L’APPENNINO PUÒ GUIDARE IL RILANCIO DELL’OLIVICOLTURA ITALIANA

AGRICOLTURA: L’APPENNINO PUÒ GUIDARE IL RILANCIO DELL’OLIVICOLTURA ITALIANA

 

Casoli (Chieti), 9 giugno – Con i suoi 207mila ettari tra Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Molise che rappresentano il 21% del totale olivicolo nazionale, l’olivicoltura delle regioni appenniniche italiane può contribuire al rilancio della produzione nazionale. Sarebbe sufficiente il ritorno alla piena efficienza produttiva di almeno 25.000 ettari di oliveti, attualmente in condizioni di totale abbandono o con una gestione non ottimale presenti nelle regioni dell’Italia centrale. Si stima che solo in Abruzzo 5.000 ettari di oliveti potrebbero essere oggetto di un piano di ristrutturazione e di riconversione tale da aumentare la produzione media annuale del 40% nel giro di 5 anni. Sono queste le riflessioni emerse durante il convegno che si è svolto a Casoli, in provincia di Chieti, dedicato al tema della competitività e resilienza dei sistemi olivicoli tradizionali dell’Appennino, organizzato dall’Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio.

 

L’evento è stata l’occasione per una ricognizione sullo stato e sulle prospettive della filiera olivicolo-olearia italiana che continua a perdere terreno nei confronti dei competitori a livello internazionale. Se negli anni ’70 l’Italia era il primo Paese produttore al mondo, oggi occupa la terza posizione all’interno dell’Unione europea come produttore di olio d’oliva con 240mila tonnellate al cospetto delle 330mila della Grecia e delle 680mila della Spagna.

 

A livello internazionale, la situazione peggiora ulteriormente, con l’Italia che è scivolata al quarto posto dopo la Turchia che, nel 2022, ha registrato una produzione di 275.000 tonnellate. In prospettiva, considerando gli ingenti investimenti nel settore olivicolo di Tunisia, Marocco e Portogallo, il nostro Paese potrebbe perdere ulteriori posizioni in un settore nel quale ha ricoperto da sempre un ruolo di assoluta eccellenza.

 

Nel 2022, il tasso di autoapprovvigionamento ha raggiunto il minimo storico, in quanto la produzione nazionale ha coperto appena il 48,2% del consumo. Le importazioni hanno raggiunto il massimo di sempre con 2,2 miliardi di euro e si sono attestate ad un livello superiore al valore delle esportazioni che sono state pari a 1,9 miliardi di euro.

 

Come invertire la rotta? Nel convegno di Casoli sono state affrontate problematiche tecniche, agronomiche e commerciali dei sistemi olivicoli caratterizzati da spinta frammentazione fondiaria, da localizzazione prevalente in aree diverse dalla pianura irrigua, da un elevato valore paesaggistico ed ambientale e composti prevalentemente da varietà autoctone. La sfida per il prossimo futuro sarà quella di puntare sulla riconversione e ristrutturazione degli impianti, favorendo la meccanizzazione, l’incremento delle dimensioni delle aziende olivicole, la razionalizzazione delle operazioni colturali ed un’attenzione costante al miglioramento qualitativo, puntando sulle varietà tipiche del territorio.

 

Le condizioni per la diffusione sul territorio di modelli aziendali di successo non mancano. L’olivicoltura delle colline appenniniche presenta abbandonati superfici e un patrimonio di varietà ad alto valore commerciale. Sarà determinante cogliere le opportunità provenienti dalla riforma della Politica Agricola Comune, con gli eco-schemi e l’architettura verde, dalla strategia ‘Farm to Fork’ con la spinta verso sistemi produttivi sostenibili e il PNRR con misure di sostegno specifiche come quella per il rinnovamento dei frantoi oleari. Uno scenario su cui innescare un percorso virtuoso per una nuova e moderna imprenditorialità olivicolo-olearia che sappia cogliere le dinamiche di mercato, tra interesse per la qualità e la distintività delle produzioni, per garantire una maggiore redditività nella filiera e un futuro roseo per il comparto.

Per info: 342.8632827