mandato come presidente cinese.

    Proprio da Xi, nelle scorse ore, erano giunte dure critiche all’Occidente. In un quadro tratteggiato dal presidente cinese, i rischi e le sfide che la Cina dovrà affrontare aumentano e diventano sempre più gravi.

    Il ministro degli Esteri cinese ha affermato: “La Cina difenderà i propri interessi nazionali e si opporrà alla mentalità da Guerra Fredda”. Ha così indicato la direzione che prenderà la diplomazia cinese sotto la sua guida, una direzione tracciata dall’Assemblea Nazionale del Popolo.

    Nella prima conferenza stampa da ministro degli Esteri di Pechino, ha sottolineato che la Cina perseguirà il multilateralismo e si opporrà alle sanzioni unilaterali e alla separazione delle economie.

    Gli Stati Uniti, dove è stato ambasciatore cinese fino a fine 2022, quando venne nominato ministro degli Esteri, sono il bersaglio principale delle sue parole. A surriscaldare i toni è il caso innescato dall’incidente del pallone spia: un incidente diplomatico che si poteva evitare, secondo il diplomatico cinese, frutto di una percezione distorta della Cina da parte degli Usa.

    Qin ha detto: “Se gli Stati Uniti non tireranno il freno e continueranno sul sentiero sbagliato, ci sarà sicuramente un conflitto. Chi ne sopporterà le catastrofiche conseguenze? Il contenimento e la repressione non faranno grande l’America e non fermeranno il rinnovamento della Cina”.

    Nelle complesse relazioni con gli Stati Uniti non potevano mancare le tensioni su Taiwan. Nessuno deve sottovalutare la determinazione di Pechino per la “riunificazione” dell’isola alla Cina, ha avvertito il ministro degli Esteri, che ha anche letto un passaggio della Costituzione cinese in cui si sottolinea l’appartenenza di Taiwan al territorio cinese.

    In proposito Qin ha avvertito: “Se la questione di Taiwan non viene gestita bene, le relazioni tra Cina e Stati Uniti ne risentiranno e gli Stati Uniti dovrebbero smettere di usare la questione di Taiwan per cercare di contenere la Cina”.

    In aperto contrasto rispetto alle tensioni con gli Stati Uniti e l’Occidente è il rapporto con la Russia. Quella che emerge dalle parole del titolare degli Esteri di Pechino è la contrapposizione netta tra un Occidente che cerca la provocazione e lo scontro e un rapporto con la Russia presentato come ancora di stabilità a livello globale.

    Qin ha precisato: “Le relazioni tra Pechino e Mosca sono un buon esempio di relazioni tra grandi Paesi, e con la partnership strategica complessiva tra Cina e Russia il mondo avrà una forza trainante per il multilateralismo”.

    Non poteva mancare, infine, un riferimento alla guerra in Ucraina, per la cui soluzione politica Pechino ha presentato un piano in dodici punti, fortemente criticato dall’Occidente per l’assenza di una condanna dell’aggressione russa all’Ucraina. Pechino non ha fornito armi alle parti in conflitto, ha affermato il ministro degli Esteri, che ha sottolineato le preoccupazioni della Cina.

    Per Pechino, la crisi ucraina è giunta a un punto critico e i colloqui di pace devono cominciare il prima possibile. Pur senza menzionarli direttamente, il ministro degli Esteri ha lanciato una velata critica agli Stati Uniti: “Sembra che ci sia una mano invisibile che spinga per l’escalation e che usa per la propria agenda geopolitica una crisi, che poteva essere evitata”.

    Tutto ciò ci lascia immaginare quanto siano complicate in questo momento le relazioni geopolitiche in cui è in gioco l’egemonia economica e politica sul mondo senza pensare alle esigenze dell’umanità che subisce le guerre, la fame e le malattie.

       

                          

A cura di Anbamed, notizie

dal Sud Est del Mediterraneo

 

Tunisia proteste sindacali

 

Il sindacato dei lavoratori UGTT e quello dei giornalisti, insieme ad una trentina di associazioni tunisine della società civile e per i diritti umani, hanno emesso un comunicato comune di condanna alle parole del ministro dell’interno, Tawfiq Sharafuddine, espresse durante un suo intervento pubblico a Ben Gardane, nell’est del paese al confine con la Libia.

    Le dichiarazioni sono state riportate dai media filo governativi e sulle pagine social del governo. Il ministro ha bollato come traditori tutti coloro che si oppongono al governo: “L’élite politica tunisina è una catastrofe. Giornalisti mercenari, imprenditori, sindacalisti e politici che hanno venduto la nazione. Si sono alleati contro il popolo… sono dei traditori”.

    I sindacati e le associazioni hanno definito il discorso del ministro come “divisivo, populista e pericoloso”, hanno chiesto le scuse pubbliche del ministro ed il ritiro del testo del discorso da tutti i siti ufficiali del governo.

       

     

IPSE DIXIT

 

Come regolamentare l’immigrazione – «Eh, be’, ma non possiamo mica fare entrare tutti.» – Un occidentale nostro contemporaneo

 

Un estemporaneo scrittore orientale – «Ma salvate almeno i bambini!» – Lu Xun

 

Lu Xun (Shaoxing, 25 settembre

1881 – Shanghai, 19 ottobre 1936)

      

       

L’Avvenire dei lavoratori

 

Visita il BLOG dell’ADL curato da Tiziana Stoto (KOLORATO)

     

  

LETTERA

 

ma ora il Pd è ‘occupied’ ?

 

Vedrò come si comporterà nei fatti Elly Schlein; non mi piace lo slogan iniziale “occupy Pd” e infatti il Pd è ‘occupied’; non mi piace che una persona (eletta più volte coi voti del popolo del Pd) si sia candidata a dirigerlo senza essere neppure iscritta o iscrivendosi all’ultimo momento; mi preoccupa che le parole dell’inclusione e dell’accoglienza siano gridate all’esterno, ma non praticate dentro il partito dal quale emergono sintomi di disagio da parte di molti iscritti…

 

Scusate l’invasione

Anna Grattarola

       

    

L’Avvenire dei lavoratori

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

 

L’Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigra­zione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall’Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all’estero, L’ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon­diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l’Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L’ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l’integrazione dei mi­gran­ti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all’eclissi della sinistra italiana, diamo il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appar­tiene a tutti.

 

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