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inviamo di seguito e in allegato il commento “Come investire nell’ESG 3.0?” a cura di Yuko Takano, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management (+ foto).
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Come investire nell’ESG 3.0?
A cura di Yuko Takano, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management
03.07.2023
- In questi ultimi anni, gli investitori si sono riversati su aziende ESG ad alto punteggio. I mercati li hanno ampiamente ricompensati, ma alla fine si sono ritrovati con portafogli sostenibili pieni di titoli growth e tecnologici. Penso che adesso siamo in procinto di entrare nella fase successiva. Ciò che contraddistingue l’ESG 3.0 è il ritorno ai fondamentali e all’esecuzione di ricerche approfondite sulle aziende. È necessario che gli investitori guardino oltre i leader di mercato per trovare opportunità di investimento interessanti in aree meno battute, ad esempio tra le aziende in fase di transizione.
- Il nostro obiettivo è investire in società in fase di transizione, il cui potenziale non è ancora stato del tutto apprezzato dal mercato. Riteniamo che esistano molte opportunità di investimento in alcuni dei settori meno apprezzati, come quello industriale e in alcuni casi quello energetico e delle utility, senza i quali non sarebbe possibile una transizione veramente sostenibile.
Quali innovazioni ha osservato nel contesto dell’investimento responsabile?
Ho l’impressione che stiamo attraversando un periodo di transizione. I criteri ESG 1.0 erano incentrati sulle esclusioni, vale a dire i settori da eliminare dai portafogli dei clienti che desideravano investire coerentemente con determinate convinzioni.
Poi, nella seconda decade degli anni duemila, gli asset manager hanno iniziato a lanciare strategie incentrate meno sulle esclusioni e più sulla ricerca di società innovative in grado di contribuire a un futuro sostenibile: si trattava dell’ESG 2.0. A mio parere, un punto debole di questo approccio è il ricorso a score di sostenibilità pubblicati da MSCI o Sustainalytics, che sono retrospettivi e strettamente focalizzati. Per fare un esempio, le aziende tecnologiche, bancarie o sanitarie raggiungono score molto elevati, poiché il loro impatto ambientale è nettamente inferiore a quello delle imprese del settore industriale o petrolifero.
In questi ultimi anni, gli investitori si sono riversati su queste aziende ESG ad alto punteggio. I mercati li hanno ampiamente ricompensati, ma alla fine si sono ritrovati con portafogli sostenibili pieni di titoli growth e tecnologici.
Penso che adesso siamo in procinto di entrare nella fase successiva, in parte anche per via della flessione attuale del mercato. Ciò che contraddistingue l’ESG 3.0 è il ritorno ai fondamentali e all’esecuzione di ricerche approfondite sulle aziende. È necessario che gli investitori guardino oltre i leader di mercato per trovare opportunità di investimento interessanti in aree meno battute, ad esempio tra le aziende in fase di transizione.
Cosa si intende per transizione?
La transizione è la fase in cui un’azienda comincia a ridurre il proprio impatto e ad assumere una condotta ESG migliore.
Nel settore energetico, ad esempio, ci riferiamo a quelle aziende che stanno abbandonando i combustibili fossili in favore di fonti energetiche con emissioni di carbonio minime o pari a zero.
Cambiamenti fondamentali stanno avvenendo anche in ambito sociale, sia negli aspetti legati alla diversità che nel modo in cui le aziende trattano i propri dipendenti. Per fare un esempio, da un punto di vista sociale o commerciale, non ha più senso sottopagare i dipendenti, eppure è quello che osserviamo in alcune società statunitensi che operano nel settore del retail o dei servizi. Nel caso di Walmart o Amazon, la fidelizzazione dei collaboratori è un aspetto importante da tenere in considerazione quando si decide di investire, perché si ripercuote direttamente sui bilanci. Le aziende con elevati tassi di turnover sono costrette ad assumere nuovo personale che andrà formato, causando costi elevati, a scapito dei rendimenti degli azionisti.
Come investite nell’ESG 3.0?
Il nostro obiettivo è investire in società in fase di transizione, il cui potenziale non è ancora stato del tutto apprezzato dal mercato. Riteniamo che esistano molte opportunità di investimento in alcuni dei settori meno apprezzati, come quello industriale e in alcuni casi quello energetico e delle utility, senza i quali non sarebbe possibile una transizione veramente sostenibile.
Cerchiamo di affrontare gli investimenti con un approccio olistico, raccogliendo una grande quantità di informazioni e analizzando le aziende da diverse prospettive. Effettuiamo autonomamente le nostre ricerche e altrettanto autonomamente prendiamo le nostre decisioni. Sebbene le agenzie di rating si siano specializzate nel fornire una gamma sempre più vasta di dati e ricerche, non ci riteniamo vincolati alle conclusioni che forniscono.
Per me è come tornare ai fondamentali dell’investimento, ed è un approccio innovativo se paragonato alle recenti tendenze del settore.
Si tratta effettivamente di una sfera privilegiata dei gestori di fondi attivi, data l’ampia attività di ricerca che sta alla base e che li rende profondamente diversi dai fondi ESG passivi. Il nostro compito è comprendere appieno un’azienda, i rischi e le opportunità che porta con sé e il potenziale di cui dispone per compiere la transizione. Nella nostra strategia, un elemento chiave è rappresentato dall’engagement. Collaboriamo con un numero selezionato di aziende, con le quali ci confrontiamo fino a quattro volte all’anno, per guidarle lungo il percorso di transizione.
Che tipo di aziende state cercando?
Innanzitutto, cerchiamo aziende con bilanci solidi e potenziale per rendimenti elevati, perché una maggiore sostenibilità può richiedere molto capitale. In secondo luogo, vogliamo investire in aziende in cui l’impatto ambientale o sociale dei prodotti e servizi si traduce direttamente in miglioramenti operativi. E, a volte, queste opportunità non sono le più ovvie.
Prendiamo, ad esempio, i veicoli elettrici. A parte Tesla, non sono molte le case automobilistiche che producono veicoli elettrici in modo redditizio: tendenzialmente ricorrono a un mix diversificato di prodotti che include altri tipi di auto o beneficiano di sovvenzioni governative. In sostanza, queste aziende stanno sacrificando i propri margini e rendimenti per produrre veicoli elettrici. Questa strategia non è sostenibile nel lungo termine, in quanto finirà per erodere gradualmente il capitale.
D’altro canto, deteniamo partecipazioni in una società di servizi petroliferi con la quale portiamo avanti un’attività di engagement estremamente positiva. Questa azienda dispone di una tecnologia di compressione applicabile non solo al petrolio, ma anche al gas naturale liquefatto (GNL) e, in futuro, all’idrogeno. Questa particolare divisione è mediamente più redditizia per l’azienda e contemporaneamente ci segnala che la società ha buone probabilità di sopravvivere alla transizione energetica.
Come riuscite ad assicurarvi che la vostra voce venga ascoltata dalle aziende?
Recentemente ho avuto un pranzo di lavoro con 20 clienti wholesale, che a loro volta forniscono consulenza alle imprese sui loro fondi pensione. Erano tutti interessati alle questioni ESG perché sono importanti per i loro clienti.
Cinque o sei anni fa, se avessi contattato Amazon o Walmart per parlare di ESG, mi avrebbero indicato la porta. Tuttavia, si è verificato un grande cambiamento nella consapevolezza dei clienti verso questi temi e le aziende sono ora tenute a prestare maggiore attenzione a ciò che dicono gli investitori.
L’engagement, la collaborazione attiva, è un processo bidirezionale. Se ci aspettiamo che le aziende si impegnino a raggiungere gli obiettivi ESG che formuliamo, da parte nostra dobbiamo condividere le nostre best practice e le nostre conoscenze in materia. Le aziende sono desiderose di imparare, in primo luogo come gestire la reportistica o come muovere i primi passi.
Non molto tempo fa, il mio collega Peter è stato invitato a un evento di settore da un’azienda del comparto energetico. Noi eravamo uno dei soli quattro investitori partner presenti all’evento, gli altri tre erano grandi asset manager globali. Anche se la nostra partecipazione nella società era molto più piccola, l’azienda ha voluto che fossimo presenti perché sa che siamo una voce influente nel campo dell’investimento responsabile. Le aziende cominciano davvero a prestare ascolto.
Come misurate un aspetto così complesso come l’impatto?
La misurazione dell’impatto è possibile in tante forme diverse. Una cosa che vogliamo evitare è dire “investendo nel fondo avete risparmiato una quantità X di CO2” o “avete piantato 10.000 alberi”, perché non c’è modo di comprovare effettivamente questi numeri e, inoltre, spesso non significano nulla per i nostri clienti. Preferiamo, invece, considerare i dati riferibili all’impatto a livello di ogni singola azienda presente nel nostro portafoglio. Monitoriamo tutti gli indicatori chiave di performance (KPI) e ci assicuriamo che le aziende raggiungano i nostri obiettivi. Queste sono le informazioni che condividiamo con i nostri investitori.
Per quel che riguarda la sfera ambientale, ci sono indicatori più immediati come, ad esempio, gli obiettivi “net zero”. Un alto numero di aziende già dichiara le emissioni Scope 1 e 2, in quanto correlate più direttamente alla loro attività. Il calcolo dello Scope 3, però, è più complesso, perché comporta una misurazione dell’impatto ambientale del proprio prodotto dopo la vendita.
In questo compito, alcune aziende fanno da apripista. Ad esempio, deteniamo partecipazioni in un’azienda di attrezzature per la produzione di semiconduttori che ripara e riconverte i suoi macchinari ed è in grado di dimostrare quanti ne ha sostituiti e la quota di apparecchi ancora in funzione.
Un altro esempio di indicatore KPI che riguarda, ad esempio, le aziende alimentari, è la percentuale di prodotto biologico utilizzato rispetto a quello sintetico o il grado di diffusione dei suoi prodotti in aree con problemi di malnutrizione. Ancora, la fidelizzazione dei dipendenti, cui abbiamo accennato prima.
Nel complesso, i KPI sono diversi per ogni azienda. Per quanto ci riguarda, dipendiamo dalla qualità dell’informativa delle aziende, che, per inciso, può anche diventare uno degli obiettivi del nostro engagement. È un lavoro in divenire e ci troviamo ancora nella fase in cui ogni giorno abbiamo accesso a nuovi dati.
Le informazioni, opinioni e stime contenute nel presente documento riflettono un’opinione espressa alla data originale di pubblicazione e sono soggette a rischi e incertezze che potrebbero far sì che i risultati reali differiscano in maniera sostanziale da quelli qui presentati.
Il Gruppo Pictet
Fondato a Ginevra nel 1805, il Gruppo Pictet è uno dei principali gestori patrimoniali e del risparmio indipendenti in Europa. Con un patrimonio gestito e amministrato che ammonta a circa 620 miliardi di euro al 31 dicembre 2022, il Gruppo è controllato e gestito da otto soci e mantiene gli stessi principi di titolarità e successione in essere fin dalla fondazione. Il Gruppo Pictet, con oltre 5.300 dipendenti, ha il suo quartier generale a Ginevra e altre sedi nei seguenti centri finanziari: Amsterdam, Barcellona, Basilea, Bruxelles, Dubai, Francoforte, Hong Kong, Londra, Losanna, Lussemburgo, Madrid, Milano, Montreal, Monaco di Baviera, Nassau, New York, Osaka, Parigi, Principato di Monaco, Roma, Shanghai, Singapore, Stoccarda, Taipei, Tel Aviv, Tokyo, Torino, Verona e Zurigo. Pictet Asset Management (“Pictet AM”) comprende tutte le controllate e le divisioni del Gruppo Pictet che svolgono attività di asset management e gestione fondi istituzionali. Fra i principali clienti si annoverano alcuni dei maggiori fondi pensione, fondi sovrani e istituti finanziari a livello mondiale.
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