L’Avvenire dei lavoratori 31 agosto 2023 – e-Settimanale della più antica testata della sinistra italiana Organo della F.S.I.S., Centro socialista italiano all’estero, fondato nel 1894 / Direttore: Andrea Ermano Redazione e amministrazione presso la Società Cooperativa Italiana – Casella 8222 – CH 8036 Zurigo settimanalmente trasmesso a 22mila utenti in italia, europa e nel mondo
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L’Avvenire dei lavoratori
Ben ritrovate/i Certo, la nostra è “un’idea che non muore”, ma non si può certo dire che manchino gli argomenti, in quest’autunno già abbastanza caldo, mentre riprendiamo le attività dell’ADL sul solco della nostra tradizione politico-organizzativa socialista democratica italiana in emigrazione. A tutte/i un orgoglioso e caro saluto antifascista La Red dell’ADL
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IPSE DIXIT
E le stelle stanno a guardare – «Non si capisce come mai non siano dislocate a Lampedusa e nei porti del canale di Sicilia le unità di altura della Guardia Costiera.» – Vittorio Alessandro, ammiraglio in congedo ed ex portavoce della Guardia Costiera Italiana
Commemorazione per la strage di Cutro © ANSA/FRANCESCO ARENA
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SPIGOLATURE
la MARCIA SUL MARCIO
di Renzo Balmelli
INCUBO. C’è del marcio! – esclamerebbe Shakespeare nel soffermarsi sui ripugnanti episodi di stupro e inenarrabile violenza sessuale del branco che infestano le cronache di questi giorni. E ne avrebbe ben donde il vate di Stratford-upon-Avon, sconvolto come lo siamo tutti noi al momento di scoprire fino a qual punto di abiezione può arrivare la sopraffazione di uomini travolti dagli istinti più bassi. Sì, c’è del marcio in questi comportamenti inammissibili, maturati in un clima di degrado sociale e culturale che ti toglie il fiato. La tragedia, e non è l’unica, che ha visto un’orda di ragazzini accanirsi per ore e ore su una ragazza 19enne, è l’esibizione di una forma di miserabile ‘onnipotenza’ e di potere avariato, già guasto e putrido in età giovanile. Un potere che si spinge fino a filmare la terribile scena: un delirio di schizofrenia social. Ed è solo la punta dell’iceberg dell’orrore che si aggiunge all’incubo del dolore senza fine delle persone abusate che mai si riavranno dalla sconvolgente esperienza. Eppure sul fondo dell’abisso c’è chi ha la miserabile pretesa di puntare l’indice non contro gli scatenati aggressori, bensì contro le vittime, trasfigurandole in protagoniste consenzienti sotto l’influsso dell’alcol eccetera. C’è chi sta diventando con ciò anche un caso politico fonte di grave imbarazzo. Lo stupro è una oscena arma di guerra da condannare senza mezzi termini. È la lama di coltello che affonda il colpo nel solco più profondo dell’anima lasciando ferite indelebili dalle quali non si guarirà mai. Sostenere il contrario è un atto infame e criminoso.
RESPONSABILITÀ. Già era uno spaventoso e stupido gioco al massacro, l’insana guerra dichiarata dal Cremlino contro l’Ucraina. E più va avanti più si intuisce quanto e più di prima sia rischioso per le sorti dell’intera umanità. Adesso, con l’esplosione dell’aereo in cui ha trovato la morte Evgenij Prigozhin, il capo della milizia Wagner, il conflitto si carica di nuovi e misteriosi significati. Simile nei suoi effetti a quello di una bomba a scoppio ritardato, il drammatico episodio conferisce all’invasione di un Paese sovrano una dimensione finora inimmaginabile. La dimensione di una infinita tragedia greca in cui tutto è possibile. Gli arsenali – non dimentichiamolo – rigurgitano di ordigni nucleari che pesano sulle nostre teste come una spada di Damocle. Dobbiamo soltanto augurarci che li rimangano e che a nessuno venga la tentazione di accendere la miccia. Predisponiamoci dunque a vivere un autunno molto caldo e insidiosissimo come mai lo è stato prima. Wladimir Putin è impegnato in una partita difficilissima e dall’esito incerto per riaffermare la sua supremazia di leader autocrate. Partita che però lo carica di enormi responsabilità davanti al mondo intero nella sua veste di capo di una grande potenza qual è pur sempre la Russia.
FERMEZZA. Se l’estate è stata torrida, di sicuro non sarà l’ultima. Di questo passo – dicono gli esperti – capiterà sempre più spesso di finire sulla graticola. Durante la canicola abbiamo toccato con mano le conseguenze devastanti per l’uomo e la natura delle temperature sempre più elevate e incontrollabili. La stagione che sta volgendo alla sua conclusione ha riproposto in termini che non è esagerato definire tassativi l’urgenza della questione climatica. Il clima con le sue drammatiche turbolenze non è, a dispetto di una certa destra piuttosto ottusa e secondo la banale terminologia in voga da quelle parti, il passatempo dei “soliti gretini sfaccendati”. All’opposto esso rappresenta un problema maledettamente serio e urgente che non tollera ulteriori, colpevoli ritardi nel porvi rimedio, pena la sopravvivenza dell’umanità. La politica con la P maiuscola, nei confronti della quale il mitico Maigret, riletto con immutato piacere sotto l’ombrellone, nutre la stessa diffidenza provata dal suo creatore, ha perciò l’obbligo morale di intervenire con la massima fermezza. Si tratta, in ultima analisi, di porre fine all’enorme conflitto di interessi che impedisce l’applicazione di soluzioni veramente efficaci per il benessere generale e non soltanto per quello delle classi privilegiate.
IMPEGNO. Mentre eravamo in vacanza abbiamo potuto apprezzare una lucida analisi di Felice Besostri e Franco Astengo (vai al sito), che oggi l’ADL rilancia. Tema: quale deve essere il ruolo della sinistra nell’affrontare prossime sfide poste alla società in divenire? Stiamo parlando di “sfide” che forse non è esagerato definire epocali. Apprezzabile e stimolante a questo proposito è la proposta formulata dagli autori di ridare vita a un progetto pensato e concretizzato nel solco dell’Internazionale socialista. Muovendo in questa direzione appare evidente che tale impegno amplia gli orizzonti riguardo alle prospettive d’un nuovo, più vero e più robusto coordinamento tra le forze progressiste, più che mai necessario in questi tempi calamitosi. Citando liberamente le loro parole, tale idea “non va abbandonata da chi vuole coltivare la speranza di un cambiamento verso una società più libera, giusta e eguale”. Che è poi il criterio cui si ispira appunto la sinistra. Più di una volta abbiamo visto come le nostrane gazzette non esenti da turbe nostalgiche le abbiano provate tutte nel dare per scontato l’esito delle elezioni spagnole che consideravano di loro proprietà. Gli è andata male, sarebbe tuttavia da ingenui credere che la minaccia sia sparita. Gli inquietanti segnali che arrivano dalla destra tedesca a trazione AfD così come da altri schieramenti ad essa vicini, non consentono la minima distrazione in vista delle prossime elezioni europee del 2024. Un appuntamento cruciale sul quale la destra, già ora in piena campagna, fa affidamento per ribaltare gli attuali equilibri su cui si regge l’UE attraverso le sue consolidate, democratiche istituzioni.
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Periscopio
IERI IN SPAGNA DOMANI IN EUROPA
Il dato politico più rilevante di quest’estate europea ci è venuto un mese fa dalle elezioni anticipate in Spagna. Contro le previsioni di molti (e contro gli auspici di altri, insospettabili, ma potenti), i socialisti del premier Pedro Sanchez non sono stati affatto “strabattuti”. Al contrario, hanno aumentato i propri consensi rispetto alle ultime consultazioni, nonostante un sorpasso di misura da parte del Partido Popular. È verosimile che – con una più elevata partecipazione elettorale – il PSOE si sarebbe affermato come primo partito. Fatto sta che l’Armada Invencible delle destre iberiche ha impattato contro un fattore di “contenimento” del tutto inaspettato. Una lezione spagnola che andrebbe ora estesa all’Italia e all’Europa intera.
di Felice Besostri e Franco Astengo
Il titolo qui sopra richiama la famosa parola d’ordine “Oggi qui, domani in Italia”, pronunciata da Carlo Rosselli a Radio Barcellona, il 13 novembre 1936. Perché se alle europee del 2024 avessimo un risultato analogo della sommatoria di Pd e di tutto ciò che sta alla sua sinistra, pari a quello del solo PSOE (31,70%), ciò potrebbe prefigurare un principio di vittoria, anzi di rivincita nel 2027.
Quanto alla sinistra spagnola, che sembrava messa malissimo, si è rivelata comunque più forte di quella italiana – a partire dalle prime elezioni, nel 1994, con il maggioritario del “Mattarellum”. Nelle recenti consultazioni iberiche, la partecipazione è stata del 70,18%, quasi 4 punti percentuali oltre le ultime italiane del 2022 e superiore del 2% alle precedenti del novembre 2019, ma pur sempre di 5 punti percentuali sotto a all’aprile 2019. Il PSOE con 7.760.970 voti (31,70%) conserva i seggi che aveva alle precedenti elezioni, ma non è più il primo partito per l’avanzata del PPE che con 8.091.840 (33,05%) voti, lo supera di 330.870 voti, pur rimanendo lontano dalla maggioranza assoluta, in termini non tanto numerici quanto politici. Né basterebbe un’ipotetica coalizione insieme all’ultradestra di VOX, che perde 623.235 voti, ma resta il terzo partito (12,39%), sia pure di poco avanti rispetto a SUMAR (12,31%). Nell’analisi dell’avanzata del PPE va anche tenuta presente la “sparizione” del gruppo centrista-liberale Ciudadanos, i cui voti già hanno sicuramente rappresentato la maggior riserva di caccia dei popolari, avendogli messo a disposizione 1.650.318 voti ottenuti nel novembre 2019, allorché Ciudadanos aveva già comunque fatto registrare una forte flessione rispetto alla prima tornata elettorale svoltasi in quello stesso anno. Al di fuori dei primi quattro partiti entrati a far parte del Parlamento iberico (Congreso de los Diputados), ci sono solo formazioni autonomiste se non indipendentiste, come i catalani di Jxcat-Junts i cui sette seggi sarebbero giusto giusto quelli necessari a far raggiungere la soglia fatidica della maggioranza assoluta i deputati del PPE (137) ove uniti a quelli di Vox (33). Impossibile! Perché VOX è esplosa nei consensi elettorali: nel 2016 aveva lo 0,20% e 47.182 voti, come reazione all’indipendentismo catalano e al referendum del 1° ottobre 2017 celebrato nonostante l’annullamento del Tribunale Costituzionale. Un richiamo del PPE all’unità dei partiti spagnoli affiliati basterebbe, perché il PNV ha sei seggi, ma è inviso, ricambiato, da VOX, formazione nostalgica del centralismo franchista. Se non si troverà una maggioranza di 176 voti si tornerà a votare entro l’anno o al più tardi nel gennaio del 2024. Unica alternativa al ricorso alle urne sembrerebbe un accordo PPE-PSOE in nome dell’Europa. Questo è il trappolone a cui taluni lavorano, contro l’alleanza di sinistra a guida socialista. Prospettiva, quest’ultima, che non va abbandonata da chi vuole coltivare la speranza di un cambiamento verso una società più libera, giusta e eguale, che è la ragione per la quale la prima Internazionale Operaia e Socialista era nata nella seconda metà del XIX secolo in questa nostra Europa e che oggi rappresenta anche una ragione forte per continuare nel processo di integrazione europea.
Si attribuisce a Slavoj Žižek la battuta secondo la quale c’è il rischio che finisca prima l’umanità del capitalismo, ma il legame tra il futuro dell’umanità e l’ordinamento economico e sociale esiste, anche se l’anticapitalismo, l’internazionalismo e l’antimilitarismo non figurano più fra i tratti essenziali dei partiti di sinistra, come lo furono fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Tuttavia, senza idee e programmi per un cambiamento radicale dello sviluppo non si potrà far fronte all’emergenza planetaria mondiale, quindi, al futuro dell’umanità. La scelta della sinistra spagnola di un percorso di unità nella diversità se avrà successo sarà un modello, come invece non è stata Syriza in Grecia, che ottenne l’egemonia ma in competizione con i partiti della sinistra storica socialista (PASOK) e comunista (KKE), il primo ne è uscito distrutto e Syriza è stata colpevolmente non sostenuta nella difficoltà del debito. Eppure, sarebbe costato meno all’Europa e al popolo greco assumerne collettivamente la difesa, piuttosto che seguire la cura dell’austerità della Troika (Commissione Europea-BCE-FMI).
Il filosofo neo-marxista sloveno Slavoj Žižek
Tornando alla Spagna, l’alleanza tra il PSOE e le formazioni alla sua sinistra esce più forte, perché più coesa grazie a Yolanda Diaz. La sconfitta di Pablo Iglesias, omonimo del fondatore del PSOE nel 1879 (secondo partito socialdemocratico dopo quello tedesco), ha permesso di superare quello che era l’obiettivo primario di Podemos, cioè il “sorpasso” (parola d’ordine in italiano), perseguito nelle elezioni anticipate del 2015 (PSOE 5.545.315, 22,00%; Podemos 5.212.711, 20,68%) e del 2016 (PSOE 5.443.846, 22,63%; Unidos Podemos 5.087.538, 21,15%). Purtroppo, a partire dallo scioglimento della Seconda Internazionale non c’è più un “luogo” nel quale la sinistra possa discutere, confrontarsi e anche dividersi sulle sue strategie. Gli stessi partiti socialdemocratici, socialisti e laburisti, che avevano ricostruito un’Internazionale Socialista nel 1951 a Francoforte in piena Guerra Fredda, non hanno più un’organizzazione unitaria, quella che a partire dal Congresso di Ginevra del 1976 era stata protagonista della distensione, della lotta al colonialismo e all’apartheid sud-africano, senza dimenticare l’impegno per il riequilibrio dei rapporti Nord Sud portato avanti da Willi Brandt e Olof-Palme insieme al primo dialogo israelo-palestinese con gli accordi di Oslo. Per quanto riguarda l’Italia, tutta la nostra sinistra storica dal PSI al PDS (poi DS) faceva parte di questa organizzazione. Ma sotto l’impulso della Third Way britannica e della Neue Mitte tedesca, impulso rafforzatosi con la formazione del PD e una fascinazione di Bill Clinton, l’Internazionale Socialista venne abbandonata da tedeschi, socialdemocratici scandinavi, austriaci (il PD uscì persino dal PSE finché questi non diventò anche “democratico progressista”), con la conseguente crisi politica, organizzativa e finanziaria. Ora il nuovo Presidente del PSE è lo stesso Sanchez protagonista della rinascita del PSOE. In generale, l’internazionalismo non costituisce più una pratica comune alla sinistra nelle sue varie incarnazioni, pratica oggi sostituita dal suo surrogato l’europeismo generico, che al massimo può essere compassionevole verso i poveri e difensore delle minoranze di genere, discriminate anche in paesi sviluppati o teocratici. L’assenza di una visione internazionale, che non può prescindere dallo sviluppo e la riduzione delle diseguaglianze, la maggioranza dell’umanità non ha l’accesso a beni primari quali l’acqua potabile, le cure sanitarie di base e l’istruzione elementare, sta sviluppando in luogo della solidarietà planetaria cooperativa la sindrome della fortezza assediata in Europa e nei suoi singoli Stati. In luogo di un’Europa soggetto attivo per un mondo multipolare e solidale si sta rafforzando, anche a causa del regime autocratico putiniano russo, un europeismo-nordatlantico. Non ci sono le condizioni per una politica di difesa e sicurezza della UE, finché vige l’art. 42 TUE, che può essere modificato solo all’unanimità. Ma un bilanciamento su posizioni di parità effettiva configurerebbe nella NATO una decisione politica, che potrebbe essere almeno sollevata come richiesta. Nell’Europa a quindici, i paesi che ne dettavano la politica erano quattro: la Gran Bretagna, la Francia, la Germania e l’Italia. I primi due erano membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nonché potenze nucleari. L’asse franco-tedesco aveva rappresentato un fattore costante di stabilità di indirizzo.
Tagliando mortadella
Ma dopo lo sconsiderato allargamento a Est, voluto dalla Commissione Prodi, sotto la spinta d’interessi economici e geostrategici, non si può più ignorare il peso complessivo degli Stati già membri del COMECON e del Patto di Varsavia, raggruppati nel Gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria). Questi, alleati dei Paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), raccolgono settanta milioni di abitanti, già vittime del condizionamento sovietico. Purtroppo, la SPD non esprime più una leadership europea come ai tempi di Brandt e Schmidt. In Germania i partiti del “Semaforo” sono tutti superati nei sondaggi dall’ultradestra di AfD. E la Francia, con il passaggio dalla guida socialista a quella macronista, non pare in grado d’ispirare politiche di sinistra. La Svezia è passata ad una guida di destra nazionalista. Né il PD finora è stato capace di rappresentare le migliori tradizioni storiche della sinistra italiana, cioè del PCI e del PSI quando erano stabilmente il secondo e il terzo partito. guidati da leader autorevoli a livello internazionale. Affrontiamo le elezioni europee con una legge del 1979 di cui non si vogliono affrontare i nodi di contrarietà al Trattato di Lisbona in punti qualificanti, limitandosi a piatire una riduzione della soglia dal 4% al 3% o per mettere in sicurezza Italia Viva al 2%. Insieme PD e M5S hanno poco più del solo PSOE e non hanno una visione comune delle politiche europee. Tuttavia, i segnali della Spagna sono positivi e le elezioni europee del 2024 saranno precedute da test molto importanti come quello olandese e quello polacco ma sono anche anticipate rispetto a quelle federali tedesche del 2025 e alle legislative e presidenziali francesi del 2027, che precederanno nello stesso anno quelle italiane, sempre che non siano entrambe anticipate. Pertanto, saranno quelle europee ad indicare le tendenze per i successivi appuntamenti. Se il PSOE non riesce sulla base di un suo progetto federale a superare il separatismo e l’indipendentismo e a raccogliere il voto favorevole di tutti i gruppi regionalisti senza subire condizionamenti atti a fargli sostenere, astenendosi, un governo del PP, verranno le nuove elezioni spagnole ad anticipare quelle europee. Una ragione in più per concludere “Oggi in SPAGNA, domani in EUROPA”.
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Politica
IL TARLO DEL GOVERNISMO
Appunti a margine della Convention filo-Bonaccini tenutasi a Cesena il 22 luglio scorso.
di Paolo Bagnoli *)
A volte ritornano. E Romano Prodi è tornato per parlare a Cesena alla costituzione della corrente di Stefano Bonaccini. Ricordate? La presenza dell’ex- presidente del consiglio era stata annunciata, nei giorni precedenti, come l’occasione per una lezione, si presume di politica, per cercare di dare una linea a una forza sulla cui crisi e sulla sua persistenza nel perdere non vale la pena soffermarsi tanto i fatti parlano da soli. È difficile capire cosa ci si potesse aspettare da una personalità, rispettabilissima peraltro, come Romano Prodi che in quanto a capacità di costruire politica ha ampiamente “già dato”, se pur a lui va riconosciuto il merito di aver battuto due volte Silvio Berlusconi. Quelle vittorie, tuttavia, non sono servite né a salvare il sistema politico dal proprio progressivo sfarinamento né a impedire l’avanzata del populismo. Restano ricordi importanti sul piano simbolico, ma non incidenti sul piano politico, compresa la costruzione del Pd nato da un’idea furbesca e confusa e giunto, di tormento in tormento, a un sbandamento finale da cui è uscita Elly Schlein che avrà pure tante doti, ma non sembra possedere quelle necessarie per guidare un partito. Laddove il PD volesse essere tale, occorrerebbe rifarlo di sana pianta. Per diventare cosa? Quella forza di centro democratico che ci è parso di cogliere nell’intervento di Lorenzo Guerini, uno dei pochi dirigenti politici degni del nome. Vedremo cosa combinerà la corrente nata a Cesena. Certo è che da Prodi sono venute parole usuali; è venuto un ragionamento politico povero, senza sostanza vera. Prendiamone un passaggio, forse quello più significativo: «Il Pd può essere il perno del centrosinistra, ma lo spirito unitario è la condizione perché possa tornare alla guida dell’Italia», ha detto Prodi: «Il riformismo è indispensabile, accompagnato da un radicalismo dolce.» Ci asteniamo dal fare ogni ironia sul richiamo al “riformismo” e al “radicalismo dolce”: sarebbe anche fin troppo facile. Ma vedete voi se questo è il contributo di colui che è stato definito il “padre nobile” del Pd all’atto della sua rinascita. E come farà a “rinascere” una cosa che non è mai veramente nata? Dopodiché la destra può continuare a sgovernare questo Paese in tutta tranquillità, guidata da una Giorgia Meloni che ravvisa a ogni suo passo un successo nazionale. Quasi due mesi orsono il premio Nobel Joseph Stiglitz, parlando al Festival dell’Economia di Trento, rilevò come l’Italia rischiasse «una lenta soppressione degli strumenti democratici» (la Repubblica, 28.5.2023). La sintonia tra Prodi e il Pd risiede nel fatto che entrambi considerano il problema politico italiano come un qualcosa che si gioca solo ed esclusivamente sulla conquista del governo, per cui non c’è bisogno di pensare l’Italia, e non abbisogna nessuna cultura politica, poiché tutto si risolve nel refrain delle “sorelle Bandiera”: fatti più in là! In questa logica il problema, ribadiamolo, non era né il partito (e siamo generosi a chiamarlo così), ma neppure l’Italia (e ne siamo rammaricati), bensì conquistare il governo: ora, riconquistare il governo. Ma è mai possibile che nessuno, a un anno dalla caduta del governo Draghi, abbia sentito la necessità di compiere un’analisi della dinamica che fece cadere quella coalizione d’emergenza? Un’analisi del perché il Pd, che doveva essere il meno interessato alla sua caduta, non fu in grado di sviluppare iniziativa politica alcuna? La storia sta confermando quanto già si sapeva: governismo e populismo vanno a braccetto, ma quando il secondo fa blocco con l’illiberalismo della destra, il primo, bene che vada, assume un profilo da simil-peronismo, peraltro senza esserlo veramente. In esso, poi, confluisce un po’ tutto, come il rifarsi avanti di una proposta già presente nel referendum di Matteo Renzi; ossia, una riforma istituzionale che preveda un sistema monocamerale con una “camera delle autonomie.” Romano Prodi ha lanciato un appello alla ‘sostanziazione’ del governismo, ma la replica della realtà è altra e, come molti a Cesena hanno rilevato, il partito perde regolarmente le occasioni elettorali, fatta salva qualche eccezione. Ci sembra che Cesena sia stata una quasi prova tecnica di scissione, ma saranno i fatti parlare. In questa situazione c’è stato chi ha invitato il Pd a svegliarsi e a integrarsi in una grande formazione politica come il Partito del Socialismo Europeo visto che le Europee sono alle porte. Se il PSE esistesse la proposta potrebbe avere anche un senso, ma esso è un fantasma che non si aggira per l’Europa, visto che sta per lo più nascosto. Ma possono essere questi i ragionamenti da fare in un frangente delicato per la democrazia, non solo italiana, che stiamo attraversando? Un’estate sta finendo, per lo più bollente, dopo che a Cesena anche la “politica” ha pensato bene di andare al mare.
*) PAOLO BAGNOLI è nato a Colle Val d’Elsa nel 1947. Già senatore della Repubblica, ordinario di Storia delle dottrine politiche, ha insegnato dal 1987 al 1997 presso l’Università Bocconi di Milano; dal 1998 insegna presso la seconda Facoltà di Lettere dell’Università di Siena con sede in Arezzo. Collabora a numerose riviste di tipo scientifico e culturali tra le quali “Il Ponte” e “Nuova Antologia”. Nel 2012 ha fondato e dirige la rivista La Rivoluzione Democratica (Biblion Edizioni, Milano). Visita il sito: www.rivoluzionedemocratica.it/
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Segnalazione di Marco Morosini (sito)
AVREMMO I MEZZI PER SALVARLI MA NON LO FACCIAMO
di Vittorio Alessandro, ammiraglio in congedo ed ex portavoce della Guardia Costiera
L’ultimo grave naufragio nel canale di Sicilia, con quarantuno morti dopo i novanta dello scorso fine settimana, è l’ennesima prova di inadeguatezza del sistema dei soccorsi. Il gran numero di interventi in mare e di sbarchi a Lampedusa tradisce l’assenza di una visione realistica delle cose: non soltanto si sono moltiplicati gli arrivi rispetto a quelli dello scorso anno, ma lo Stato fa costante ricorso all’intervento delle navi Ong. Eppure continua ad additarle come fattore di attrazione e le accusa perfino di complicità con i trafficanti, penalizzando la loro attività operativa o addirittura punendole. Nonostante i moltiplicati sforzi della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza, fino alle loro estreme possibilità operative, continua il silenzio imbarazzato del governo. Che appare impegnato soprattutto a svuotare in continuazione l’hotspot di Lampedusa, dove anche le istituzioni locali sono portate allo stremo per riuscire a garantire la continuità delle operazioni. Gli accordi con la Libia e la Tunisia non hanno cambiato una situazione che, se mai, risulta aggravata. Per il crescente numero di morti in mare: oltre 1.800 dall’inizio dell’anno, secondo le stime dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), fra loro moltissimi bambini, e una quantità imprecisata di dispersi. Mentre continuano le denunce delle efferatezze sistematicamente compiute da quei Paesi nei confronti dei migranti, nei propri territori e in mare, dove le rispettive milizie esercitano non il soccorso, ma spregevoli inseguimenti. Prima ci coordinano poi ci allontanano. E il mare resta vuoto Se crediamo veramente in una politica marittima che veda in primo piano il rispetto dei diritti e la qualità dei rapporti diplomatici, dobbiamo finalmente abbandonare la logica delle frontiere, mai invalicabili dalla disperazione, né commissionare ad altri il lavoro sporco di chi asseconda le partenze fingendo, poi, di volerle ostacolare. Tale strategia produce morti invisibili e propaga nella nostra società veleno e sempre maggiore indifferenza, colpendo un impegno nei soccorsi che, per quanto generoso, 2 risulta incoerente e induce a gravi errori – come sappiamo essere accaduto a Cutro (Cutro, Calabria, il 25.2.2023, più di 100 morti, n.d.r.) Porta anche a vere e proprie vessazioni, come nel caso della nave Geo Barents. Martedì scorso ha recuperato quarantasette migranti alla deriva da sei giorni con un complicata azione di salvataggio, durante la quale tre persone sono cadute in mare e una è rimasta dispersa. Dopodiché la nave si è vista assegnare il porto di La Spezia. Così quei naufraghi, dopo aver sofferto il mare grosso e la paura, stanno ancora percorrendo un ulteriore viaggio di quattro giorni, prima di poter toccare terra. È urgente e necessario, dunque, che si aprano corridoi umanitari. E laddove questi dovessero rendersi subito di difficile percorrenza, che si apprestino nel frattempo adeguati dispositivi di soccorso in mare. Ma anche di accoglienza. Non si capisce, ad esempio, come mai non siano dislocate a Lampedusa e nei porti del canale di Sicilia le unità di altura della Guardia Costiera, raramente operative in questi soccorsi, e non si vede perché non si affronti l’emergenza con tutte le risorse disponibili: i grandi porti del Sud e il volontariato organizzato secondo un rigoroso coordinamento dello Stato. Sono questi passi da compiere subito perché possa parlarsi di un ruolo forte dell’Italia nel nostro mare. Nel segno della civiltà e della comprensione di un fenomeno che non chiama in causa soltanto i buoni sentimenti, ma secoli di civiltà marinara oltre che una grande sedimentazione di esperienze e di regole.
Riproduzione libera. Creative Commons. Citare la fonte: il manifesto, Roma, 10 agosto 2023 https://ilmanifesto.it/avremmo-i-mezzi-per-salvarli-e-non-lo-facciamo
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L’Avvenire dei lavoratori
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da >>> TERZO GIORNALE *)
ANCORA SULLA SPAGNA E L’EUROPA
Perché in Spagna è stato possibile fermare le destre e in Italia no? La risposta va trovata anzitutto nei numeri della partecipazione al voto: in Spagna la tendenza astensionistica ha subito una battuta di arresto, con un recupero di circa il 5% rispetto alle elezioni del 2019, arrivando a una percentuale di votanti del 70%. È la prova che, se l’elettorato di sinistra viene motivato dai suoi partiti e gruppi di riferimento mediante una campagna efficace, con una presentazione alle elezioni che abbia senso, e last but not least potendo esibire dei risultati tangibili circa la propria azione di governo, l’elettorato risponde, si mobilita.
di Rino Genovese
Nulla di tutto questo in Italia nel 2022: nessuno avrebbe mai potuto portare il governo Draghi come un esempio di chissà quale politica riformatrice, e invece fu sbandierata una fantomatica “agenda Draghi”, che perfino l’interessato dichiarò inesistente. Lo schieramento che avrebbe dovuto contrastare Meloni e i suoi era rassegnato e perdente fin dall’inizio, non fu fatto alcun tentativo di unità tra il Pd e i 5 Stelle (che tuttavia avevano governato insieme per un tempo non breve, nel pieno della pandemia), e ciò con un sistema elettorale che impone le alleanze. Si lasciò così crescere la demotivazione, quindi l’astensionismo, al suo livello più alto in Italia, pur in presenza della minaccia, che incombe ora realmente sul Paese, di finire come la Polonia o l’Ungheria. Ci sono poi gli aspetti europei della vicenda spagnola. In Italia è già da lungo tempo assodato – è la formula politica del berlusconismo – che una forza che fa parte del Partito popolare europeo sia alleata stabilmente con l’estrema destra, articolata in due formazioni, la Lega salviniana, che nel parlamento europeo fa capo al gruppo di Marine Le Pen (Identità e democrazia), e quella di Giorgia Meloni (Conservatori e riformisti europei: da notare, di passaggio, che finanche i conservatori si autodefiniscono “riformisti” – vedi qui –, a riprova del fatto che la parola ha perso completamente il suo significato). Bene, in Spagna fino a ieri non era affatto così: da poco i popolari spagnoli si stanno alleando nei governi locali, comunque da posizioni di forza, con l’estrema destra di Vox, venuta fuori soltanto negli ultimi anni. È anche una novità che il Partito popolare europeo, con il suo presidente Manfred Weber (non a caso un cristiano-sociale bavarese), stia prendendo in considerazione di coalizzarsi con la destra ultraconservatrice. Il punto cruciale è quello dell’antiecologismo spinto fino al negazionismo climatico: c’è un enorme grumo di interessi, comprendente gli allevamenti intensivi e l’agroindustria, che di una transizione ecologica di fatto non vuol sentir parlare. Ora, l’elettorato in Spagna è stato investito in anticipo di una partita che si giocherà nell’essenziale l’anno prossimo. Nel 2024 il “no pasarán” dovrà essere lo slogan delle forze progressiste per fermare l’ondata nera e rendere impossibile, numeri di seggi nel parlamento europeo alla mano, la prospettiva di un’alleanza tra popolari ed estrema destra. È anche la consapevolezza di questo “laboratorio politico”, dell’importanza di un voto che andava al di là del loro stesso Paese, che ha motivato gli elettori e le elettrici a Madrid come a Barcellona. Non per nulla diciamo Barcellona. In Catalogna il Psoe di Sánchez, che dal governo ha fatto grandi aperture ai catalani (vedi qui e qui i pezzi che il nostro Aldo Garzia aveva dedicato alla questione), ha avuto un risultato superiore alla media nazionale. È la prova, una volta di più, che la soluzione sta nel negoziato, fino ad arrivare magari a una sorta di confederazione concordata, non certo nell’indipendentismo secessionista. E i catalani sanno che si può trattare con un governo di sinistra, non con uno di destra. Ora, un intralcio sembra essere arrivato dalla Corte suprema, che peraltro già a suo tempo aveva dato parere negativo sull’indulto concesso da Sánchez ad alcuni separatisti in carcere. Carles Puigdemont, il leader in esilio del partito catalano nazionalista di destra, è sotto la minaccia di un mandato di arresto proprio quando si trova, con i suoi sette deputati alle Cortes, a essere l’ago della bilancia, con una semplice astensione, di una possibile riedizione del governo di sinistra. Come interpretare questa circostanza? Nella trattativa che si aprirà – considerando che la richiesta di un referendum popolare sulla questione catalana è inaccettabile da parte di Sánchez – potrebbe essere oggetto di trattativa un ulteriore provvedimento che consenta a Puigdemont di rientrare in Spagna da uomo libero? Staremo a vedere. Ma fin da ora si può dire che, ammesso che si debba ritornare alle urne entro l’anno, in mancanza di un accordo di governo, sarà ancora la Catalogna il centro nevralgico della faccenda: gli elettori catalani, ormai stanchi di un indipendentismo privo di sbocchi, potrebbero incoraggiare ulteriormente il Psoe, dandogli quella manciata di seggi in più che servirebbe per costituire una maggioranza. Nell’analisi di tutta questa complessa partita, va considerato che un ulteriore risvolto europeo (tra l’altro, la Spagna ha in questo momento la presidenza di turno dell’Unione) è dato proprio dalla questione delle autonomie locali, che in futuro potranno essere sottratte ai nazionalismi attivando un processo, al tempo stesso, di decentramento nei singoli Stati e di costruzione federalistica. I piccoli particolarismi, così come i grandi, sono da superare nella prospettiva degli Stati Uniti d’Europa: un’idea oggi apparentemente lontana dalla realtà, ma che proprio i nazionalismi, a causa della loro pericolosa grettezza, potrebbero far venire in primo piano come unica soluzione ragionevole. (continua sul sito)
*) Terzo Giornale – La Fondazione per la critica sociale e un gruppo di amici giornalisti hanno aperto questo sito con aggiornamenti quotidiani (dal lunedì al venerdì) per fornire non un “primo” giornale su cui leggere le notizie, non un “secondo”, come si usa definire un organo di commenti e approfondimenti, ma un giornale “terzo” che intende offrire un orientamento improntato a una rigorosa selezione dei temi e degli argomenti, già “tagliata” in partenza nel senso di un socialismo ecologista. >>> vai al sito
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LAVORO E DIRITTI a cura di www.collettiva.it
Landini a Meloni: “Incontriamoci”
Superamento della precarietà, rinnovo dei contratti e aumento dei salari: il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, propone alla premier Meloni un tavolo urgente con le parti sociali. Come anticipato in una recente intervista su Repubblica, Landini ha preso carta e penna per sollecitare la presidente del Consiglio Giorgia Meloni a un incontro “per verificare le condizioni di avvio di un confronto negoziale”. Disponibilità al dialogo a tutto campo, quindi, ma sia chiaro che se dal Governo si risponderà con preclusioni e chiusure a riccio, il Sindacato non mancherà di mettere in campo tutte le forme di pressione e di lotta, incluso lo sciopero generale, in difesa dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.
Tanti i temi sul tavolo. Si parte “dalla reale tutela e crescita del potere di acquisto di salari e pensioni” fino al “rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro pubblici e privati. Ciò sia in termini di risorse da inserire nella legge di bilancio, sia in termini di recupero dei ritardi nei rinnovi, sia in termini di intervento fiscale per sostenere aumenti salariali netti adeguati alla situazione inflattiva”. Tra le istanze non manca “la definizione di una legge sulla rappresentanza che cancelli i contratti pirata, certifichi la titolarità dei soggetti negoziali, assegni così valore generale di legge ai contenuti economici e normativi dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da organizzazioni di rappresentanza comparativamente più rappresentative, garantisca il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di votare i contratti che li riguardano e di poter eleggere le rsu in ogni luogo di lavoro”.
Tema caldo, quello del salario. Nella lettera indirizzata alla premier Meloni, Landini sottolinea la necessità di “fissare una quota salariale oraria minima valida per tutti i contratti nazionali affinché nessuna persona che lavora possa essere retribuita con una paga oraria inferiore”. Sul capitolo giovani, l’obiettivo è il superamento della precarietà: “è il momento di affermare la stabilità nei rapporti di lavoro e la parità di diritti tra tutte le persone che per vivere devono lavorare, ciò a valere anche nel sistema del lavoro in appalto”. Infine, si legge nella lettera, “la realizzazione di un piano straordinario di assunzioni in tutto il settore pubblico (dalla sanità all’istruzione) comprensivo della stabilizzazione del personale ancora precario”. Richieste precise che sono alla base della piattaforma La Via Maestra che Cgil e oltre cento associazioni hanno sottoscritto e che porterà il prossimo 7 ottobre ad una grande manifestazione a Roma.
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L’Avvenire dei lavoratori
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Da Avanti! online
STANGATA D’AUTUNNO
È passato quasi un anno da quel 25 settembre che ha portato alla formazione del governo Meloni. La prima legge di bilancio la premier in carica la aveva trovata quasi pronta o quantomeno già in grandi linee abbozzata dal governo precedente, quello guidato da Mario Draghi. Ora siamo di fronte alla prima manovra pienamente targata centrodestra…
di Ginevra Matiz
Delle tante promesse non vi è traccia, dei tagli sì. Sono questi che caratterizzano in gran parte la manovra di bilancio per il prossimo anno. La sanità il settore più colpito. Ma in un anno di Governo a calare non sono solo i soldi messi a disposizione per gli italiani, ma anche l’indice di fiducia degli stessi. Infatti ad agosto la fiducia di consumatori e imprese ha continuato la sua discesa. Per i primi l’indice cala a 106,5 da 106,7. Per le imprese la contrazione è forte: 106,8 da 108,9. Lo stima l’Istat. Per i consumatori calano le componenti clima economico e clima futuro, ma aumentano il clima personale e quello corrente. Per le imprese calano tutti i settori: l’indice è al livello più basso da novembre 2022.Manifattura da 99,1 a 97,8, costruzioni da 166,5 a 160,2, commercio al dettaglio da 111,0 a 108,8, servizi di mercato da 105,5 a 103,6. “Sembra passata la sbornia dei mesi scorsi in cui, nonostante inflazione in calo ufficialmente e prezzi in crescita ovunque, i consumatori italiani si erano distratti dalle vicende dell’economia” si legge sul sito dell’Aduc. “La lunga e difficile sortita dai periodi Covid aveva dato il suo contributo e ognuno era molto attratto da se stesso più che dal bene della società e dell’economia per cui: poca attenzione verso l’esterno e molta sul recupero di un livello di autostima, a costo di dar fondo ai risparmi accumulati o di indebitarsi. In questo quadro la realtà torna in primo piano. Aiutata anche dalle più che temerarie iniziative e non-iniziative del governo. Su cui non è stato fatto nulla se non incentivare crescita e distacco di imprenditori e consumatori”. Se la fiducia scende continua invece a salire il prezzo dei carburanti, sia benzina che diesel. Le medie nazionali risultano in aumento a valle dei rialzi decisi ieri dagli operatori. Il prezzo medio in modalità self è di 1,955 euro/litro (da 1,952), con i vari marchi compresi tra 1,950 e 1,972 euro, contro 1,946 del no logo. Il prezzo medio praticato del diesel self è 1,858 euro/litro (da 1,854: compagnie tra 1,851 e 1,882, no logo 1,848. Anche qui le politiche del governo hanno fatto fiasco e si sono dimostrate inutili le misure inventate dal ministro Urso, come quella di appendere fuori i distributori cartelli con il prezzo medio. Palliativi che hanno dimostrato di non servire a nulla. Intanto la ministra per il lavoro Calderone rassicura e alla domanda se siamo alla vigilia di una bomba sociale dice che i numeri del disagio sociale “ci dicono che la situazione è assolutamente gestibile”. E meno male. Inoltre a breve è in arrivo una stangata sulle bollette. Dal primo ottobre infatti le bollette dell’energia elettrica aumenteranno tra il 7 e il 10%. È la stima effettuata da Nomisma Energia in coincidenza con l’ultimo aggiornamento trimestrale dell’Arera, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente. Aumenti che cadranno anche in coincidenza con lo scadere del bonus bollette. Il caro bollette andrà così ad aggiungersi a tutti gli altri aumenti attesi in autunno, determinando una stangata sulle famiglie al rientro dalle vacanze. Sulle pensioni stessa solfa. Dopo tante promesse dal governo sono arrivati solo slogan. Ora servono delle risposte. A dirlo è la Cgil. “Sulle pensioni non farà nulla, anzi, sino ad oggi, è riuscito a fare peggio dei governi precedenti”. Ad affermarlo, in una nota, la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione. “In questi mesi – aggiunge la dirigente sindacale – si è continuato a tagliare sul capitolo previdenziale, prima con la scorsa legge di Bilancio, a partire dalla rivalutazione dell’importo pensionistico, poi con il fondo precoci e l’azzeramento di altre misure di flessibilità esistenti, come opzione donna”. “Riteniamo che il confronto aperto con le parti sociali sia finto, non è mai stata data alcuna risposta, e purtroppo non solo sulle pensioni. Sui diversi capitoli previdenziali – sottolinea Ghiglione – conosciamo le posizioni di questo esecutivo solo leggendo i giornali. Se le notizie di oggi, veicolate su alcuni organi di stampa, fossero vere, sarebbero scelte gravi e non condivise con chi rappresenta lavoratori e pensionati”. “Se il Governo – prosegue la segretaria confederale – ipotizza di intervenire nuovamente sulla rivalutazione delle pensioni, con un ennesimo taglio, riteniamo sia una scelta assolutamente sbagliata che contrasteremo, a partire dalla mobilitazione messa in campo nelle prossime settimane. Verrebbero colpiti ancora una volta i pensionati che hanno lavorato e versato i contributi per 40 anni e oltre”. “Per questo è necessario che il prossimo 5 settembre, al tavolo di confronto sulle pensioni, sia presente anche la Ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone. Il Governo deve dirci cosa vorrà fare sulle pensioni, basta bugie, in assenza di risposte – conclude Lara Ghiglione – la previdenza resterà una delle tante ragioni della nostra mobilitazione che ci riporterà in piazza a partire dal prossimo 7 ottobre a Roma”.
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Dalla Fondazione Rosselli di Firenze
Mattarella il 31 agosto in visita a Torre Pellice
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sarà il 31 agosto a Torre Pellice (Torino) per l’iniziativa promossa dall’amministrazione comunale per il ricordo dell’l’ottantesimo del primo discorso pubblico di Altiero Spinelli per l’Europa (1943- 2023), e per un incontro con la Comunità Valdese. Il Capo dello Stato sarà accolto dalle autorità territoriali alle 10.45 in piazza Muston poi si sposterà in piazza Libertà e Via della Repubblica per la scopritura della targa-ricordo del discorso di Spinelli e, successivamente, al vicino Teatro del Forte, sede del convegno dal titolo ‘L’Europa di Altiero Spinelli”.
In quella sede intervengono il Sindaco di Torre Pellice, Marco Cogno, il prof. Filippo Maria Giordano e il Presidente della Fondazione Circolo Rosselli, on.le prof. Valdo Spini. In seguito, il presidente della Repubblica parteciperà a un incontro con la Moderatora Alessandra Trotta e gli esponenti della Chiesa Evangelica Valdese e Metodista presso la Casa Valdese e, al termine effettuerà una visita al Museo Valdese.
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LETTERA
IO E LA RUSSIA (1)
Lettera giunta in redazione
Dal punto di vista istituzionale la Russia presenta le caratteristiche di uno Stato di stampo patrimoniale a conduzione pretoriana. Altri esempi del tipo sono l’Iran, il Venezuela e anche quegli stati africani che pure rientrano nlla medesima classificazione, ma costituiscono entità statuali in misura ridotta, avendo ormai dato le loro forze armate in outsurcing (e finanziano tali “politiche” tramite la concessione di risorse minerarie). Questo genere di regimi, detti “autocratici”, si caratterizza per: a) assenza di divisione dei poteri; b) elezioni con funzione di mera investitura; c) stretto controllo del Capo del Governo sul potere militare; d) una pervasiva dipendenza della popolazione dalla “economia di guerra” per l’offerta di lavoro, sussidi e commesse. Si tratta di sistemi, inefficienti e costosi, finanziati dal “distretto patrimoniale” tramite la vendita di risorse minerarie a basso costo, e oliati da un’altissima corruzione. Tutto si può prevedere, ma fino a quando larghissimi strati della popolazione russa dipenderanno per la loro sopravvivenza dal comparto militare il modello resterà in piedi. Poi, quando i russi impareranno che la produzione di lavatrici è preferibile a quella dei carri armati, le cose potranno cambiare. Noi non ci si può fare nulla, siccome quello russo è un popolo incline alla poesia, che ama le arti circensi e la propaganda. A meno che gli “autocrati” non tentino di (ir)rompere a casa nostra. Allora l’unica pedagogia che comprendono, sarebbe una risposta da caserma… nella speranza che si sveglino dal loro stato narcolettico. Su tutto ciò vi consiglio la lettura de L’ultima favola russa di Francis Spufford, docente al Goldsmiths College di Londra, che senza l’enfasi “di commenti seriosi, di scene tragiche” racconta con tono leggero e scanzonato “il dramma di un popolo che crede nelle favole” (vai al sito).
Lettera firmata
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LETTERA
IO E LA RUSSIA (2)
Secondo me il grande problema futuro della Russia, dopo aver dimostrato al mondo di avere un esercito di carta tanto da dover ricorrere ai mercenari della Wagner, sta in Asia: dove la Cina, che ha un esercito che funziona, ha bisogno di prendersi un pezzo di Siberia per affacciarsi alla rotta polare che riduce di due terzi i tempi di invio delle sue esportazioni in Europa rispetto all’attuale rotta attraverso il canale di Suez. E le esportazioni cinesi interessano l’Europa, quelle delle Russia, tolto, forse, il grano, no.
Claudio Bellavita, Torino
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L’Avvenire dei lavoratori EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897
L’Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall’Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all’estero, L’ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l’Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L’ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l’integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all’eclissi della sinistra italiana, diamo il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.
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