L’ADL del 28 giugno 2023

L’Avvenire dei lavoratori

28 Giugno 2023 – e-Settimanale della più antica testata della sinistra italiana

Organo della F.S.I.S., Centro socialista italiano all’estero, fondato nel 1894 / Direttore: Andrea Ermano

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IPSE DIXIT

 

Monadologia«Le monadi non hanno porte né finestre»Gottfried Wilhelm Leibniz

 

A Prigozhin – «Stia attento alle finestre aperte» – David Howell Petraeus

 

Naturalmente – «Il consigliere presidenziale Ushakov terrà oggi con il card. Zuppi un colloquio per discutere la situazione riguardante il conflitto in Ucraina e naturalmente le possibili vie per una soluzione politica e diplomatica”.» – Dmitrij Peskov

      

              

L’Avvenire dei lavoratori

 

Visita il BLOG dell’ADL curato da Tiziana Stoto (KOLORATO)

     

 

EDITORIALE

 

Certo, per fortuna…

 

Certo, per fortuna, questa “terza guerra mondiale a pezzetti” non eguaglia il livello di distruttività raggiunto dalla conflagrazione del 1939-1945. Ma tra i “pezzetti” di conflitto si distingue un’entità non trascurabile: il focolaio innescatosi in Ucraina dopo l’invasione putiniana del febbraio 2022. Che è una criminale avventura, carica d’incognite e pericoli. Non solo per gli avventurieri e i criminali, purtroppo.

 

di Andrea Ermano

 

In generale, la situazione è assai grave. Si mantengono elevatissime le cifre dei morti – circa centomila vittime all’anno – negli oltre 160 focolai bellici sparsi ovunque sulla Terra. Ma anche nel conflitto russo-ucraino le vittime si contano ormai a decine di migliaia.

    Quanto a Putin stesso, l’autocrate di tutte le Russie, abbiamo assistito in questi giorni a una marcia su Mosca, teleguidata da Prigozhin. Scriviamo “teleguidata”, perché costui, il capo della Compagnia militare privata Wagner, ha mandato avanti i suoi uomini, restandosene nascosto da qualche parte a vedere l’effetto che fa. Poi sarebbe riparato in Bielorussia, prendendo alloggio in una camera d’albergo “senza finestre” (riferiscono i media). Che cosa significa? Per farsene un’idea, non serve pensare alla Monadologia del filosofo Leibniz («Le monadi non hanno porte né finestre»), sperando per il nuovo inquilino che nell’albergo bielorusso ci siano almeno delle porte… E che adesso Lukashenko non lo muri vivo.

    Putin, Prigozhin e Lukashenko: tre vecchi amici ai quali piace giocare a scacchi usando le bombe dell’arsenale russo a mo’ di pedoni, alfieri, torri eccetera. Si dice che Prigozhin ammiri follemente Mussolini. Non possiamo perciò escludere che questa marcia su Mosca fosse da intendersi in analogia alla marcia su Roma, in quanto finalizzata (forse) a ottenere da Putin un invito ufficiale nella capitale russa per la formazione di un nuovo governo. Se così fosse, non saremmo lontani dallo schema dell’intrigo di potere avvenuto nel 1922 tra il re Savoia e il “capo del fascismo”.

    Corsi e ricorsi storici, che vanno e vengono, ora come tragedia, ora come farsa, ora come intruglio immondo d’entrambe queste categorie in un’epoca storica senz’arte né parte, ora come le onde di quel “bagnasciuga” su cui il duce avrebbe voluto inchiodare il nemico.

 

Soldati inglesi sbarcano vicino a Cassibile il

10 luglio 1943. (AP Photo/British Official Photo)

 

Peccato per lui che proprio dal “bagnasciuga” iniziò lo sbarco degli anglo-americani il 10 luglio di ottanta anni fa, giorno memorabile nella storia della Liberazione d’Italia

    Tornando all’oggi, si può valutare in modo divergente la situazione a Mosca, come fanno per esempio Toni Capuozzo e Felice Besostri, entrambi esperti di politica internazionale. Si può ritenere che l’immagine di Putin esca incrinata dal tentato golpe del suo “cuoco”. Ma si può, altresì, ipotizzare che la vicenda lo abbia rafforzato.

    Da un certo punto di vista, è chiaro che l’uomo forte del Cremlino risulta oggi agli occhi del mondo meno stabile e più debole. Ma da un altro punto di vista, considerato il crescente sentimento popolare di disdegno verso l’autocrate russo, il suo assetto di potere potrebbe forse uscirne stabilizzato, in quanto l’arma del golpe appare ora, in certa misura, spuntata.

    Comunque sia, una caduta di Putin, laddove essa avvenisse per davvero, condurrebbe a un assetto di potere ancor più aggressivo dell’attuale, sostiene Besostri. E, secondo Renzo Balmelli, storico direttore del TG Svizzero e columnist dell’ADL: «Putin e la sua banda hanno generato un mostro e adesso questo mostro… li sta divorando. Dove andranno a finire, però, è cosa carica d’incognite e pericoli. Per tutti. Non solo per loro.»

 

Putin e il suo “cuoco” (Reuters)

 

 

E veniamo ora brevemente a questa nostra Italia caduta ahinoi in mano alle destre – a causa soprattutto di leggi elettorali e forze politiche nate in questa Seconda repubblica dalla decozione “partitocratica” della Prima.

    Certo, per fortuna, il Belpaese non è già regredito al mussolinismo, ancorché guidato oggi dall’ultra-conservatrice Giorgia Meloni, fan appassionata del leader missino Almirante, che fu caporedattore della rivista “La difesa della razza” e autore nel 1938 del “Manifesto della razza”.

    Come non bastasse l’imbarazzante provenienza missina della prima donna premier italiana, hanno fatto il giro del mondo espressioni come il “pizzo di Stato” usato dalla Presidente del Consiglio per designare il dovere fiscale della cittadinanza. Lunga sarebbe la lista delle inadeguatezze meloniane, fino alla sfuriata della premier dello scorso 26 giugno contro un’innocua manifestazione di dissenso del segretario di “+Europa”, Riccardo Magi, verso le politiche proibizioniste sulla cannabis.

 

Riccardo Magi con cartello antiproibizionista mentre parla Giorgia Meloni

La protesta dell’on. Riccardo Magi (video)

 

La protesta di Magi ci pare condivisibile, dato che i volantini da lui esposti recavano questa scritta: «Cannabis: Se non ci pensa lo Stato, ci pensa la mafia». In altre parole, chi non vuole legalizzare le droghe leggere abbandona queste sostanze al commercio clandestino, con tutto quel che ne segue: criminalizzazione dei consumatori (per lo più giovani) ed enormi profitti per i grandi spacciatori.

    Quasi ogni tesi, come pure quasi ogni antitesi, si può condividere o non condividere, ma certe urla demagogiche da comiziaccio, soprattutto se sbraitate da un podio istituzionale com’è l’Aula dei Gruppi della Camera dei Deputati ci appaiono completamente fuori luogo per una Presidente del Consiglio.

    Certo, poi, per fortuna, anche quest’anno ci si prepara ad andare tutti al mare, e non sarà il governo a impedircelo. Così è e così sarà anche in futuro, sempreché l’inflazione non si mangi una fetta troppo grossa dei nostri redditi.

 

La reazione della premier il 26 giugno 2023

 

Bando, dunque, ai cattivi pensieri: tutti rimandati a settembre, se non bocciati. Siamo alle soglie di una nuova e splendida estate italiana. E quindi mano alle valige. Ringraziamo dell’attenzione che avete voluto prestarci sin qui. Ci si rivede, se vi va, il 31 agosto prossimo. Una buona estate a tutte/tutti.

        

      

SPIGOLATURE

 

Putin e Pandora

 

La proditoria invasione della Ucraina sta generando un mostro

che ora si rivolta e appare sempre più difficile da gestire. 

 

di Renzo Balmelli

 

PERICOLO. Con l’arsenale missilistico di cui la Russia dispone, quanto stava accadendo in questi giorni a Mosca e che per fortuna non si è avverato avrebbe potuto avere conseguenze catastrofiche. Sull’orlo dell’abisso seppure con molta fatica ha prevalso la ragione, risparmiando all’umanità una prova terribile. Resta però sullo sfondo la diffusa inquietudine per un pericolo che non è cessato e potrebbe ripetersi. Nel caos delle ribollenti giornate moscovite, l’abortito colpo di stato dei mercenari ha confermato quanto già si era intuito. La proditoria invasione della Ucraina sta generando un mostro che ora si rivolta e appare sempre più difficile da gestire. Da questa prova il mito di Putin esce visibilmente incrinato anche a causa delle tensioni all’interno del suo governo che non sembra in grado di controllare realmente la situazione. Ora una potenza nucleare come la Russia scricchiola e potrebbe trovarsi esposta a un lungo periodo di instabilità in un Paese già in preda all’incertezza. Il popolo russo appare disorientato all’idea di dovere affrontare altre privazioni oltre a quelle già pesantissime imputabili alla guerra. Si palesa quindi uno scenario carico di insidie che non concede un solo istante di tranquillità alle cancellerie internazionali impegnate ad evitare con ogni mezzo che l’assurdo conflitto coinvolga il mondo intero.

 

Missile balistico nucleare in parata sulla Piazza

Rossa di Mosca (© iStock / Le Scienze)

 

MERCENARI. Sono tornati e fanno rumore. Sembravano ormai relegati tra le polverose pagine della storia i mercenari che in passato spadroneggiavano da un paese all’altro. Erano i tempi in cui l’Europa formava un complesso mosaico di stati, staterelli, principati e ducati piuttosto bellicosi e alla costante ricerca di forze fresche da mandare in guerra. Le recenti vicissitudini sul fronte orientale hanno fatto riscoprire i soldati di ventura che il Cremlino considerava alla stregua di fedeli alleati. Come è stato ricordato da più parti, se solo i russi avessero prestato più attenzione agli insegnamenti di Machiavelli, forse avrebbero evitato una magra figura. Ammonisce infatti il filosofo fiorentino che “se un Principe tiene lo stato fondato sulle armi mercenarie, non starà mai fermo né sicuro, perché esse sono… infedeli”. Anche la Svizzera, prima di diventare la pacifica Confederazione che oggi conosciamo, contribuì e non poco ad incrementare i ranghi delle milizie elvetiche all’estero. Si stima che tra il XV il XIX secolo circa un milione e mezzo di giovani svizzeri, famosi per la loro implacabile bravura in battaglia, vennero arruolati da tutte le corti del continente disposte a non badare a spese pur di averli al loro servizio. A metà Ottocento prevalse però la consapevolezza che esportare orologi e cioccolato piuttosto che uomini in arme era preferibile. Il fenomeno, mal visto dall’opinione pubblica, cessò e ora a ricordarlo rimane solo, ma con ben altre motivazioni, la Guardia svizzera del Papa nell’elegante uniforme ideata da Michelangelo.

 

PAURA. Molti analisti sono concordi: sul piano militare verosimilmente la Russia non riuscirà ad addomesticare l’Ucraina. Tuttavia, sul piano psicologico la guerra, accanto ad altri motivi di insoddisfazione, è riuscita a creare un clima di incertezza e di paura tra l’opinione pubblica che si ripercuote fatalmente nel segreto dell’urna. La dimostrazione più eloquente arriva in questi giorni dalla Germania, più precisamente dalle elezioni regionali della Turingia, in cui l’estrema destra ha prevalso su tutte le altre formazioni facendo leva sui sentimenti più riposti. Per la prima volta dopo tanti anni l’AfD (Alternative für Deutschland) ottiene un importante mandato nei parlamenti comunali imponendosi con i suoi slogan xenofobi di facile suggestione. Ora tutti parlano di “choc” e si chiedono come fermare un movimento in continua crescita che cavalcando il malcontento pesca consensi un po’ ovunque e non solo tra le fila dell’NPD. In che misura l’AfD riuscirà a condizionare la politica di Berlino e a contagiare le altre capitali dove l’estrema destra sta alzando la cresta è l’incognita che peserà sulle Europee del 2024.

 

STORIE. Se non tra le ultime generazioni, di sicuro tra tutti coloro che hanno parecchi anni da confessare all’anagrafe, il nome di Liala può rievocare la nostalgia di tempi lontani. Liala, pseudonimo di Amalia Liana Negretti Odescalchi, è stata fra le più note autrici di romanzi rosa del XX secolo. Deve il suo nome a Gabriele D’Annunzio, il quale, da appassionato di aviazione, volle darle un nom de plume che contenesse un’ala. Scomparsa nel 1995 all’età di 98 anni, l’autrice con le sue storie di ragazze bellissime e di audaci aviatori fondò un genere che ha saputo coltivare la fantasia del pubblico femminile quando ancora non esistevano personaggi televisivi con cui identificarsi. Con la sua instancabile penna Liala, a quel mondo, ci credeva. Per questo, forse, la casa editrice Sonzogno ha deciso di ripubblicare parte della sua sterminata produzione. Sarà interessante verificare quanto l’iniziativa corrisponda oggi, coi tempi che corrono, a un sentito bisogno di evasione. Negli anni Trenta e Quaranta Liala fu protagonista di una lunga stagione letteraria che riassumeva, per quell’epoca non proprio felicissima, il piacere del “bello scrivere” e aiutava a pensare ad altro.

 

Un altare per il mio sogno (1956), dalla copertina

della riedizione di Sonzogno nel 2011: «Il cameriere

si volse ad Anzia d’Arpino e mormorò: “È per lei,

contessina…”».

 

 

SPECIALE economia

 

Brics, Banche centrali e

la crisi monetaria in Asia

 

In questo ultimo numero dell’ADL prima delle vacanze estive rilanciamo tre riflessioni degli economisti Mario Lettieri e Paolo Raimondi che ci offrono una panoramica ad ampio raggio sull’evoluzione geo-economica attuale.

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all’economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 

1. La prossima svolta dei Brics – Il prossimo summit dei capi di Stato e di governo dei paesi Brics potrebbe segnare una svolta decisiva verso un più accentuato processo multipolare della politica e dell’economia mondiale. Si terrà il 22-24 agosto a Johannesburg, in Sud Africa, e vedrà anche la partecipazione di un folto gruppo di nazioni del Sud del mondo. Sono già 13 le nazioni che si sono ufficialmente candidate a farne parte. Altre 6 che hanno espresso il proprio interesse a parteciparvi.

    Uno dei punti centrali nel programma dei lavori è la creazione di una nuova moneta allo scopo di favorire commerci e investimenti, all’interno del gruppo e con altri Paesi emergenti, senza dover utilizzare il dollaro. Senza, quindi, doversi sottoporre al controllo e all’influenza di una potenza esterna e senza dover pagare una tassa per il “servizio”.

    Non si tratta di creare una moneta circolante, come l’euro. I Brics sono consapevoli che c’è molta strada da fare per tale obiettivo. Essi stanno, invece, analizzando i passi necessari per la creazione di una moneta di conto, come l’Ecu fu utilizzato in Europa negli anni che hanno preceduto l’Euro. Da parecchio tempo stanno studiando l’esperienza europea dell’Ecu. E l’Unione europea, inspiegabilmente, sembra ignorare questo passaggio storico.

    Per preparare il summit nei giorni scorsi a Città del Capo si è tenuta la riunione dei ministri degli Esteri dei Brics, con la partecipazione dei rappresentanti di altri 15 paesi. Naledi Pandor, ministro degli Esteri sudafricano ha ribadito l’intenzione del gruppo di continuare a lavorare sulla fattibilità di una moneta comune.

 

Naledi Pandor

 

In un suo messaggio il presidente del Sud Africa, Cyril Ramaphosa, ha risposto a tutte le notevoli pressioni esercitate dagli Usa e dalla Gran Bretagna, ribadendo che “noi vogliamo cogliere l’opportunità di promuovere gli interessi del nostro continente che è stato saccheggiato, devastato e sfruttato da altre nazioni e per questo vogliamo oggi costruire la solidarietà insieme ai Brics.”. E’ un passaggio molto importante se si mette in relazione alla creazione dell’Area di libero scambio del continente africano (Afcfta) che sta proprio discutendo della possibilità di creare una nuova unità di conto monetaria per favorire i commerci all’interno dell’Africa.

    Per superare la sottomissione al dollaro e la dipendenza dalla rete dominante dello Swift, i Brics stanno studiando un loro sistema globale dei pagamenti. Non si tratta di rimpiazzarlo completamente, bensì di affiancarne uno alternativo per sottrarsi, in caso di necessità, ai condizionamenti e agli effetti delle sanzioni.

    Secondo il Fmi nel 2022 i Brics hanno superato il pil del G7 del 4% se calcolato attraverso la misura del ppp, la parità del potere di acquisto, cioè tenendo conto del costo della vita e dell’inflazione. Nello stesso anno il loro surplus commerciale è stato di 387 miliardi di dollari, che ha favorito anche l’aumento delle loro riserve d’oro.

    Si osservi che l’aumento dei tassi d’interesse da parte della Fed fa crescere il valore del dollaro sui mercati valutari ma svaluta le monete dei paesi del Sud del mondo e, quindi, fa aumentare il loro debito. La diversificazione delle riserve monetarie è, infatti, un altro argomento nell’agenda dei Brics. E’ una politica favorita anche dalle banche centrali del cosiddetto Global South che stanno aumentando il peso dell’oro nelle loro riserve, a scapito del dollaro. La domanda generale e gli acquisti di oro da parte delle banche centrali sono cresciuti enormemente. Ciò sta portando a un aumento della produzione di oro e a una possibile rivalutazione del valore delle riserve auree. 

    Da parte sua il presidente brasiliano Lula da Silva, in occasione della conferenza dell’Unasur, la comunità economica e politica latinoamericana, ha detto di “sognare che i Brics abbiano una propria valuta, come l’Unione Europea ha l’euro”. Rivolgendosi agli altri paesi dell’America latina ha affermato che “dovremmo approfondire la nostra identità sudamericana anche in ambito monetario, attraverso meccanismi di compensazione più efficienti e la creazione di una comune unità di scambio, riducendo la dipendenza dalle valute extraregionali”.

    A sua volta Dilma Rousseff, la nuova presidente della New Development Bank, la banca dei Brics, ha evidenziato l’importanza dei recenti accordi petroliferi in renminbi tra Cina e Arabia Saudita. Rousseff ha detto: “Credo che nel mondo attuale ci sia una crescente tendenza a promuovere gli scambi commerciali utilizzando le valute locali. Ci sono diversi esempi importanti. Ad esempio, il mercato del petrolio è un settore rilevante rispetto al cambio di valuta. I paesi del Sud del mondo utilizzano sempre più le valute locali per i pagamenti commerciali.”.

    In conclusione, è opportuno riconoscere che un mondo unipolare con una sola moneta dominante stride con un’economia reale multipolare. 

 

2. le colpe delle banche centrali – E’ molto severo il giudizio di Jacques de Larosière sulla gestione della politica monetaria delle banche centrali. L’ex direttore del Fondo monetario internazionale, del Tesoro francese e della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, ha plasticamente spiegato le loro errate decisioni ricordando “il racconto di Goethe dell’apprendista stregone il cui goffo uso dei poteri magici produce una scia incontrollabile di disastri”. Niente di più vero.

    de Larosière non è stato un santo nella sua lunga carriera di alto dirigente delle politiche monetarie francesi e internazionali. I Paesi in via di sviluppo non hanno un buon ricordo dell’austerità e delle dure condizioni imposte dal Fmi.  Fa, però, piacere, oggi che non è più costretto da responsabilità, sentirlo esprimere liberamente giudizi tranchant sulla politica monetaria dominante. 

    In un suo recente scritto ha affermato: “Le banche centrali di tutto il mondo hanno acquistato enormi quantità di titoli di stato ad alto prezzo, il cui valore, come risultato delle loro azioni di inasprimento degli interessi, è successivamente crollato precipitosamente. Sfortunatamente, hanno incoraggiato le istituzioni finanziarie private a seguirne l’esempio, con conseguenze nefaste. Lungi dal promuovere la stabilità, le banche centrali hanno tenuto una lezione magistrale su come organizzare una crisi finanziaria.”.

    In questo modo esse hanno indebolito i propri bilanci e la propria reputazione. Com’è noto, con i quantitative easing i loro bilanci sono cresciuti a dismisura, pieni di asset backed security, titoli di dubbio valore, e di titoli pubblici acquistati dalle grande banche internazionali. Questi ultimi, ritenuti “sicuri” e “protetti” all’inizio, adesso, grazie all’aumento dei tassi d’interesse, sono in perdita.  Le banche centrali, quindi, sono nei guai. 

    In verità lo sono molto di più le banche commerciali private perché esse devono valutare le partecipazioni obbligazionarie in rapporto al loro valore di mercato, rendendole vulnerabili alla fuga dei depositanti.  Le banche centrali non devono affrontare questo pericolo poiché le loro partecipazioni obbligazionarie non sono valutate in rapporto al mercato ma in base alla convenzione contabile secondo cui esse sono detenute al valore nominale fino alla loro scadenza.

    de Larosière aggiunge: “Riducendo i tassi di interesse quasi a zero e continuando il QE per un periodo irragionevolmente lungo, le banche centrali hanno aumentato il credito e la domanda nell’economia, il che probabilmente avrebbe portato sia all’inflazione sia agli investimenti speculativi, che alla fine sarebbero andati male quando i tassi di interesse sarebbero aumentati.”.

    Il risultato alla fine è stato il contagio tra le banche centrali e quelle commerciali, soprattutto se queste ultime operano in un ambiente mal regolamentato e se sono mal gestite.

    Negli Usa la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), l’agenzia federale che garantisce i depositi fino a 250.000 dollari, già a marzo stimava che le banche americane erano sedute su perdite non riconosciute di circa 600 miliardi di dollari sui loro titoli in portafoglio – una cifra che saliva ben oltre 1.000 miliardi se si includono le perdite sui prestiti a basso rendimento. Inoltre, molte di queste banche hanno anche livelli rilevanti di depositi non coperti dalla Fdic.

    In generale, le banche private, se non funzionano, sono a rischio di bancarotta, come abbiamo visto nelle settimane passate. Questo non vale per le banche centrali che in caso di bisogno potrebbero chiedere una ricapitalizzazione, anche se non facile e a condizioni pessime. E’ vero che le banche centrali sono indipendenti ma, di fatto, sono fortemente coinvolte in questioni fiscali e dipendenti dai mercati finanziari.

    de Larosière teme che il risultato più probabile possa essere la stagflazione, che produrrebbe una serie di tensioni politiche ed economiche. E aggiunge: “Con la loro gestione della politica monetaria, le banche centrali hanno contribuito all’inflazione e a indebolire il sistema finanziario”. Sono conclusioni molto pesanti.

 

3. Problemi monetari in Asia – Quasi tutti i paesi vicini all’India – Pakistan, Sri Lanka, Bangladesh e Nepal – stanno affrontando problemi delle loro bilance dei pagamenti. Il Bangladesh fatica a pagare le sue importazioni di carburante, a causa della carenza di dollari Usa. Lo Sri Lanka è già venuto meno ai suoi impegni internazionali e il Pakistan è sull’orlo dell’inadempienza. Oltre allo shock dei prezzi delle materie prime, causato solo in parte dalla guerra in Ucraina, il vero fattore scatenante è dovuto alle politiche sui tassi di cambio, sia a seguito delle decisioni monetarie della Federal Reserve, sia per quelle prese dai paesi in questione. Com’è noto, un aumento dei tassi d’interesse in Usa ha come effetto la svalutazione delle monete dei paesi emergenti e induce alla fuga dei capitali.

    I tassi di cambio della rupia pakistana, della rupia dello Sri Lanka (Slr) e del taka bengalese sono stati mantenuti a lungo fissi rispetto al dollaro. Tutti e tre i paesi importano carburante, cibo e fertilizzanti e, resistendo alla svalutazione e mantenendo un tasso di cambio “forte”, hanno tenuto bassi anche i prezzi delle merci importate. Contemporaneamente, però, un tasso di cambio artificialmente forte rende le esportazioni non competitive e non è sostenibile nel tempo.

 

 

Questi paesi hanno un’altra esportazione: il lavoro umano. L’Asia meridionale (inclusa l’India) è una delle principali fonti di migrazione di manodopera – circa 43 dei 164 milioni di migranti a livello globale – e, di conseguenza, destinataria di rimesse. E’ una questione che interessa anche l’Italia, poiché circa 800.000 lavoratori immigrati provengono da queste regioni. La Banca Mondiale stima che nel 2023 il 20% degli 815 miliardi di dollari di rimesse globali proverrà da cittadini asiatici (Cina esclusa) che lavorano all’estero. Si rileva che nel 2021 le rimesse, pari a 157 miliardi di dollari, erano tre volte gli investimenti esteri diretti in quella regione asiatica.

    Le rimesse in entrata hanno permesso ai paesi dell’Asia meridionale di mantenere tassi di cambio “forti”, contro le realtà del mercato. Di fatto essi hanno due tassi di cambio: uno “ufficiale” e uno “di mercato” che riflette la svalutazione. I lavoratori che inviano denaro tramite canali bancari devono utilizzare il tasso ufficiale. Quando la divergenza tra i due tassi diventa troppo ampia, com’è accaduto negli ultimi due anni, le rimesse iniziano a diminuire. Un divario ampio e prolungato tra il tasso di cambio ufficiale e quello di mercato porta all’uso di altri canali informali per il trasferimento di soldi da parte dei lavoratori.

    Il caso dello Sri Lanka è emblematico. Nella seconda metà del 2021 le rimesse in entrata sono state di 2,1 miliardi di dollari, in calo di quasi il 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Lo Sri Lanka ha un’emigrazione di oltre 1 milione di lavoratori, molti dei quali hanno smesso di utilizzare i canali ufficiali, rendendo il default più probabile. All’inizio del 2022, il tasso di cambio ufficiale era di circa 200 Slr per un dollaro, mentre il tasso di mercato era superiore di oltre il 20%. Alla fine, dopo il default, ci vogliono 360 rupie per un dollaro.

    La rupia pakistana, che è scesa di oltre il 40% rispetto al dollaro Usa nel 2022, è ancora scambiata sul mercato aperto con uno sconto rilevante rispetto al tasso di cambio ufficiale. Per preservare le sue magre riserve valutarie, il Pakistan ha ridotto le importazioni, costringendo alcune industrie a chiudere con un danno per la sua economia. Le esportazioni pakistane sono diminuite del 19% durante il trimestre gennaio-marzo 2023. Anche le rimesse in entrata verso il Pakistan hanno subito un duro colpo. Durante i primi 10 mesi dell’anno scorso, le rimesse sono diminuite del 13%. Le riserve valutarie sono al lumicino e il default è ormai una questione di tempo.

    Il Bangladesh ha intrapreso un’azione correttiva poiché le sue riserve monetarie hanno iniziato a precipitare già nel 2022, ma erano ancora a un livello decente di 35 miliardi di dollari. Ha contrattato con il Fmi un pacchetto di salvataggio recentemente approvato. Il Bangladesh ha dovuto svalutare la sua valuta di quasi il 25%. Uno dei fattori che ha spinto il governo ad agire è stato proprio il calo delle rimesse del 16%.

    In tutti questi casi, i governi sono stati in grado di mantenere un tasso di cambio artificialmente forte grazie ai flussi di denaro provenienti dai milioni di lavoratori emigrati. Questa politica è insostenibile a lungo termine. Anche l’India è uno dei principali destinatari delle rimesse – 89 miliardi di dollari l’anno – ma si tratta di una frazione rispetto al totale delle sue esportazioni. L’India ha abbandonato i tassi di cambio fissi nel 1992 e ha permesso alla sua valuta di trovare il suo equilibrio. Per i suoi vicini dell’Asia meridionale è molto più difficile e sono di fronte a tumulti monetari e a nuove svalutazioni. E’ una ragione di più per accelerare un assetto mondiale multilaterale più giusto anche dal punto di vista economico e sociale.

       

     

         

Da CRITICA LIBERALE

riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

NUMERO SPECIALE DI “NONMOLLARE”

QUINDICINALE ONLINE

 

PARLANDONE DA VIVO: è

finita l’era berlusconiana?

scritti critici (vai al sito)

 

       

 

da >>> TERZO GIORNALE *)

https://www.terzogiornale.it/

 

Le periferie di Roma alla

ricerca del tesoretto del Pnrr

 

Le risorse europee e nazionali per la capitale sono rilevanti, ma ancora non è chiara la distribuzione sul territorio e l’esito finale dei progetti. Si tratta di trovare un equilibrio inedito tra l’impostazione tradizionale basata sulla rendita e la valorizzazione immobiliare e le nuove richieste di qualità della vita che emergono dalle tante esperienze di organizzazione dal basso dei cittadini. Una scommessa per l’amministrazione che deve fare i conti anche con la criminalità. Quinta puntata della nostra inchiesta sulle trasformazioni della città in vista del Giubileo.

 

Il fiume di soldi del Recovery Plan all’interno del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, potrebbe essere l’occasione che si attendeva da anni per rilanciare i progetti di risanamento urbanistico della grande periferia. Il condizionale però è d’obbligo, perché sulla carta le risorse messe a disposizione della città sono tante, visto che solo tra Pnrr (finanziato con il fondo Next generation Eu (Ngeu) e fondo nazionale complementare (legato al Pnrr) si parla di almeno cinquecento milioni di euro. Intervenendo in Commissione speciale Pnrr, il sindaco Roberto Gualtieri aveva fornito la cifra complessiva di un miliardo e 431 milioni. Per quanto riguarda le periferie, sono stati messi a punto cinque Piani urbani integrati per un totale di 330 milioni di euro (con particolare attenzione alle biblioteche e il recupero del complesso monumentale dell’ex ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà) a fianco ai tre progetti innovativi per la qualità dell’abitare (Pinqua) per quaranta milioni di euro e nove interventi per la riduzione di emarginazione e degrado, con un costo di dieci milioni. Ma a parte la chiarezza definitiva sulle cifre, le incognite da sciogliere per la concreta attuazione dei progetti, e soprattutto per la equa e bilanciata distribuzione delle risorse tra centro e periferia, sono ancora tante, legate prima di tutto alla capacità tecnica e politica dell’amministrazione comunale di rendere operativi i tanti progetti approvati e alla sua capacità di fare da tramite tra le politiche nazionali e le reali esigenze dei cittadini che sul territorio ci vivono, in una città che ogni giorno è alle prese con problemi antichi: dal traffico allo smaltimento dei rifiuti, passando per l’emergenza mai risolta del diritto all’abitazione per migliaia di famiglie.

 

Roma centro addio – Il primo elemento da tenere in considerazione riguarda la grande mutazione sociale e demografica della capitale. I fenomeni si sommano e sovrappongono. Da una parte, l’invecchiamento della popolazione che segue le dinamiche nazionali; dall’altro, il progressivo svuotamento del centro a favore di una periferia che ormai è la vera città. “Lo sviluppo urbano di Roma – scrive il professor Carlo Cellamare, docente di Urbanistica all’Università la Sapienza nel libro Fuori Raccordo – è stato fortemente caratterizzato, dal dopoguerra a oggi, dalla crescita delle sue periferie, sia quelle pianificate sia quelle abusive, e anche quelle prodotte dalla speculazione. Sebbene la dicotomia centro-periferia non sia più valida in senso stretto, permane una condizione di perifericità (e quindi di marginalità) di molti territori della città di Roma. La periferia è la parte prevalente della città. Si potrebbe dire che Roma è la sua periferia”. La grandezza del territorio del Comune di Roma vanta il record europeo dell’estensione delle metropoli con i suoi 1290 chilometri quadrati. Ma la distribuzione della popolazione e la conformazione urbanistica hanno subito profonde trasformazioni negli ultimi anni. Dei circa tre milioni di abitanti, una esigua minoranza abita nei palazzi di un centro che è sempre più dedicato al turismo di lusso. Al centro di Roma i residenti effettivi sono poco più di 150mila (la metà dei numeri medi di altri municipi). Si calcola che un milione di romani vivono in appartamenti all’interno dell’anello ferroviario. Un altro milione fuori dall’anello e altre 800mila persone fuori dal Raccordo Anulare. Praticamente il centro, come l’avevamo conosciuto nella storia della capitale, non esiste più. Roma è la sua periferia e i centri si sono moltiplicati. L’esodo verso le zone fuori dal Raccordo riguarda sia le famiglie che non possono permettersi di acquistare casa a Roma, sia quelle di ceto medio o medio-alto, che cercano una qualità della vita che la grande città non può offrire dal punto di vista del contatto con la natura e i tempi di vita. In questa popolazione, che emigra verso nord o verso sud, ci sono ovviamente anche migliaia di immigrati che aumentato le quote di pendolarismo con la capitale.

 

L’occasione per ridisegnare la città – I progetti Pinqua per la cosiddetta rigenerazione urbana (generalmente orientata alla valorizzazione immobiliare) sono tanti, ma sono legati soprattutto alla riqualificazione fisica, ci spiega il professor Carlo Cellamare, che oltre a insegnare Urbanistica presso La Sapienza di Roma, è direttore del Laboratorio di studi urbani Territori dell’abitare e della rivista “Tracce Urbane”. Si tratta, per lo più, di importanti finanziamenti pubblici per opere, mentre ha un ruolo molto minore l’intervento complessivo nel sociale. Si tratterebbe invece di tenere conto della molteplicità dei centri che caratterizza il profilo attuale di quella che molti studiosi cominciano a chiamare la “postmetropoli”… (continua sul sito)

 

*) Terzo Giornale – La Fondazione per la critica sociale e un gruppo di amici giornalisti hanno aperto questo sito con aggiornamenti quotidiani (dal lunedì al venerdì) per fornire non un “primo” giornale su cui leggere le notizie, non un “secondo”, come si usa definire un organo di commenti e approfondimenti, ma un giornale “terzo” che intende offrire un orientamento improntato a una rigorosa selezione dei temi e degli argomenti, già “tagliata” in partenza nel senso di un socialismo ecologista. >>> vai al sito

       

         

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.collettiva.it

 

Pensioni, «incontro inutile»

 

Landini commenta l’esito del tavolo sulla previdenza. Nessuna indicazione su risorse e cose concrete da fare: il governo non ha alcuna volontà reale di riformare il sistema previdenziale

 

Un incontro neanche interlocutorio. Un incontro “inutile”. Non ricorre a giri di parole il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, nel raccontare ai cronisti il risultato del tavolo sulla previdenza con i sindacati convocato dalla ministra Calderone, il primo dopo 4 mesi di silenzio. “La verità – ha rincarato la dose il sindacalista – è che il governo non ha nessuna volontà di aprire una trattativa sulla riforma delle pensioni e il ministro non aveva alcun mandato da parte del governo, perché non ha risposto nulla su quante risorse sono disponibili e sulle cose concrete da fare”.

    Entro sera arriverà ai sindacati una proposta di altri incontri su singoli temi. “Noi naturalmente parteciperemo a tutti gli incontri – ha detto Landini –, ma deve essere molto chiaro che se l’esito di questo confronto per il governo è qualche modifica all’Ape sociale o qualche allargamento dei contratti di espansione, non è quello che serve oggi alle persone”.

       

           

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

IL TEMPO DI

RIFLETTERE

 

In Molise vince centrodestra con Francesco Roberti. Scelto e sostenuto dall’intera coalizione del centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Udc,Dc, Noi di Centro) ha battuto il candidato del M5S e del centrosinistra Roberto Gravina. La fotografia del voto vede FdI che quadruplica voti e il crollo del M5S che si sono presentati in alleanza con il Pd. Francesco Roberti a scrutinio quasi ultimato vince col 63,7% mentre Roberto Gravina del centrosinistra resta al il 34,8% dei voti. FdI è il primo partito con il 19,6% (nelle regionali del 2018 ottenne il 4,4%). Forza Italia al 12,7% dal 9,4% del 2018. La Lega scende al 5,5% contro l’8,2% del 2018. Il Pd ha l’11,4% (nel 2018 ebbe il 9%),il M5S nel 2018 corse da solo (31,6) e oggi si ferma al 7%.

       

                

L’Avvenire dei lavoratori – Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

 

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L’Avvenire dei lavoratori

 

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L’OPINIONE

 

Chi è di sinistra e chi no

 

In una situazione politica molto confusa come quella attuale, sono in molti a chiedersi “cosa vuole dire oggi essere di sinistra”. La risposta a questa domanda è semplice: sono di sinistra quei partiti e quei movimenti che soddisfano due condizioni

 

Questo articolo è molto breve. Per due motivi. Il primo è che l’autore ha solo una cosa da dire, che a lui sembra ovvia e non richiede molte parole. Il secondo è che l’autore spera che questo articolo venga diffuso, e venga letto anche da chi ha poco tempo per leggere.

    La situazione politica è molto confusa. Sono in molti a chiedersi “cosa vuole dire oggi essere di sinistra”. La risposta a questa domanda è semplice: sono di sinistra quei partiti e quei movimenti che soddisfano due condizioni. La prima è che cerchino di ottenere che vengano estese le garanzie dello Stato sociale e i diritti sociali ed economici fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione; e questo è ovvio. La seconda è che cerchino di ottenere che alle necessarie spese si provveda tassando opportunamente il patrimonio dei ricchi; e questo dovrebbe essere ovvio. Senza questa seconda condizione la prima sono parole senza significato.

    Sappiamo che non si può, né sarebbe giusto, espandere il debito; che tassare i redditi elevati li fa scappare all’estero; che la lotta all’evasione fiscale deve essere parte di una più ampia riforma, altrimenti non colpirebbe i grandi contribuenti (che eludono più che evadere) e avrebbe effetti inflattivi e recessivi enormi. E allora rimane solo la ricchezza dei ricchi. La ricchezza totale degli italiani ammonta a circa 10.000 miliardi (circa 5 volte il PIL di un anno). Il 20% più ricco delle famiglie ne detiene circa 7.000. Una tassa dell’1% (sottolineo: 1%) solo sui patrimoni di questo 20% renderebbe circa 70 miliardi. Un piccolo sacrificio per loro, un vantaggio enorme per la società. E’ scandaloso che ci sia chi afferma che è uno spreco spendere un decimo di questa cifra (un millesimo della ricchezza dei ricchi) per aiutare i poveri.      

    Naturalmente il discorso va approfondito sul piano tecnico; ma non occorre essere professori di economia (anche se l’autore lo è) per rendersi conto della validità di quanto sopra. Chi pretende di essere di sinistra deve chiedere che venga introdotta un’imposta del tipo qui suggerito. O se preferite, chi non mette al centro del suo programma la richiesta che venga introdotta un’imposta di quel tipo non è di sinistra.  (Questo articolo è apparso anche su Italia libera

 

Guido Ortona, Eguaglianza e libertà

       

         

L’Avvenire dei lavoratori

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

 

L’Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigra­zione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall’Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all’estero, L’ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon­diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l’Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L’ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l’integrazione dei mi­gran­ti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all’eclissi della sinistra italiana, diamo il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appar­tiene a tutti.

 

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