L’ADL del 23 marzo 2023

L’Avvenire dei lavoratori

23 marzo 2023 – e-Settimanale della più antica testata della sinistra italiana

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il 20 maggio prossimo a zurigo

 

IERI OGGI E DOMANI

Una giornata sulle prospettive dell’emigrazione e della sinistra italiana

 

Sono stati invitati alla “Giornata Cooperativa 2023” il prof. Alberto Aghemo, l’on. Felice Besostri, il prof. Emidio Campi, l’on. Vreni Hubmann, lo storico Francesco Mandarano, il prof. Marco Morosini, l’on. Franco Narducci, l’on. Toni Ricciardi, il missionario cattolico don Antonio Spadacini, l’on. Anita Thanei, nonché i presidenti emeriti della Federazione delle Colonie Libere Italiana in Svizzera Anna-Maria Cimini e Giangi Cretti.

 

 

A inizio della manifestazione avrà luogo la consegna del “Premio Coopi 2023” che è stato attribuito a una personalità di spicco nel mondo dell’emigrazione italiana in Svizzera. Appuntamento al Ristorante Cooperativo, il 20/5/2023, dalle ore 12.30 (con rinfresco).

       

  

L’Avvenire dei lavoratori

 

Visita il BLOG dell’ADL curato da Tiziana Stoto (KOLORATO)

     

            

Su Radio Radicale

https://www.radioradicale.it/

 

Giorgia vs Elly

che partita è? 

 

Se la politica si riarticola su due leadership al femminile come quelle di Giorgia Meloni ed Elly Schlein.

 

 

Enrico Cisnetto ne ha parlato con Mattia Feltri (Direttore HuffPost Italia), Alessandra Ghisleri (Direttrice Euromedia Research) e Giovanni Orsina (Professore di Storia Contemporanea, Direttore School of Government Università Luiss). 

 

Vedi sul sito

       

      

politica ed economia

 

Credit Suisse, rischio contagio

e bolla globale dei derivati

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all’economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 

1. Credit Suisse e la bolla globale dei derivati – Il credito di salvataggio di ben 54 miliardi di dollari da parte della Banca centrale svizzera non è bastato a stabilizzare il Credit Suisse. Anche la fusione con la più grande banca elvetica, l’Ubs, non sembra calmare le acque turbolente dei mercati finanziari internazionali. La ragione, di cui si tende a non parlare, è una e semplice: l’esposizione in derivati finanziari speculativi otc, quelli non regolamentati e tenuti fuori bilancio, del Credit Suisse e delle banche too big to fail. In particolare quelle americane. 

    L’ultimo rapporto sui derivati dell’Office of the Comptroller of the Currency, l’agenzia Usa di controllo bancario, ha rilevato che, al 30 settembre 2022, quattro banche statunitensi detenevano ben 195.000 miliardi di dollari di derivati finanziari, pari all’88,6% del valore nozionale di quelli presenti nel sistema bancario nazionale. JPMorgan Chase ne deteneva 54.300 miliardi di dollari, Goldman Sachs 50.970, Citibank 46.000 e Bank of America 21.600. Sebbene la legislazione Dodd-Frank, promulgata dopo la grande crisi del 2008, richiedesse che i derivati passassero attraverso la compensazione centrale, il 58,3% di essi non lo fa, rimanendo nella totale opacità.

    Anche un recente studio della Banca dei regolamenti internazionali analizza le gravi complicazioni nella gestione dei derivati ed evidenzia che “le banche estere con sede al di fuori degli Stati Uniti hanno un debito in derivati otc di 39.000 miliardi. Più del doppio del loro debito registrato in bilancio e più di 10 volte il loro capitale”. Un’esposizione ritenuta “sbalorditiva” e foriera di nuovi sconvolgimenti.

    Il Tesoro Usa sta esaminando l’esposizione delle banche statunitensi verso il Credit Suisse. Non si scopre adesso che il sistema bancario internazionale è strettamente interconnesso e che la crisi di un componente importante può diventare sistemica. Perciò, non regge la giustificazione secondo cui il problema sarebbe di origine estera, come le autorità americane hanno più volte sostenuto.

    Negli Usa il quadro normativo distingue le banche con sede sul territorio nazionale da quelle con sedi estere. Queste ultime non sono sottoposte agli stessi standard, come i requisiti patrimoniali e una liquidità più stringente. Conoscendo bene i rischi, l’hanno fatto per attirare negli Usa capitali, anche speculativi, per restare, a tutti i costi, il mercato dominante.  

    La storia delle crisi del Credit Suisse è stata bellamente ignorata per anni e consapevolmente sottovalutata. D’altra parte, rivelava la malattia dell’interno sistema che non s’intendeva affrontare drasticamente e curare.

    Nel 2021 la banca aveva perso 5,5 miliardi di dollari a seguito di derivati pericolosi con l’hedge fund speculativo americano Archegos Capital Management, poi fallito. I segnali di allarme furono ignorati da tutti, non solo dal Credit Suisse. Quest’ultimo era già stato coinvolto, con forti perdite, anche nello scandalo e nel fallimento di Greensill Capital, la società di servizi finanziari britannica, che aveva lasciato un buco di 10 miliardi. In precedenza aveva pagato una multa di 5,3 miliardi di dollari alle autorità americane per aver ingannato gli investitori sul rischio dei titoli subprime legati alle ipoteche immobiliari.   

    Credit Suisse, quindi, ha sempre operato sul mercato Usa. Da anni controlla la First Boston. Tra i suoi azionisti vi sono gli arabi, Arabia Saudita e Qatar, con il 20% e, poi, come sempre c’è l’onnipresente fondo americano BlackRock con circa il 5% delle azioni.

    Ben sapendo che si mettono in difficoltà le banche che hanno ingenti investimenti in titoli di Stato a lunga scadenza e a basso rendimento, l’aumento dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali sembra essere una scelta obbligata. Nelle loro intenzioni mettere un freno all’inflazione resta la priorità, per evitare sconquassi economici e sociali. Per gli istituti finanziari in crisi metteranno a disposizione decine, centinaia di miliardi. 

    È chiaro, però, che simili salvataggi pubblici non sono la soluzione. A ogni crisi il problema si ripresenta in dimensioni maggiori e peggiori.

    Perciò non ci si dovrebbe mai stancare di ripetere che una riforma globale della finanza è necessaria e ineludibile. Per riportare un po’ di sanità nel sistema finanziario, sarebbe opportuno ritornare alla separazione bancaria, alla legge Glass Steagall Act del presidente FD Roosevelt, e battere la speculazione attraverso l’accantonamento dei derivati otc e il divieto della cosiddetta leva finanziaria.  

     

2. IL rischio contagio – Quando il sistema finanziario è schiacciato dalle bolle causate dai debiti, è da irresponsabili portare le banche sulle montagne russe. Ciò che ha fatto la Federal Reserve e ancora facendo oggi. Il risultato più evidente è il fallimento della Silicon Valley Bank (Svb) di Santa Clara in California. Tutti ci auguriamo che non diventi l’inizio di un nuovo collasso finanziario globale come nel 2008.

    Durante il periodo del tasso d’interesse zero e dei Quantitative easing molte imprese, anche quelle zombie, come la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea definisce quelle in condizione quasi fallimentari, hanno ottenuto notevoli volumi di nuovi crediti dalle banche, anche di medie dimensioni. Adesso hanno grandi difficoltà nel pagamento del servizio sul debito.

    A loro volta, le banche hanno convenientemente acquistato grandi quantità di titoli di Stato, in particolare Treasury bond della durata di dieci anni, che pur con un rendimento modesto, rappresentavano una garanzia di stabilità, senza rischi e un interessante profitto rispetto allo zero assoluto.

    Il repentino e continuo aumento dei tassi d’interesse da parte della Fed, combinato con gli annunci di nuovi rialzi dei tassi per lunghi periodi futuri, sta stravolgendo i meccanismi finanziari. Per esempio, le obbligazioni del Tesoro con scadenza pari a uno o due anni offrono adesso interessi maggiori di quelle della durata di dieci anni emesse in passato. Una cosa irragionevole e destabilizzante. Il problema è sistemico, poiché il settore bancario ha in pancia una montagna di asset a basso rendimento, e sta peggiorando con l’aumento del tasso d’interesse della Fed.

La Svb è la banca in cui la maggior parte dei clienti sono società tecnologiche start up che depositano i prestiti ottenuti dal cosiddetto venture capital, cioè quei gruppi che finanziano i loro lavori in cambio di un ritorno futuro, quando i risultati e le nuove tecnologie saranno realizzati. I loro investimenti sono delle scommesse. L’aumento dei tassi d’interesse ha, tra l’altro, ridotto i flussi finanziari da parte del venture capital. Di conseguenza le start up hanno usato sempre più i loro depositi presso la Svb. Quest’ultima, già sotto pressione, ha aumentato notevolmente la vendita dei titoli in perdita. Caso emblematico è quello delle obbligazioni decennali che rendono meno di quelle annuali.

    Quando la Svb ha annunciato l’intenzione di mettere sul mercato 2,25 miliardi di dollari in nuove azioni per sostenere il proprio bilancio, la “bomba” è esplosa, provocando una corsa agli sportelli, in forma sia telematica sia fisica.  Per evitare il panico, la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), l’agenzia governativa indipendente che assicura i depositi bancari e sovrintende alle istituzioni finanziarie, è subito intervenuta garantendo i depositi fino a 250.000 dollari e altre misure di sostegno per le parti non assicurate.

    La Svb non è una too big to fail ma nemmeno una “banchetta”. È la sedicesima del sistema bancario americano. Ha un patrimonio pari a 212 miliardi di dollari. Si tratta del secondo più grande fallimento bancario nella storia degli Usa, dopo la bancarotta della Washington Mutual, con asset pari a 318 miliardi, avvenuto nel settembre 2008, all’inizio della grande crisi finanziaria. È da tener presente che questo default non avviene in un mare calmo ma nelle tempeste provocate anche dal collasso del mercato delle criptovalute. Infatti, un’altra banca, la Signature Bank di New York, che conta molti depositi in cripto valute, e un patrimonio di 110 miliardi di dollari, è fallita dopo aver subito un crollo nel valore delle sue azioni e delle sue obbligazioni. Si tratta della terza bancarotta bancaria più grande nella storia americana. All’inizio di marzo anche la Silvergate Capital Corp., una piccola banca di San Diego legatissima alle criptovalute e con un patrimonio di quattordici miliardi di dollari, è fallita.

    Le decisioni della Fed stanno spingendo i mercati a muoversi nel breve e nel brevissimo periodo. Ciò rende il sistema instabile, imprevedibile e ad alto rischio. Le parole che circolano con timore sono “rischio di contagio” e “effetto domino”. Infatti, la fibrillazione provocata dalle azioni Svb in caduta libera, è stata grande, tanto che altri titoli bancari sono stati sospesi per evitare una slavina. 

    L’andamento dei tassi d’interesse sarà la spada di Damocle sui mercati e sul sistema finanziario e bancario internazionale. D’altra parte, non è un caso che i derivati finanziari over the counter siano concentrati per l’80% del loro valore nozionale totale (630.000 miliardi di dollari) sui tassi d’interesse.

    Per fortuna c’è Janet Yellen, segretario al Tesoro Usa, che ha espresso fiducia nella resilienza del settore bancario americano. La cosa, però, rassicura solo chi ci vuole credere. Nel frattempo la Fed ha iniziato un programma di crediti di emergenza alle banche in difficoltà, come la First Republic Bank, per evitare che vendano i Treasury bond in loro possesso e che abbiano dei fondi extra per far fronte a eventuali ritiri dei depositi da parte dei clienti.

             

           

SPIGOLATURE

 

ma putin

non è cicerone

 

di Renzo Balmelli

 

Pax CINESE. Dopo la missione di Xi Jinping a Mosca, Putin, ormai alle strette, si rivolge a Washington chiedendo fino a quando abuserà della sua pazienza. C’è di che trasecolare per questa abusiva citazione del monito indirizzato a Catilina da Cicerone. Sia nella forma che nella sostanza, l’incauta richiesta stravolge alla base la realtà del conflitto con l’Ucraina che il Cremlino ha scatenato e dal quale non intende recedere. A nessun altro tranne che all’invasore può essere attribuita la responsabilità di una guerra che – tra morti, feriti, prigionieri, bambini deportati e abitazioni distrutte – sta vieppiù assumendo le catastrofiche caratteristiche di una immane tragedia umanitaria. Caso mai dovrebbe essere la popolazione ucraina, duramente provata dai bombardamenti, a esigere che sia la Russia a non più abusare della pazienza altrui. In questa sconfortante situazione, ora si fa un gran parlare della cosiddetta “pax cinese”, assai difficile da decifrare nei suoi veri intenti. L’ipotesi, per altro remotissima, riguarda la possibilità di dar vita un nuovo ordine mondiale sul quale però la Cina, più attenta all’andamento del Pil che non del pianeta, si guarda bene dal fare proclami. Di “nuovi ordini” del genere i libri di storia traboccano e ben sappiamo come siano andati a finire. Finché la guerra non si sarà estinta con il ritiro delle truppe russe è fortemente probabile che il progetto tanto declamato serva unicamente ai superlativi del comunicato finale.

 

QUALITÀ. In politica si discute litigiosamente “di tutto e di più”. Dal Ponte sullo Stretto fino alle speculazioni intorno a Giorgia ed Ely che si “parlano” come i fidanzatini di un tempo, non mancano le occasioni per riempire pagine su pagine. A volte capita persino che il dibattito si sposti in campi non usuali, come le divergenze su un controverso pensatore ottocentesco qual è Ernest Renan. Attorno all’opera e alle idee di questo filosofo francese si è aperta una polemica nata dal richiamo della premier alle celebri espressioni di Renan sul concetto di nazione. Rispetto alle valutazioni diverse, spesso originate da espressioni superficiali di alcuni esponenti della destra, si è inserita la replica di Corrado Augias il quale dalle pagine della Repubblica ha contestato certe tonalità revansciste. Ma, al netto delle contrastanti ideologie, portare il dibattito su tali argomenti segna un certo innalzamento della contesa che può servire ad aprire una discussione utile alla qualità della politica.

 

Ernest Renan (1823-1892) nel suo studio

(ritratto di Auguste Renan – Wikipedia)

 

ICONA. Alla fine di ogni pranzo di gala è usanza offrire ai commensali un cioccolatino digestivo. Ma se il pasto, come nel caso del Credit Suisse, è stato troppo pesante, questo forse non basterà. Capita oltre tutto che le famose marche di cioccolato con il label Made in Switzerland vengano non di rado prodotte altrove, in Germania, in Francia, in Italia e in Slovenia. Per esempio l’avere trasferito in questo Paese parte della produzione del marchio “Toblerone”, unico nel suo genere, è una scelta che i consumatori non hanno gradito. Quel classico prodotto caratterizzato dall’iconica forma piramidale e triangolare che ricorda la cima delle montagne, non è più ciò che era. L’accordo impedisce al marchio di mostrare il Cervino sulle confezioni togliendo all’etichetta il suo aspetto originale e privandola di quel tocco di ‘svizzeritudine’ che la distingueva da tutte le altre tavolette presenti sugli scaffali.

 

DISASTRO. Quando crollano i miti, l’eco della fragorosa caduta è destinato a durare a lungo nel tempo. Stiamo parlando della fine ingloriosa del Credit Suisse, compagnia di bandiera del sistema bancario elvetico. Nelle ore concitate che hanno suggellato la scomparsa di uno degli istituti più antichi del paese alpino, si è consumato uno psicodramma difficile da riassorbire da un giorno all’altro. Privato di un mito che da anni si reggeva su gambe traballanti senza che venissero adottate le opportune contromisure, il mondo degli affari si è scoperto fragile e impreparato. Al di là delle considerazioni tecniche sull’operazione, condotta in un vorticoso giro di miliardi ben fuori dalla portata del comune cittadino, rimangono le conseguenze etiche e morali di quanto accaduto: uno schiaffo all’orgoglio nazionale elvetico, uno schiaffo che ha fatto molto male all’opinione pubblica, alla fiducia della clientela, ma che soprattutto ne farà al personale della banca sul quale incombe ora lo spettro dei licenziamenti. Anche gli ambienti vicini alla grande finanza non hanno esitato a bollare con parole durissime una scelta inevitabile che però non è valsa a dissipare le ombre ed i misteri di cui rimane circondata. Diceva Voltaire: Se qualche volta vedi saltare dalla finestra un banchiere svizzero, salta dopo di lui. Di sicuro c’è qualcosa da guadagnare. In questa vicenda, però, è poco probabile che qualcuno seguirebbe il consiglio del filosofo. Per uscire dall’attuale disastro occorrerà sì l’ottimismo predicato dal Candide volteriano, ma in dosi molto, molto massicce.

   

  

Politica

 

EMMANUEL MACRON E

LA RIVOLUZIONE DELLE PENSIONI

 

È dal 1789, dai tempi della Rivoluzione, che i francesi hanno preso a scendere in piazza per ribaltare le leggi, anche se approvate da parlamenti democratici. Ora il presidente Macron si è rivolto alla Grande Nation a reti unificate: «La riforma sulle pensioni è necessaria», ha detto. Ma è da ritenere che sindacati, partiti di opposizione, studenti e lavoratori continueranno a manifestare. Perché? Giulietta Rovera (La Rivoluzione Democratica) cerca di riscostruire cause e dinamiche di questo vasto scontro sociale.

 

di Giulietta Rovera

 

I tentativi di silurare le riforme del sistema pensionistico sono iniziati subito dopo che la Francia, ispirandosi al rapporto Beveridge del 1942, creò lo stato sociale.

    Da allora, dal 1945 sono continuati periodicamente. Gli sforzi per modificare i diritti pensionistici, considerati una delle sacrosante conquiste sociali del dopoguerra, hanno sempre suscitato reazioni violente, come i vari presidenti francesi hanno constatato a loro spese.

 

 

Già nel 1953 il governo abbandonò il tentativo di riforma dopo gli scioperi del settore pubblico. Nel 1995 il conservatore neoeletto Jacques Chirac ottenne l’approvazione parlamentare di una legge che fondeva i regimi pensionistici privilegiati dei lavoratori del settore pubblico con il sistema pensionistico generale. Alain Juppé, l’allora primo ministro, fu costretto ad abbandonare la riforma, che era già legge, dopo settimane di scioperi dei dipendenti pubblici, paralisi dei trasporti e violente manifestazioni. Una sconfitta dalla quale Chirac non si è mai ripreso. Nonostante la batosta, nel 2003 il suo governo è riuscito a realizzare un riavvicinamento delle pensioni del settore pubblico al settore privato.

    Chi ha affrontato con successo i disordini, ignorando settimane di scioperi indotti per impedire l’innalzamento dell’età pensionabile a 62 anni, dai 60 fissati dal presidente Mitterrand nel 1982, è stato Sarkozy nel 2010.

    Le battaglie sono riprese nel 2019, quando Macron ha prodotto la più grande riscrittura del sistema di pensionamento mai tentata, decidendo di abolire i 42 regimi pensionistici del Paese e creare un sistema unico con un aumento dell’età pensionabile a 64 anni. Godendo della maggioranza assoluta, Macron era sicuro della vittoria, ma settimane di scioperi dei trasporti, proteste e interruzioni bloccarono il progetto. L’epidemia di Covid all’inizio del 2020 lo obbligò a fare marcia indietro.

    La proposta attuale è meno radicale della versione precedente. L’innalzamento dell’età pensionabile avverrebbe non subito ma in modo graduale, con tre mesi di vita lavorativa in più aggiunti ogni anno fino al 2030. La nuova legge prevede inoltre esenzioni per coloro che svolgono lavori usuranti e che le pensioni privilegiate del settore pubblico siano lasciate intatte. Eppure l’opposizione è più feroce che mai. Per molti, infatti, la soglia della pensione è considerata sacrosanta, espressione inviolabile della responsabilità dello Stato nei confronti del singolo, un elemento prezioso del contratto sociale in un paese in cui molti vedono il lavoro come una fatica imposta da una società ingiusta.

    Con la sua bassa età pensionabile, la Francia è un’anomalia in un mondo in cui l’aspettativa di vita si è allungata, ma, paradossalmente, i sondaggi suggeriscono che dieci anni fa l’accettazione pubblica della necessità di riforme era maggiore di quella attuale.

    Macron considera il portare l’età pensionabile a 64 anni il pilastro del programma di modernizzazione per il suo secondo mandato. Ma i leader sindacali lo hanno avvertito: “Se vuole fare di questa la madre di tutte le riforme, per noi sarà la madre di tutte le battaglie.” Per costringere il capo dello Stato a un’inversione di marcia e bloccare la “crudele” riforma, minacciano di fermare il Paese con scioperi e proteste. Minaccia attuata il 19 gennaio con lo sciopero nazionale di 24 ore, che ha portato alla cancellazione di treni e voli ed è stato accompagnato da interruzioni nelle scuole, negli ospedali e nelle raffinerie di petrolio. La manifestazione ha rappresentato la più grande dimostrazione di forza da parte dei sindacati da quando il presidente Sarkozy ha innalzato l’età pensionabile nel 2010.

    Proprio perché in Francia la stragrande maggioranza dei 17,4 milioni di pensionati fa affidamento sul sistema statale per il proprio reddito, la situazione si sta rivelando drammatica. L’iniziativa di Macron fa seguito alla pubblicazione in autunno di un rapporto da cui è emerso che, senza riforme, la spesa annuale per le pensioni statali supererebbe i contributi di dipendenti e datori di lavoro per i prossimi cinquant’anni, aggiungendo centinaia di miliardi di euro al debito nazionale, che già ammonta a € 2,9 trilioni.

    Il rapporto del Retirement Orientation Council ha evidenziato che la Francia aveva 2,1 lavoratori per ogni pensionato nel 2000, ma solo 1,7 nel 2020. Entro il 2070, quando si prevede che l’aspettativa di vita media sarà di 90 anni per le donne e 87 anni e sei mesi per gli uomini, la Francia avrà solo 1,2 lavoratori per ogni pensionato, a meno che i francesi non accettino di ritardare il pensionamento.

    Nel suo messaggio di Capodanno, Macron aveva affermato che il sistema pensionistico statale è a rischio di collasso. “Dobbiamo lavorare di più”, aveva detto. Eppure il messaggio è impopolare. Che l’opinione pubblica sia contraria al cambiamento del regime pensionistico lo ha rilevato un sondaggio pubblicato di recente da cui risulta che il 68% degli intervistati è ostile al piano. Gli oppositori di Macron, a sinistra e a destra, sperano di cavalcare questa ondata di malcontento e infliggere una sconfitta umiliante al presidente centrista.

    Marine Le Pen, leader populista di destra, vuole mantenere la pensione a 62 anni per la maggior parte delle persone e ridurla a 60 anni per coloro che iniziano a lavorare prima dei 20 anni, mentre Jean-Luc Mélenchon, leader del blocco di sinistra, vuole addirittura riportare la pensione a 60 anni, dove l’aveva stabilita il presidente Mitterrand nel 1982. Tuttavia se il sistema pensionistico rimarrà invariato, presto si avrà un disavanzo annuo dello 0,8 per cento del prodotto interno lordo.

    Il compito di Macron è aggravato dalla convinzione cronica e generalizzata che il paese stia andando in malora. Con la pandemia, la guerra, il cambiamento climatico, l’inflazione e le minacce di interruzioni di corrente, l’atmosfera è cupa. Un calo dei servizi pubblici normalmente eccellenti ha acuito un senso di collasso. Nonostante le tasse altissime che li finanziano, mancano i medici, gli ospedali sono affollati e gli alunni delle scuole sono al di sotto dei livelli europei con un crollo delle competenze di base. Il sistema giudiziario è soffocato da anni di casi arretrati mentre l’immigrazione clandestina e la criminalità sono percepite dal pubblico come una minaccia nazionale.

    Macron ha cercato di porre rimedio a tutti questi settori negli ultimi mesi, ma i suoi annunci hanno incontrato un misto di fatalismo e indifferenza. Il futuro si presenta tutt’altro che roseo per il presidente francese. I sindacati stanno infatti pianificando altri scioperi generali, mentre gli intransigenti premono per un’azione continua, in particolare in settori chiave come le raffinerie di petrolio e il trasporto pubblico.

    Macron ha prevalso di misura al parlamento di Parigi e per il momento non molla. Vincere la battaglia per le pensioni significa per lui realizzare quella che considera la missione della sua presidenza decennale: suggellare la trasformazione della Francia.

 

Da La Rivoluzione Democratica

www.rivoluzionedemocratica.it/

      

                    

STORIA e cultura

materiale

 

Sovversivi in trattoria

e il risotto si fa poesia

 

Nella Bologna di fine Ottocento garibaldini, anarchici e socialisti si siedono a tavola. Bakunin, Costa e Pascoli mangiano, bevono, preparano rivolte. Durante il Primo congresso regionale internazionalista, fissato a Bologna dal 17 al 19 marzo 1872 per ricordare l’epopea comunarda, vi si ritrovano per un pranzo. A tavola si discute dello scontro tra Marx e Bakunin mangiando un bel piatto di pasta all’uovo e bevendo un sincero vino rosso.  – Continua la serie che Guido Farinelli cura per “il manifesto” (e che rilancia tramite la Newsletter dell’ADL) sulla storia e la cultura materiale nella sinistra italiana.

 

di Guido Farinelli 

 

Bologna, novembre 1871. Sono trascorsi pochi mesi dalla fine della Comune di Parigi, incredibile esperienza rivoluzionaria la cui eco risuona in tutta Europa. In una sala della trattoria-albergo Tre zucchette si riuniscono, nascosti da una coltre di fumo e dal chiacchiericcio degli avventori, un gruppo di sovversivi formato da ex garibaldini di ritorno dalla campagna di Francia e da giovani delusi dal Risorgimento in cerca di nuove idee rivoluzionarie.

 

L’AUTORITÀ PUBBLICA sosterrà che il gruppo clandestino è composto da «un esercito di cosmopoliti, reclutato nei bassifondi dell’ignoranza» che «combatte con le armi dello sciopero e della violenza e, non vedendo che oppressi e oppressori, vuole l’abolizione della ricchezza e della povertà». Si discute sulla necessità di costruire un’organizzazione che si faccia portatrice degli interessi delle classi subalterne e porti a una forma di autogoverno socialista e proletario, come la Comune parigina. Le prime organizzazioni operaie non dispongono di sedi proprie. Utilizzano le osterie per discutere di politica e organizzare riunioni più o meno carbonare.

 

Andrea Costa nell’osteria E Parlamintè di Imola

(Foto ristorante-trattoria E Parlamintè)

 

ALCUNI DEI PARTECIPANTI all’incontro clandestino hanno combattuto in prima persona nella difesa della Francia dall’aggressione prussiana. C’è anche chi ha vissuto l’incredibile esperienza comunarda. Guida il gruppo Erminio Pescatori – capocomico parmense, repubblicano, reduce garibaldino – che ha partecipato alla battaglia di Mentana nel 1867 (il garibaldinismo è elemento fondamentale delle origini del socialismo). Il militante mantiene stretti rapporti con un uomo ricercato dalle polizie di mezzo mondo che da qualche anno si aggira per le campagne italiane predicando rivoluzione e anarchia: l’agitatore russo Michail Bakunin. Al tavolo della trattoria si prende una decisione che si rivelerà molto importante per la storia del proletariato italiano: la fondazione de “Il fascio operaio”, una società di lavoratori finalizzata all’organizzazione e all’emancipazione della classe operaia che persegue «l’unione e la solidarietà fra tutti i lavoratori d’Italia e di altre nazioni». Il fascio operaio di Bologna, a cui aderirà lo stesso Giuseppe Garibaldi un mese dopo la fondazione, diventa così la prima sezione emiliana dell’Associazione internazionale dei lavoratori, l’organizzazione degli operai fondata a Londra nel 1864 e passata alla storia come “Prima internazionale”. In pochi mesi i soci emiliani saranno più di 500.

 

LE TRATTORIE DI BOLOGNA sono il luogo prediletto della cospirazione politica e le Tre zucchette è una delle preferite dagli internazionalisti. Durante il Primo congresso regionale internazionalista, fissato a Bologna dal 17 al 19 marzo 1872 per ricordare l’epopea comunarda, vi si ritrovano per un pranzo. A tavola si discute dello scontro tra Marx e Bakunin mangiando un bel piatto di pasta all’uovo e bevendo un sincero vino rosso. I commensali, naturalmente, difendono le posizioni dell’anarchico russo arrivato in Italia negli anni ‘60 nel tentativo di organizzare e sobillare i contadini del sud. Senza troppo successo. Il rivoluzionario russo è un omone con la barba bianca e la fronte larga, gran bevitore di vino, birra e naturalmente vodka. Anche in fatto di cibo la sua radicalità non è da meno: ha un appetito formidabile che sbalordisce i commensali. Nelle campagne italiane proletari e intellettuali, un po’ poveri e un po’ pauperisti, guardano con diffidenza quest’uomo che mangia e beve con estrema foga e ingordigia.

 

SEMPRE alla trattoria delle Tre zucchette nel 1874 gli internazionalisti si riuniscono per organizzare un tentativo insurrezionale, una sommossa che deve scoppiare a Bologna per estendersi in tutta l’Italia centrale. Nei ricordi tramandati da vecchi anarchici si racconta che in questa occasione i sovversivi mangiano tagliatelle con ragù e piselli e coniglio arrosto con patate. Un menù tipicamente romagnolo che potrebbe essere il segno del peso politico della componente imolese. L’insurrezione del 7 e 8 agosto è un fallimento e porta all’arresto di 79 militanti che sconteranno 22 mesi di carcere. Alla fine saranno assolti. Tra i fermati figura Andrea Costa, ancora poco più che ventenne. Per la giovane età non ha potuto vivere le epiche battaglie risorgimentali al fianco dell’Eroe dei due Mondi, nonostante che nel ‘66 ancora imberbe abbia tentato in tutti i modi di arruolarsi con Garibaldi. L’imolese Costa viene arrestato due giorni prima del tentativo di rivolta mentre Bakunin, giunto a Bologna per guidare l’insurrezione, riesce a scappare in Svizzera travestito da prete.

 

ALTRO PERSONAGGIO di spicco che finisce in arresto è Teobaldo Buggini, detto Gigione, considerato dal prefetto di Bologna «uno dei più esaltati e pericolosi» e tra i principali istigatori dei moti. Anche Buggini è un garibaldino, ha partecipato alla terza guerra d’indipendenza ma soprattutto è andato volontario in Francia nell’armata dei Vosgi ritrovandosi sulle barricate di Parigi a difendere la Comune. Presente alla fondazione del Fascio operaio, Gigione fa il cameriere nella trattoria del Foro boario, fuori porta Mazzini. Un posto frequentato da studenti e artisti, dove si può incontrare anche il professor Giosuè Carducci. La trattoria è soprattutto il luogo di ritrovo dei sovversivi che, sfruttando la confusione del mercato e l’arrivo dei contadini dalle campagne, si scambiano materiale utile alla propaganda. Proprio per questo Buggini è controllato con particolare attenzione dalla questura, la quale sospetta che il suo lavoro da cameriere sia solo una copertura per l’attività politica. Naturalmente anche gli internazionalisti frequentano la trattoria del Foro boario. Ai tavolini del locale avviene l’incontro tra Costa e un altro grande protagonista della vita politica nella Bologna di fine secolo: Giovanni Pascoli.

 

IL PASCOLI È STUDENTE a Bologna, segue le lezioni del Carducci, ama la buona cucina e i manicaretti preparati dalla sorella Mariù come il risotto alla romagnola, quello con funghi e fegatini che declamerà in una poesia: «Che buon odor veniva dal camino! / Io già sentiva un poco di ristoro, / dopo il mio greco, dopo il mio latino!». Il poeta è anche un giovane appassionato di politica che «con la sua cravatta rossa fiammante ed il cappello storto» gira tra osterie e caffè per partecipare a riunioni, scrivere manifesti sovversivi e poesie rivoluzionarie. Si definisce «socialista, rivoluzionario petroliero». Dal ‘75 interrompe gli studi per cinque anni per dedicarsi alla causa socialista, aderisce all’Internazionale e ricopre ruoli importanti: diventa segretario della sezione bolognese e per la corrispondenza estera, collabora ai giornali La plebe e Il martello.

 

PER TUTTE QUESTE ATTIVITÀ finisce sotto sorveglianza. È considerato uno dei capi dell’organizzazione. In una nota del 30 gennaio 1879 il prefetto chiede di rappresentare al sindaco «la sconvenienza di mantenere al posto di insegnante in un istituto comunale, un individuo di principi contrari non solo alle istituzioni dello stato, ma ben anche ad ogni ordine sociale». Pascoli e i suoi compagni frequentano la trattoria dove lavora Buggini ma a volte, nel tentativo di sfuggire al controllo di agenti e infiltrati, si danno appuntamento altrove. Spesso all’Osteria del sole, una delle più antiche di Bologna, fondata nel 1465 e ancora oggi aperta. Discutono di come far ripartire il movimento, rispondere alla repressione e aiutare i compagni finiti in carcere.

 

NEL 1879 SI APRE il processo contro 18 internazionalisti imolesi arrestati l’anno precedente per aver manifestato a favore di Giovanni Passannante, giovane cuoco meridionale condannato all’ergastolo per aver attentato alla vita di re Umberto I a Napoli. Dopo l’arresto Passannante viene sepolto vivo in completo isolamento nella torre di Portoferraio, in una cella di due metri per uno, alta un metro e mezzo e situata sotto il livello dell’acqua. È tenuto perennemente al buio con le catene ai piedi. Morirà nel manicomio di Montelupo Fiorentino. Il Pascoli scrive un’ode in onore del cuoco anarchico che si conclude così:

 

«Colla berretta di un cuoco

faremo una bandiera».

 

Segue con grande apprensione il processo contro i compagni imolesi che sono infine condannati dal tribunale di Bologna come «associazione di malfattori». Alla notizia della condanna il giovane Pascoli e altri militanti bolognesi si radunano davanti alle carceri di San Giovanni in Monte e cominciano a urlare in solidarietà degli arrestati. Il giovane poeta urla: «Viva la Comune, viva l’Internazionale, viva i malfattori! Avanti vigliacchi sgherri!». La protesta costerà cara al Pascoli che viene arrestato con l’accusa di grida sediziose e oltraggio ai reali carabinieri. Rimarrà in carcere tre mesi per essere definitivamente assolto il 22 dicembre 1879 dal tribunale correzionale.

       

       

L’Avvenire dei lavoratori

 

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LAVORO E DIRITTI

a cura di www.collettiva.it

 

GIORNATA DELL’ACQUA

ma il mondo È arido

 

Il 22 marzo si celebra il World water day, tra fenomeni globali di siccità e desertificazione, dispersione record dalle reti e aumenti in bolletta

 

di Patrizia Pallara

 

Dovremmo festeggiarla, ma di fatto c’è poco da festeggiare. La Giornata mondiale dell’acqua, che è stata istituita dall’Onu nel 1992 e si celebra in tutto il mondo il 22 marzo, arriva in un momento in cui i cambiamenti climatici e l’emergenza siccità non hanno smesso di mettere in ginocchio l’Italia dalla scorsa estate.

    Il 2022 è stato dichiarato dalla Società meteorologica l’anno “tra i più estremi mai registrati in termini di caldo e deficit di precipitazioni”, con un saldo negativo pluviometrico complessivo del 30 per cento. Il 2023 è stato finora il più caldo di sempre: il Cnr rileva come a gennaio e febbraio si sia misurata una temperatura di 1,44 gradi più alta rispetto alla media storica dei primi due mesi.

    Siccità preoccupante – Il Nord continua a soffrire, con precipitazioni al di sotto della media nel primo bimestre, il Po in affanno e i grandi laghi che hanno percentuali di riempimento dal 19 per cento del lago di Como al 36 per cento del lago di Garda, fino al 40 di quello Maggiore.

   Una situazione allarmante che non riguarda soltanto il nostro Paese: secondo l’ultimo rapporto del Joint Research Centre della Commissione europea, gli impatti della siccità sono già visibili in Francia e Spagna oltre che nell’Italia settentrionale, e sollevano preoccupazioni per l’approvvigionamento idrico per uso umano, l’agricoltura e la produzione di energia. (continua sul sito)

       

  

L’Avvenire dei lavoratori – Voci su Wikipedia :

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(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

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(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

 

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Da Avanti! online

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COLLOQUI

 

Il presidente cinese Xi Jinping al Cremlino per i colloqui formali con Vladimir Putin. La visita durerà ancora oggi e domani, non sembra destinata a segnare una svolta per l’Ucraina. Gli Usa restano scettici sul ruolo di Xi Jinping come ‘peacemaker’. Se la Cina lancerà un appello per un cessate il fuoco, Kiev dovrebbe respingerlo perché “ratificherebbe ciò che i russi sono stati in grado di conquistare”, è la posizione di Washington.

 

I due leader, riferisce la Tass, si sono riuniti nella sala di Caterina per colloqui in formato ristretto, successivamente allargati alle due delegazioni. Sono previste la firma di documenti e una dichiarazione congiunta. La giornata si concluderà con una cena di Stato. Xi e Putin hanno avuto ieri un incontro bilaterale informale durato quattro ore e mezza. Xi Jinping ha intanto fatto sapere di aver invitato Vladimir Putin per una visita in Cina da organizzare quest’anno.

    Borrell: nulla di nuovo dalla visita di Xi in Russia – “Non c’è nulla di nuovo” nelle relazioni tra Russia e Cina, “Xi Jinping ha firmato con il presidente Putin un accordo di amicizia senza limiti alcuni giorni prima della guerra in Ucraina. Quindi la posizione della Cina non è cambiata”. Così l’alto rappresentante della politica estera Ue Josep Borrell in conferenza stampa al termine dello Schuman Forum sulla difesa, rispondendo a una domanda sulla visita in corso del presidente cinese in Russia.

    Il capo della diplomazia europea, inoltre, ha ribadito l’importanza della decisione della Corte Penale Internazionale di emettere un mandato d’arresto contro Putin. “La Cpi – ha spiegato – è riconosciuta da oltre 130 Paesi firmatari, se il presidente Putin dovesse recarsi in uno di questi Stati, verrebbe subito arrestato”.

    Stoltenberg: se Cina fa sul serio sulla pace senta Zelensky – “L’Ucraina deve decidere quali condizioni sono accettabili per una soluzione di pace. E la Cina deve iniziare a capire la prospettiva di Kiev e stabilire un contatto con il presidente Volodymyr Zelensky, se vuole fare sul serio sulla pace: Pechino d’altra parte non ha condannato l’invasione illegale della Russia”. Lo ha detto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg.

    Kiev: “Nulla di programmato per la telefonata Xi-Zelensky, ma si lavora per organizzarla” – Per quanto riguarda la telefonata tra il presidente cinese Xi Jinping e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky “non è stato programmato nulla di concreto”. Lo afferma un alto funzionario ucraino, citato dalla Cnn. Ma lo stesso funzionario ha poi aggiunto che “si lavora per organizzarla”.

    Cina: la Russia è aperta a colloqui di pace – Dopo la visita del presidente cinese Xi Jinping in Russia, i contatti di Pechino con Mosca contribuiranno a portare la pace. Il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin, nel briefing quotidiano, ha detto che “la Russia ha studiato con attenzione il documento di posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi in Ucraina ed è aperta a colloqui di pace”. Il presidente Vladimir Putin ha riferito che “la Russia apprezza la posizione coerente della Cina di sostenere equità, obiettività ed equilibrio sulle principali questioni internazionali. La Cina continuerà a fare delle relazioni con la Russia una priorità”.

    Putin: scambi record con Cina, quest’anno 200 miliardi di dollari – Lo scambio intercommerciale tra Russia e Cina supererà i 200 miliardi di dollari quest’anno, dopo avere già toccato un record nel 2022 nonostante la pandemia e le sanzioni. Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin durante l’incontro con quello cinese Xi Jinping.

    Xi: più cooperazione con Russia su commercio ed energia – La Cina è pronta ad espandere la sua cooperazione con la Russia nei settori del commercio, degli investimenti, della catena degli approvvigionamenti, dei mega progetti, dell’energia e dell’alta tecnologia. E’ quanto ha detto il presidente cinese Xi Jinping nell’incontro avuto con il premier russo Mikhail Mishustin, osservando che i due Paesi sono “partner strategici completi con pieno coordinamento”. Mantenere lo “sviluppo sano e stabile dei legami è conforme alla logica storica dei rapporti bilaterali e agli interessi fondamentali dei rispettivi popoli”, ha aggiunto Xi nel resoconto diffuso in serata dalla Xinhua.

       

        

da >>> TERZO GIORNALE

https://www.terzogiornale.it/

 

La maternità surrogata

e il mondo progressista italiano

 

Il governo Meloni, sulla questione della registrazione dei minori di coppie omosessuali, mette a segno un colpo alla sinistra, divisa sulla pratica della gestazione per altri.

 

di Vittorio Bonanni

 

Le bugie hanno le gambe corte. Perché sostenere, come fa la sinistra italiana nelle sue più varie articolazioni, che i diritti dei bambini – sui quali, sia chiaro, non si discute – che arrivano da fuori dei confini nazionali accompagnati da due papà non hanno nulla a che vedere con la maternità surrogata, o “utero in affitto”, è una informazione falsa: per la semplice ragione che quei piccoli, non avendoli portati la cicogna, sono stati per nove mesi nel ventre di una donna che li ha partoriti e consegnati a coppie etero e omosessuali in cambio di denaro (tranne rarissime eccezioni “altruistiche”, nel caso non sia presente un rapporto economico).

    Com’è noto, la polemica è esplosa in questi giorni dopo il Niet del governo all’iscrizione anagrafica di quei bambini, che arrivano da altri Paesi, congiuntamente al riconoscimento dei due genitori. Prassi messa in atto da molti sindaci di sinistra. Per l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, non esattamente incline a simpatie per l’universo Lgbtq, questa prassi non sarà più consentita, opponendosi così al certificato europeo di filiazione, che garantisce al minore l’accesso ai diritti civili e sociali a prescindere dal suo status di figlio. D’ora in poi in Italia il bambino o la bambina potrà iscriversi all’anagrafe accompagnato dal genitore biologico, mentre l’altro, come deciso dalla Cassazione, dovrà avviare un percorso di “adozione facilitata”. Altrimenti niente iscrizione e nessun diritto conseguente.

    Una mediazione, quella proposta dai giudici, che, a patto che il percorso adottivo sia rapido, potrebbe essere considerata accettabile e costringerebbe il governo a riconoscere di fatto le coppie omosessuali. Ma ormai lo scontro è diventato ideologico, e lo stesso minore sembra essere trasformato in uno strumento usato, con le debite differenze, da entrambe le parti in conflitto. Con in mezzo, appunto, il convitato, sempre meno di pietra, della maternità surrogata: una bomba scoppiata nelle mani di una sinistra che non ha ancora capito come il neoliberismo trasformi qualsiasi cosa in merce di scambio, insinuandosi ovunque. Ha precarizzato il lavoro, minato il diritto alle cose basilari della vita di tutti e di tutte, come istruzione, sanità, sistema pensionistico, e ormai da tempo sta mercificando i corpi delle persone.

    Nessuna forza politica dell’arco progressista è stata capace di affrontare una discussione su una prassi divenuta intoccabile, perché unico strumento per le coppie omosessuali maschili per diventare genitori, avendo messo ai margini delle loro battaglie il tema dell’adozione. Dal Partito democratico, a parte soprattutto la componente cattolica, ad Alleanza verdi-sinistra passando per i 5 Stelle, tradizionalmente meno attenti a queste problematiche (tanto che Conte non si è presentato alla manifestazione di sabato scorso), tutti hanno balbettato sul tema in questione – o hanno taciuto, come successe di fronte al caso Vendola, quando l’ex leader di Sel (Sinistra ecologia e libertà), ora iscritto a Sinistra italiana, scelse la maternità surrogata per diventare padre, con i dubbi, se non addirittura la contrarietà sottaciuta, di molti militanti del suo partito.

    Ma non mancano politici, intellettuali di area progressista e dello stesso movimento Lgbtq, che hanno preso posizione contro una prassi che sembra riportarci indietro di secoli se non di millenni, se consideriamo che dai tempi degli egizi e poi dei romani, passando per gli ebrei, i potenti, di fronte all’impossibilità di avere figli, utilizzavano le mogli dei propri sottoposti per avere un figlio che avrebbe garantito loro la continuità dinastica. Stefano Fassina (ex deputato di Liberi e uguali) parla, senza mezzi termini, di “sconfinamento del mercato nella dimensione più sacra dell’uomo, che è la generazione della vita”. Lo stesso ha fatto Luana Zanella, femminista storica, ambientalista, capogruppo dell’Alleanza verdi-sinistra alla Camera, per la quale il rischio è “rompere il legame tra madre e creatura, che fonda il diritto stesso”.

    All’interno di Arcigay e Arcilesbica c’è una evidente spaccatura. Se nel primo caso l’ex presidente, Aurelio Mancuso, non ha mai fatto sconti nel prendere le distanze dalla gestazione per altri, la stessa cosa non vale per esempio per Gabriele Piazzoni, segretario generale Arcigay, che non ha esitato a paragonare un figlio arrivato attraverso l’adozione a chi è, suo malgrado, frutto di un mercimonio che non abbiamo difficoltà a definire “classista”. Stesse contraddizioni all’interno di Arcilesbica, con tanto di episodi di censura: come a Udine, quando la presentazione del libro Bambini su commissione: domande sulla maternità surrogata della sociologa e ricercatrice dell’Università di Milano, Daniela Danna, organizzata appunto da Arcilesbica, è stata all’ultimo momento cancellata su pressioni di pezzi del movimento.

    Non mancano prese di posizione da parte di alcune femministe storiche. Tra queste, la filosofa Luisa Muraro. “Alcuni diritti – sostiene l’attivista citata dal bimestrale “Micromega” – si fondano in ultima istanza sulla legge del mercato e alimentano la disuguaglianza in quanto il desiderio può essere soddisfatto solo da chi può permetterselo”. Barbara Alberti, scrittrice, opinionista, anch’essa tra le animatrici del movimento femminista degli anni Settanta, definisce la maternità surrogata come “la vittoria del ricco sul povero ed è atroce pagare una donna perché diventi il ‘forno’, come la chiamano gli americani, di un figlio che cresce dentro di lei ma non è biologicamente suo”. (continua sul sito)

        

                          

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze

http://www.rosselli.org/

 

Intellettuali in fuga dall’Italia fascista

sito storico curato da patrizia guarnieri

 

Sul tema “Intellettuali in fuga dall’Italia fascista”, è stata pubblicata on line la “Vita in movimento” di Carlo Rosselli, con profilo biografico scritto da Elisa Signori.

    Sullo stesso tema e sullo stesso sito si può leggere anche la “Vita in movimento” di Marion Cave Rosselli, con il saggio biografico a lei dedicato da Sara Follacchio.

    Il sito web https://intellettualinfuga.com/, diretto dalla storica Patrizia Guarnieri (Firenze), individua nomi e volti di coloro che per motivi politici o razziali lasciarono l’Italia, e cerca di ricostruirne le storie anche poco note.

    È un lavoro in progress, bilingue, ad accesso gratuito, promosso dall’Università di Firenze e dalla Regione Toscana, con il patrocinio di enti culturali stranieri ed italiani. Per rimanere aggiornati, si veda qui.

   

                   

Da CRITICA LIBERALE

riceviamo e volentieri segnaliamo

 

“NONMOLLARE”

 

È uscito il numero 125 del quindicinale on line

di Critica Liberale n. 125 – 20 marzo 2023

scaricabile gratis qui

 

Sommario

 

la vita buona

valerio pocar, profughi e sovrappopolazione

 

la biscondola

paolo bagnoli, una riflessione sulle pensioni

 

astrolabio

riccardo mastrorillo, i bambini e i diritti

angelo perrone, politica-società, l’occasione di ricucire i rapporti

roberto fieschi, scienza, guerra e pace

 

lo spaccio delle idee

stefan laffin, la mafia e gli alleati dopo l’estate del 1943

 

cono d’ombra

paolo fai, dibattito sulla felicità – hayek, adorno o keynes?

 

in vetrina

franco venturi, scritti sparsi

            

   

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LETTERA / APPELLO

 

Parità di genere in Friuli Venezia Giulia

 

Chiediamo la modifica della legge elettorale per le prossime elezioni 

 

Alla Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia

Al Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia

 

Il 2 e il 3 aprile si rinnovano il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia e i consigli comunali di molti comuni della regione.

    Le consultazioni elettorali si terranno ancora una volta senza la possibilità di poter esprimere la doppia preferenza di genere. La Regione Friuli Venezia Giulia ancora una volta non si è adeguata a quanto previsto dalla legge n. 20 del 2016, recante disposizioni volte a garantire l’equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini nei consigli regionali e comunali disattendendo oltre che la legge i principi stessi della nostra Costituzione che con l’art. 3 ha sancito di garantire l’effettiva eguaglianza tra i cittadini e le cittadine e con l’art. 51 di promuovere attraverso azioni positive e virtuose l’accesso alle cariche pubbliche ed elettive. (…)

    La maggior parte delle Regioni, ha adeguato il proprio sistema elettorale per garantire l’attuazione del principio Costituzionale e in attuazione dell’art. 117, co. 7 Cost., hanno introdotto nei nuovi statuti e nelle leggi elettorali disposizioni specifiche per favorire la parità di accesso alle cariche elettive, prevedendo quali misure prevalentemente la doppia preferenza di genere e le cosiddette quote di lista, vale a dire l’obbligo di inserire nelle liste di candidati una quota minima di candidati del genere meno rappresentato, variabile tra 1/3 e la meta`.

    Solo le Regioni Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta non hanno sentito la necessità e l’urgenza di modificare la legge elettorale per garantire una maggiore rappresentatività del genere femminile nei loro Consigli Regionali. Ancora una volta quindi nella Regione Friuli Venezia Giulia si andrà al voto senza uno strumento che renda concreto il soddisfacimento della democrazia paritaria.

    Chiediamo quindi ai Presidenti delle Regioni che non ancora hanno adeguato il loro sistema elettorale alla legge n. 20 del 2016, un atto di responsabilità per rendere finalmente compiuto il sistema rappresentativo. Si tratta di un atto di democrazia di quei territori: il sistema elettorale va adeguato per garantire l’equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini nei consigli regionali e locali.

    Come donne chiediamo, altresì, al Presidente del Consiglio, ai Ministri competenti in indirizzo e al Governo, di adoperarsi affinché sia colmato il gap di democrazia presente in queste Regioni a causa della scarsa rappresentanza delle donne nelle Istituzioni e auspichiamo, quindi, che siano assunte decisioni che aiutino a colmarlo.

 

Per gli “Stati Generali delle Donne”

 

Isa Maggi, coordinatrice nazionale degli Stati generali delle Donne

Maria Lippiello, in rappresentanza del Comitato Scientifico

 

Roma, 20 marzo 2022 

       

 

L’Avvenire dei lavoratori

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

 

L’Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigra­zione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall’Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all’estero, L’ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon­diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l’Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L’ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l’integrazione dei mi­gran­ti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all’eclissi della sinistra italiana, diamo il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appar­tiene a tutti.

 

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