L’ADL del 7 settembre 2023

L’Avvenire dei lavoratori

7 settembre 2023 – e-Settimanale della più antica testata della sinistra italiana

Organo della F.S.I.S., Centro socialista italiano all’estero, fondato nel 1894 / Direttore: Andrea Ermano

Redazione e amministrazione presso la Società Cooperativa Italiana – Casella 8222 – CH 8036 Zurigo

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IPSE DIXIT

 

La ragione è che… – «Mi è arrivata la richiesta di Repubblica di parlare di Ustica. Mi stava dentro. Avevo avuto contatti recenti con il Comitato delle famiglie, con Daria Bonfietti in particolare. Avevo cominciato a pensare che questa ricerca a cui queste famiglie non rinunciano sta per arrivare a un tempo in cui diventa irrealizzabile, perché si muore. Ecco il peso della mia età… Purgatori, con il quale io avevo tanto lavorato, se ne era appena andato. Una voce importantissima per discutere delle possibili verità di Ustica se ne era andata. Altri che hanno vissuto la vicenda, che hanno la mia età, se ne possono andare. Chi ha guidato quegli aerei, al quale potrebbe oggi, a distanza di oltre quarant’anni, venire in mente: “Prima di morire lo voglio dire che ero io alla cloche di quell’aereo che quella sera del 27 giugno era tra gli altri a ronzare intorno al DC9”. È capitato, è capitato in altre vicende…» – Giuliano Amato

      

               

EDITORIALE

 

senza

niente

 

Quale storia laggiù attende la fine? “Chi sa parli”. Ottantuno persone morte in quell’aereo passeggeri dell’Itavia precipitato il 26 giugno del 1980 dai cieli sopra l’isola di Ustica. Gli esperti escludono che la causa sia stata una bomba a bordo. Forse, dicono, s’è trattato di un missile. Ma potrebbero essersi anche verificatesi delle forti turbolenze lungo la traiettoria di volo, causate da aerei militari in azione di guerra “coperta”. Il Dottor Sottile, che ha ormai la sua bella età, lancia una sfida a palle incatenate verso l’Eliseo, affinché il Presidente Macron prenda posizione, ammettendo oppure escludendo recisamente, in tutta chiarezza, l’eventuale coinvolgimento francese nella strage di Ustica.

 

di Andrea Ermano

 

In vita mia Giuliano Amato io l’ho visto una sola volta, fatti salvi ovviamente i congressi socialisti di un tempo che fu, nei quali giocava l’inarrivabile ruolo di enfant prodige craxiano.

    Poi l’ho visto da lontano, una sola volta, e solo per brevi istanti. Mi accadde, credo, nel 2011, quando tenne un discorso professorale all’Aula magna dell’Università di Zurigo. A differenza di Valdo Spini, Giuseppe Tamburrano, Giulio Polotti e tanti altri esponenti del vecchio PSI, Amato non ritenne di contattare i dirigenti del Centro Estero socialista. Lui forse nemmeno sapeva che esistesse un Centro Estero guidato, nel corso del tempo, da figure come Giacinto Menotti Serrati, Angelica Balabanoff, Ignazio Silone ed Ezio Canonica.

    Eppure fu questa struttura a svolgere un ruolo decisivo, tanto nell’opposizione alla dittatura mussoliniana durante il famigerato Ventennio, quanto nell’organizzazione della resistenza armata contro il nazi-fascismo, quanto infine al lungo impegno di lotta, che continua, contro la xenofobia sin dai tempi in cui i “terroni”, gli “albanesi” e gli “africani” eravamo noi migranti.

    Per altro, mi attardo su queste antichità polverose, ben sapendo che oggi l’espressione “Centro Estero” suscita in Italia felici sorrisi di compatimento tra i professionisti della politica e/o delle libere professioni, né certo soltanto tra quelli al seguito delle destre al Governo.

    Ma torniamo alla visita zurighese di Giuliano Amato. Abbandonai quasi subito la sala. Forse fu per il suo notorio bigottismo d’opportunità. In fondo, nel 2000, da presidente del Consiglio, Amato si era detto rammaricato di non poter impedire il corteo del Gay Pride. Poi, nel 2007 si era schierato, da Ministro dell’Interno, contro la trascrizione di matrimoni gay celebrati all’estero.

    Ricordo l’ampia sala gremita che pendeva dalle labbra del “Dottor Sottile”. Un nomignolo che gli era stato affibbiato per via della corporatura minuta, soprattutto se giustapposta al gigantismo anche grossolano del suo leader di riferimento, ai tempi in cui lavorava come segretario di gabinetto per un premier Craxi che somigliava all’orco delle fiabe, mentre lui stesso incarnava una genuina finezza cartesiana di pensieri, parole ed opere.

 

Bettino Craxi e Giuliano Amato in una sottile

caricatura di Alastor Marchetti © ADL 2023

 

Scampò, unica anima pia in un covo di lestofanti, alla catastrofe della Prima Repubblica grazie ai suoi sillogismi conclusivi, ai suoi distinguo impedienti, per non dire degli impedimenti dirimenti al culmine trionfale totale di un latinorum davvero impagabile… qual perfettissimo Azzeccagarbugli!

    E invece adesso eccotelo qua, patapunfete, Amato parla della Strage di Ustica, nessuna sottigliezza, zero sofismi, assenza totale di chiaroscuri da un trapassato imperfetto. Data la possibilità che un missile francese abbia abbattuto il DC9 italiano uccidendo le ottantuno persone a bordo, l’ex premier ha chiesto a Macron “di occuparsi della cosa”. Poi, tanto meglio se Parigi dimostrerà che ogni sospetto è infondato. Altrimenti Macron “deve chiedere scusa”, sostiene l’ex Dottor Sottile.

    Una domanda che più rettilinea e più chiara di così non si può. Ma perché ora?! Lui dice di avere reputato necessario parlare dopo la morte di Andrea Purgatori, il grande giornalista che ci ha lasciati il 19 luglio scorso dopo breve e fulminante malattia.

    Con Purgatori si era già occupato del Caso Ustica e forse i due intendevano ritornarci su, in modo mediato o immediato. Chissà.

    Comunque sia: la domanda di verità sta lì – “ancora una volta per la prima volta” come dice Nietzsche – senza possibilità di fraintendimento. Adesso – o Francia o USA – chi sa qualcosa risponda con veridicità, se ne ha il coraggio.

    Perché qualcuno, da qualche parte del mondo, in qualche cancelleria occidentale qualcosa dovrà pur sapere, come si può ben intuire dall’alzata di scudi seguita sui giornaloni un tanto a tassametro dopo le parole dell’ex premier italiano.

    Insomma, per una volta il “Dottor Sottile” si è espresso senza sottigliezze dottoresche, senza peli sulla lingua, senza distinguo legulei o garbuglioni sillogistici, e per una volta che ha detto pane al pane e vino al vino, ecco a voi il gran vespaio, l’insurrezione firmaiòla degli opinionisti l’uno alla rincorsa dell’altro nello svelamento dello svelamento dello svelamento… della nuda verità latitante.

    Non sta a questo giornaletto vetero-siloniano dare lezioni a nessuno e quindi il presente editoriale si conclude – come un amico poeta titolò le sue liriche: “senza niente”, sans rien, without nothing.

 

       

 

Da Santa Maria (California / USA)

riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

TRUMP – Eleggibilità

a rischio negli USA

 

Il 14esimo emendamento vs Mr. Donald Trump. “Donald Trump non può essere candidato a presidente… a meno che due terzi del Congresso non decidano di concedergli la grazia per la sua condotta il 6 gennaio”.

 

Le parole qui sopra riportate circa l’ineleggibilità dell’ex presidente USA intento a ricandidarsi riflettono la posizione espressa dal giurista Michael Stokes Paulsen in un articolo “a quattro mani”, scritto insieme al suo collega William Baude.

    I due giuristi collaborano con la “Federalist Society”, un think tank conservatore la cui filosofia si basa sull’interpretazione “originalista” e cioè fedelmente testuale della Costituzione americana.

    L’articolo di Paulsen e Baude, che sarà pubblicato dalla prestigiosa University of Pennsylvania Law Review, è frutto di un anno di ricerche. Il testo parla di “prove abbondanti” secondo le quali Trump risulterebbe coinvolto in un’insurrezione atta a ribaltare l’esito elettorale del 2020. Gli autori sostengono che l’ex presidente sia responsabile d’aver tentato di cambiare i risultati elettorali mediante frode e intimidazione. Inoltre, Trump avrebbe fatto pressione sul suo vicepresidente Mike Pence affinché questi, durante gli assalti al Campidoglio il 6 gennaio del 2021, violasse la Costituzione non adempiendo ai propri doveri presidenziali.

    Gli autori basano le loro conclusioni circa la conseguente ineleggibilità di Trump alla Casa Bianca citando la clausola 3 del 14esimo emendamento, adottato nel 1868 dopo la Guerra Civile. Tale clausola vieta a chi abbia giurato fedeltà alla Costituzione americana di mantenere o riottenere cariche politiche qualora abbia “partecipato a insurrezioni o si sia ribellato” contro il governo o abbia comunque “assistito o fornito ausilio ai nemici” degli Stati Uniti.

    Nelle loro analisi i due giuristi fanno uso dell’interpretazione linguisticamente originale ai tempi dell’approvazione dell’emendamento per definire che cosa sia una “insurrezione” o che cosa significhi “assistere” i nemici del Paese.

    Il fondatore della Federalist Society, Steven Calabresi ha tributato il suo plauso allo studio di Paulsen e Baude (“tour de force”) e anche Lawrence Tribe, emerito di giurisprudenza alla Harvard University (di tendenze liberal), nonché Michael Luttig, già membro della Corte di Appello Federale (di tendenze conservatrici), concordano ambedue sul punto: Trump sarebbe colpevole di insurrezione.

 

University of Pennsylvania Law Review

 

Altri analisti sostengono, tuttavia, che Trump debba essere sconfitto alle urne perché l’applicazione di una legge così vecchia risulterebbe controproducente.

    Il nodo della questione si chiarirà a mano a mano che i segretari dei cinquanta Stati si prepareranno a produrre le liste elettorali. Allora il loro dilemma consisterà nell’includere o escludere Trump dalle competizioni.

    La Costituzione prescrive precise regole per i candidati alla Presidenza, come l’età minima di 35 anni, la nascita dei candidati devono sul suolo statunitense, con conseguente esclusione di cittadini nati altrove e in seguito naturalizzati.

    In tempi recenti alcuni candidati sono stati sfidati con cause frivole che li avrebbero esclusi dalle liste elettorali. Barack Obama fu accusato (falsamente) di non essere nato in America. Ted Cruz, oggi senatore repubblicano del Texas, fu accusato alle presidenziali del 2016 perché nato in Canada, ma in veste di cittadino USA in quanto di madre statunitense, nata negli Usa. Questo per dire che le denunce tese a escludere candidati dalle liste elettorali non sono certo rare.

    Quanto alla candidabilità di Trump le contestazioni si profilano con notevole chiarezza. Numerosi sono i Segretari di Stato che hanno avviato consultazioni atte a determinarne l’esclusione o l’inclusione dell’ex inquilino della Casa Bianca dal novero dei candidati alle prossime elezioni.

    I Segretari di Stato di Nevada, Michigan, Arizona e New Hampshire stanno esaminando la situazione in vista delle presidenziali del 2024, ma anche per le primarie repubblicane. Il segretario di Stato del New Hampshire Bryant “Corky” Messner, che aveva beneficiato dell’endorsement di Trump nel 2020, è stato inondato di chiamate dai sostenitori dell’ex presidente. Un comunicato dell’ufficio di Messner ha informato che finora nessuna decisione è stata assunta sull’ammissibilità di Trump alle primarie repubblicane nello Stato.

    Le cause su questo “caso Trump” saranno inevitabili e verranno avviate non solo da individui, ma anche da gruppi che cercheranno di testare su ciò la Costituzione. Due di questi gruppi – il Citizens for Responsibility and Ethics in Washington (CREW) e il Free Speech for People (FSEP) – stanno mettendo in cantiere cause in diversi Stati onde mettere in forse l’eleggibilità di Trump alle primarie del Partito Repubblicano. Questi gruppi sono impegnati nella difesa di quella Costituzione che Trump, da Presidente (ma anche dopo), ha destabilizzato con parole e atti sopra le righe.

    Il Segretario di Stato dell’Arizona, il democratico Adrian Fontes, ha riassunto molto bene la situazione di ciò che avverrà: appare impossibile che un Segretario di Stato non venga denunciato, qualunque scelta compia, sia per l’inclusione come pure per l’esclusione di Trump dalle liste elettorali. E già si staglia all’orizzonte, dunque, una gran marea di citazioni, ricorsi, esposti, segnalazioni giudiziarie eccetera.

    Ma dove andranno a finire queste denunce? Tutte le strade portano alla Corte Suprema, la quale pende invero a destra, e quindi parrebbe favorevole a Trump, sulla carta. In realtà, però, la Corte Suprema non ha supportato l’ex presidente nei ricorsi sulle elezioni del 2020, benché tre dei giudici siano stati nominati proprio da Trump.

    Questi non si è ancora espresso sulla propria eleggibilità, ma ovviamente interpreterà i tentativi di escluderlo come parte della “persecuzione” subita, additando la “corruzione” del sistema. In realtà il sistema dei pesi e contrappesi ha retto alla sfida trumpista e così il tentativo di ribaltare il risultato uscito dalle urne nel 2020 non ha avuto successo.

    I quattro atti di imputazione penale che Trump sta affrontando – tre sul piano federale e uno nello Stato della Georgia – confermano che il sistema giudiziario, nonostante alcune imperfezioni, sta seguendo il suo corso. Un giudizio sull’eleggibilità verrà, dunque, dal sistema giudiziario. Ma anche nel caso in cui Trump dovesse risultasse eleggibile, la sua vittoria nel 2024 non appare affatto assicurata. I sondaggi al momento lo danno ultra favorito per la nomination repubblicana, ma quelli attinenti al confronto con Biden riflettono un testa a testa. E però mancano i sondaggi su quella decina di swing states, gli Stati “in bilico”, dove gli elettori indipendenti determineranno l’esito delle consultazioni. Sono questi gli elettori che Trump non riesce a raggiungere, ‘congelato’ nei suoi sforzi di mantenere unita la base del Partito Repubblicano. E sono questi elettori indipendenti degli “swing states” che lo hanno sconfitto nel 2020 e che, con ogni probabilità, gli negherebbero di nuovo un secondo mandato.

       

 

SPIGOLATURE

 

di quali colpe s’è mai

macchiata l’Ucraina?

 

di Renzo Balmelli

 

INVASORE. A volte si dimentica che le guerre vengono sovente scatenate in nome di fumosi pretesti come appunto sta accadendo ora in Ucraina. E che di solito finiscono malissimo. Ormai sono mesi e mesi che la popolazione di quel martoriato Paese, pagando un prezzo altissimo, si chiede perché una mattina si è trovata l’invasore in casa. Di quali colpe si è macchiata l’Ucraina per meritarsi una sorte simile? L’ultima tesi, per altro non nuova, è che l’annessione illegale della Crimea da parte di Mosca sia la chiave di tutto. Ciò che si può dire è che la penisola, da secoli considerata uno snodo di potere cruciale in quella parte del globo, rappresenti una meta strategica molto ambita. Chi la controlla non solo potrebbe muoversi da padrone degli equilibri regionali e internazionali in un perimetro tra il Mar Nero e il Mar d’Azov, ma diventerebbe pure l’ago della bilancia su una scacchiera incandescente in cui la geografia conta quanto gli eserciti. Appare quindi impensabile che il Cremlino – benché in evidente difficoltà e pure a corto di uomini, mezzi e risorse finanziarie – accetti di ritirarsi in buon ordine senza voler imporre le proprie condizioni al negoziato. La sua ondeggiante posizione su un’ampia regione del mondo che arriva fino all’Oceano indiano è un trampolino che Mosca non intende cedere per non pregiudicare i suoi commerci, le sue alleanze e le sue attività militari. A meno che… Già, a meno che le prossime elezioni nella Federazione Russa non confermino che il consenso per Putin sia davvero in calo, come sostengono i sondaggi. Nel qual caso, le carte in tavola potrebbero cambiare bruscamente, da un giorno all’altro, e portare il novello “Zar” a incassare una sconfitta bruciante in una guerra cominciata male e che non promette di finire meglio. Vedremo chi avrà l’ultima parola in questo conflitto moralmente inaccettabile.

 

VIRGOLA. Siccome la storia è fatta anche di curiosi aneddoti su eventi mai veramente accaduti, ma a loro modo esemplari, eccone uno. Tra i racconti oramai proverbiali, è spesso citata la sorte di un messaggio uscito letteralmente stravolto nel suo significato originale a causa di una virgola collocata al posto sbagliato. Ma come, obietterà qualcuno. A Kiev, a Odessa e in altre località non meno famose ferite dal fuoco nemico, è a dir poco irriverente evocare i danni di una “virgola”. Giusto.

 

 

Ma torniamo all’aneddoto di cui sopra e forse capiremo meglio. Accadde insomma che a un certo momento uno dei segni di interpunzione più utilizzati, ma anche più trascurati, decidesse di spostarsi nel bel mezzo di una frase con conseguenze spaventose. Nel testo inviato da un Presidente al suo generale al fronte si poteva infatti leggere nella versione originale: “Pace, impossibile lanciare missili”. Ma per una virgola che era dove non doveva assolutamente trovarsi, il destinatario lesse invece: “Pace impossibile, lanciare missili”. E scoppiò la guerra mondiale. È solo un aneddoto, d’accordo. Ma la coincidenza con quanto avviene nella realtà a causa di una virgola buttata a casaccio è piuttosto evidente. Un poco di grammatica meno approssimativa avrebbe forse risparmiato al popolo ucraino tante sofferenze inutili.

 

   

Da “LRD” riceviamo e

volentieri segnaliamo

 

Nomina prestigiosa

per Salvatore Rondello

 

Il nostro collaboratore Salvatore Rondello, compagno, poeta e scrittore, recentemente è stato nominato all’unanimità membro del comitato di sorveglianza di Federintermedia, organismo della Federazione Unitaria Italiana Scrittori. La Redazione tutta si congratula con Rondello.

 

Da La Rivoluzione Democratica

 

Ci associamo convintamente – La Red dell’ADL

         

            

da >>> TERZO GIORNALE *)

https://www.terzogiornale.it/

 

I Brics verso

l’allargamento

 

Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica prendono una decisione storica, potenzialmente in grado di estendere l’influenza e la capacità di sviluppo economico dei rispettivi Paesi. Ma con molte incognite… Senza dimenticare che l’esito della guerra avrà un grande peso per il futuro dei Brics.

 

di Vittorio Bonanni

 

Già nel 2009 e nel 2010 i Bric (Brasile, Russia, India e Cina), divenuti poi Brics con l’aggiunta del Sudafrica, avevano fatto la scelta di un mondo che non fosse più assoggettato allo strapotere economico e politico degli Stati Uniti. Dopo anni di stallo, e in particolare dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, questa necessità di “contare di più” è diventata un imperativo categorico. Un’ipotesi che, sia pure con tempi lunghi e indefinibili al momento, potrebbe, tra l’altro, diventare un deterrente per chi volesse risolvere i problemi a suon di guerre, che certo non aiutano lo sviluppo economico che ha bisogno, al contrario, di pace e stabilità.

    Così, nel quindicesimo vertice di questo organismo tenutosi dal 22 al 24 agosto a Johannesburg, in Sudafrica, si è deciso nel nome di una “de-occidentalizzazione del mondo” di allargare a undici i membri dell’organismo economico-politico aggiungendo, dal prossimo 24 gennaio, l’Egitto, gli Emirati arabi uniti, l’Iran, l’Arabia Saudita, l’Etiopia e l’Argentina, mentre Indonesia e Pakistan restano in stand by.

    I differenti sistemi politici che dividono questi Paesi non rappresentano un ostacolo alla realizzazione dell’impresa. Si va dai regimi democratici come il Brasile, l’India, l’Argentina e il Sudafrica ad altri – come gli Emirati, l’Arabia Saudita o l’Iran – che si macchiano di gravissime violazioni dei diritti umani. Ma questo non sembra un problema, perché il legame che unisce i membri dell’attuale Brics – che continuerà a chiamarsi così malgrado l’allargamento – è economico. Gli undici Paesi rappresentano il 46% della popolazione mondiale – contro il 10% dei G7 – e un terzo del Pil dell’intero pianeta.

    Questa decisione storica ridà vigore a un organismo che fu incapace di approfittare della crisi finanziaria internazionale tra il 2007 e il 2008. Come già sottolineato, la guerra tra Kiev e Mosca è diventata una grande opportunità per rilanciare il gruppo. “Con la guerra in Ucraina – commenta Filippo Fasulo dell’Osservatorio di geoeconomia dell’Ispi (Istituto studi politica internazionale) e docente a contratto presso l’Università Cattolica di Milano – il formato dei Brics ha ripreso una propria centralità per due ragioni. Innanzitutto, nei primi mesi dallo scoppio della guerra, Russia e Cina si sono trovate a subire la pressione occidentale per isolarle nel contesto del binomio autocrazie/democrazie, e hanno avuto l’esigenza di dimostrare di godere, invece, di un ampio supporto internazionale. In secondo luogo – aggiunge il ricercatore – molti Paesi in via di sviluppo hanno intravisto nello stravolgimento dell’equilibrio globale, dovuto alla guerra, una finestra di opportunità per far valere il proprio peso politico”.

    A bussare alla porta dei Brics (che ricordano il “Movimento dei non allineati”, scaturito dalla Conferenza di Bandung del 1955, che peraltro fallì nel tentativo di andare oltre la contrapposizione tra Stati Uniti e Unione sovietica) ci sono altri venti Paesi che, nel futuro, potrebbero arrivare a quaranta. Una sorta di “Occidente contro il resto del mondo” per usare una metafora calcistica.

    Il tratto che accomuna i sei Paesi entranti sono i buoni rapporti con la Cina: dunque il vertice è stato, in particolare, un successo per Pechino. Nel dicembre scorso, il presidente Xi Jinping si era recato in Arabia Saudita, dopo aver partecipato a un vertice con gli altri Paesi del Golfo. Un ruolo centrale Pechino lo ha giocato anche, nella scorsa primavera, riguardo al conflitto yemenita, dopo colloqui tra le delegazioni di Riad e dell’Oman, da un lato, e funzionari del movimento ribelle Huthi sostenuti dall’Iran, dall’altro, colloqui che hanno portato a un cessate il fuoco e a uno scambio di prigionieri.

    Scenario simile in Etiopia. Addis Abeba ha da tempo rapporti economici consolidati con il gigante asiatico. Nel 2022, Pechino si è sorprendentemente adoperata per arrivare a un accordo di pace tra il governo centrale e i separatisti tigrini, oltre a cancellare un debito di ben trenta milioni di yuan (4,5 milioni di dollari) al Paese africano. Certo, la Cina non è un benefattore, è evidente il tornaconto legato alla costante penetrazione nell’economia etiopica, così come africana tout court. Una politica, tuttavia, che si distingue nettamente da quella delle potenze occidentali, che hanno spesso strozzato le fragili economie dei Paesi più poveri, impossibilitati a pagare i debiti maturati con il Fondo monetario internazionale.

    Tra questi, figura l’Argentina, la cui endemica crisi economica è in parte legata alla storica dipendenza dal dollaro. Buenos Aires è già membro della Belt and Road Initiative, ovvero la “Via della seta” – l’iniziativa strategica cinese di carattere economico finalizzata a migliorare e a facilitare i rapporti commerciali con i Paesi euro-asiatici, e soprattutto un percorso inserito in un più ampio contesto di globalizzazione, in competizione/conflitto con gli Stati Uniti. Del resto, i problemi che gravano sul grande Paese sudamericano sono enormi: da un lato, a fronte di una crescita economica e del calo della disoccupazione, si registrano un’iperinflazione a tre cifre e un aumento impressionante della povertà, fattori che hanno vanificato i dati positivi; dall’altro, il processo elettorale che, il prossimo 22 ottobre, culminerà nella scelta del nuovo Presidente della Repubblica. Le recenti primarie hanno visto in pole position, a sorpresa, l’ultraliberista Javier Milei di “Libertà avanza” – un esaltato che predica la “dollarizzazione” dell’economia argentina e la privatizzazione di tutti i servizi sociali, in una direzione diametralmente opposta alla politica del Brics. Insomma, sul cielo sopra Buenos Aires l’incognita regna sovrana.

    Più tranquilla invece la posizione dell’Egitto. Il Cairo – già membro insieme agli Emirati, al Bangladesh e all’Uruguay, della Nuova Banca di sviluppo, un’istituzione finanziaria legata ai Brics – ha da tempo buoni rapporti sia con la Cina sia con l’India. “Proprio il dualismo tra i due subcontinenti asiatici – precisa Fasulo – rappresenta uno dei fattori di maggiore divisione all’interno del gruppo. Inoltre, e di conseguenza, i cinque Paesi fondatori hanno posizioni diverse sul rapporto con i paesi sviluppati: un più forte accento sulla contrapposizione anti-occidentale per Cina e Russia; una semplice ricerca di alternative per tutti gli altri. Possibile terreno di verifica dell’effettiva consistenza politica di questo raggruppamento – precisa il docente – sarà il prossimo G20, che si terrà in India il 9-10 settembre. Degli undici membri Brics ben sette sono anche nel G20. Compresa l’attuale, ci saranno tre presidenze di fila di membri Brics (dopo l’Arabia Saudita, il Brasile nel 2024, e il Sudafrica nel 2025): questi potranno spingere un’agenda a favore del ‘Sud globale’, che prevede una partnership più multidimensionale che esclusiva, e dunque più dialogante con l’Occidente”.

    Della competizione tra India e Cina parla anche l’economista, ex direttore del “Sole 24 Ore”, Mario Deaglio sulla “Stampa”, che vede New Delhi in una posizione più favorevole nella corsa alla leadership dei Brics. “Tra i grandi Paesi – sottolinea Deaglio – l’unico a mettere in risalto risultati nettamente positivi sembra essere l’India il cui Pil potrebbe crescere del 7% nel 2023, il valore di gran lunga più alto di tutte le economie che contano”. Il tasso di crescita dell’economia cinese è invece valutato intorno al 3,2%, apparentemente a causa della crisi immobiliare; ma non pochi si interrogano se le cose stiano così oppure si tratti della fine di un modello. A conferma, invece, del fatto che l’economia indiana gode di buona salute va ricordato il successo, del 23 agosto scorso, della missione Chandrayaan-3 che ha permesso all’India di raggiungere il suolo lunare, mentre pochi giorni prima la missione russa Luna-25 si era conclusa miseramente con lo schianto della sonda. “Il Sud del mondo – aggiunge Deaglio – pensa di dotarsi di una moneta che faccia concorrenza al dollaro (della quale il principale sponsor è il Brasile di Lula, ndr) nel commercio internazionale e forse potrebbe essere l’India, e non la Cina, il Paese-guida”.

    Quanto sta succedendo non può certo lasciare indifferenti i tanti Paesi del Sud del mondo che non vedono l’ora di sganciarsi dall’egemonia occidentale. Pierre Haski – tra i fondatori del sito d’informazione “Rue89”, responsabile di una rubrica quotidiana di politica internazionale su Radio France –, in un articolo pubblicato da “Internazionale”, sostiene che “la prima cosa da fare è ascoltare le legittime richieste di uguaglianza che arrivano dai Paesi del Sud”. A giugno, in occasione del vertice sul finanziamento per lo sviluppo, organizzato a Parigi, il presidente del Kenya, William Ruto, tutto fuorché un avversario dell’Occidente, ha avuto uno scambio di vedute acceso con il presidente francese Emmanuel Macron. Per il leader africano “le istituzioni internazionali non possono continuare a darci ordini. Devono sedersi al tavolo con noi per prendere delle decisioni”. (continua sul sito)

 

*) Terzo Giornale – La Fondazione per la critica sociale e un gruppo di amici giornalisti hanno aperto questo sito con aggiornamenti quotidiani (dal lunedì al venerdì) per fornire non un “primo” giornale su cui leggere le notizie, non un “secondo”, come si usa definire un organo di commenti e approfondimenti, ma un giornale “terzo” che intende offrire un orientamento improntato a una rigorosa selezione dei temi e degli argomenti, già “tagliata” in partenza nel senso di un socialismo ecologista. >>> vai al sito

       

   

L’Avvenire dei lavoratori

 

Visita il BLOG dell’ADL curato da Tiziana Stoto (KOLORATO)

     

     

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.collettiva.it

 

La tragica conta

di un’estate da dimenticare

 

Quasi 200 vittime del lavoro in due mesi. Ma le parole di circostanza si trasformano in ipocrisia se non si decide di investire per invertire la logica del profitto sopra ogni cosa.

 

di Roberta Lisi

 

“Morire sul lavoro è un oltraggio alla convivenza civile”. Sono le parole usate dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a commento della morte dei cinque operai travolti da un treno a Brandizzo mentre erano al lavoro su un binario ferroviario. Parlando a Torre Pellice in una iniziativa in ricordo di Altiero Spinelli, il Capo dello Stato ha sottolineato “quanto sia importante la tutela del lavoro e della sua sicurezza”. Michael Zanera, 34 anni, di Vercelli; Giuseppe Sorvillo, 43 anni, di Brandizzo; Saverio Giuseppe Lombardo, 52 anni, di Vercelli; Giuseppe Aversa, 49 anni, di Chivasso; Kevin Laganà, 22 anni di Vercelli sono le cinque vittime a Brandizzo la notte tra il 30 e 31 agosto: erano parte di una squadra di sette operai. I due superstiti sono ricoverati in ospedale. Erano dipendenti di una ditta, la Sigifer, che ha vinto l’appalto per la manutenzione della rete ferroviaria. Lavoratori in appalto, dunque.

 

Le reazioni della Cgil – Cosa sia successo lo accerteranno le inchieste in corso, certo è che durante gli interventi sui binari i treni non dovrebbero circolare. “Tanta è la rabbia. Da tempo denunciamo il grave tema, mai risolto, delle procedure di sicurezza relative alle fasi di manutenzione della rete ferroviaria”.  Lo ha affermato Maurizio Landini, segretario generale della Cgil. “Troppe tragedie sul lavoro sono determinate dalla volontà di abbassare i sistemi di sicurezza per accelerare i tempi e risparmiare sul lavoro. Negli ultimi anni – ha aggiunto il leader della Confederazione di Corso d’Italia – decine di lavoratori hanno già perso la vita in simili eventi. È il momento di dire basta: basta morti sul lavoro, è necessario e non più rinviabile un atto di responsabilità del Governo e delle Istituzioni per cancellare le morti sul lavoro e gli infortuni”. Immediata la convocazione di scioperi dei lavoratori di Rft e diverse le reazioni dei sindacati.

    Dalla piazza della stazione si è snodato lunedì il corteo organizzato da Cgil, Cisl e Uil in memoria dei cinque operai morti nella tragedia di Brandizzo, alla presenza del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, oltre a quella dei dirigenti territoriali dei sindacati. Il corteo ha attraversato la città fino alla Prefettura. Sempre lunedì è stato proclamato uno sciopero di otto ore in provincia di Vercelli e a livello regionale nelle categorie edili e dei trasporti. 

 

Un’estate di sangue – La banca dati dell’Inail è ferma al 30 giugno. Eppure i mesi di luglio e agosto, nonostante il rallentamento del lavoro per le ferie, sono stati scanditi da incidenti spesso mortali. Secondo l’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro e Ambiente Vega Engineering nei primi 7 mesi del 2023 i morti sul lavoro sono 559: rispetto allo stesso periodo del 2022 se ne conterebbero in teoria 10 in meno, ma purtroppo non è così: ad essere diminuiti sono i decessi in itinere, quelli sul luogo di lavoro sono aumentati di ben 18 casi pari a un incremento del 4,4%. Non solo: siccome al 30 giugno le morti denunciate all’Inail erano 450 vuol dire che nel solo mese di luglio se ne registrano 109. A queste, poi, vanno aggiunte le vittime degli incidenti di agosto.

    Se in numeri assoluti le Regioni con il maggior numero di morti sul lavoro sono la Lombardia (74), il Veneto (40), il Lazio (36) e la Campania (33), diversa è la terribile classifica se si osserva incidenza degli incidenti fatali rapportato al numero di occupati. La maglia nera spetta all’Umbria con il 36,9%, seguono Abruzzo (33,1%), Basilicata (26,5%) e Calabria (24,6%). Come è tristemente noto i settori più “pericolosi” sono la logistica e le costruzioni. Sarà un caso che si tratti proprio di quelli in cui la pratica del subappalto è assai diffusa?

 

Gli ultimi due giorni del mese – Oltre ai cinque operai edili vittime della carneficina alla stazione di Brandizzo, tra il 30 e il 31 agosto ci sono stati altri, troppi, morti. Antonio Di Lollo, aveva 46 anni e faceva l’imbianchino, il 30 agosto ha urtato accidentalmente i cavi dell’alta tensione ed è rimasto fulminato in un’azienda di Castel di Sangro. Nello stesso giorno Saiyal Sujan, bengalese di 35 anni, è morto dopo quattro giorni di agonia al centro grandi ustionati dell’Ospedale Sant’Eugenio di Roma dove era stato trasportato dopo essere rimasto vittima di un’esplosione a bordo di un peschereccio a Senigallia. Il 31, infine, non ce l’ha fatta Giancarlo Amicabile, stava lavorando sul tetto di un capannone a Ponte San Marco quando è stato investito da una fiammata. Le ustioni erano talmente gravi che in meno di 24 ore ne hanno causato la morte. Aveva 48 anni.

    Agosto maledetto – L’elenco completo degli incidenti mortali di questo mese è difficile da comporre, in attesa dei dati ufficiali possiamo – tra gli altri – ricordare Stefano Arnoldo di 39 anni morto in un cantiere edile il 29. Il 28, invece, è rimasto schiacciato dal suo furgone mentre effettuava una consegna Leonardo Ciolini: viveva a Milano è lascia un figlio piccolo. Franco Mazzelli di anni ne aveva solo 18 e voleva diventare direttore di sala nei ristoranti. Nel frattempo lavorava in edilizia nelle Marche e ha perso la vita cadendo da un capannone.

    E ancora, Renzo Sciametta, Angelo Devito, Sorin Frentoaei, Maurizio Giordano, Dabo Mahamadou, Vincenzo Di Bisceglie, Antonio Pellegrino, Domenico Del Monaco. Giovanni e Filippo Colavito, asfissiati in una serbatorio, Sami Macukulli, Pasquale Cosenza, Vincenzo Reale, Tiziano Pasquali, Michele Pepe, Emanuele Pisano, Marco Romeo, Vito Farina, Marco Campania.

    E poi, lo scorso 17 agosto, due finanzieri sono precipitati in Friuli Venezia Giulia mentre risalivano un costone delle Alpi Giulie. Giulio Alberto Pacchione aveva 28 anni ed era nato a Reggio Emilia, era invece di Pordenone Lorenzo Paroni e di anni ne aveva 30. (continua la lettura sul sito)

 

Alessandro Genovesi, segretario generale del-

la Fillea Cgil: “Sono anni che registriamo e de-

nunciamo situazioni in cui solo il caso e mol-

ta fortuna hanno evitato altre stragi su strade

e linee ferroviarie come quella di Brandizzo”.

       

            

L’Avvenire dei lavoratori – Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

 

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Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

Il ritorno della

buona politica

 

Siamo probabilmente al punto più basso della nostra storia democratica. E ciò, va subito precisato, non può essere ascritto unicamente all’attuale maggioranza di governo…

 

di Livio Valvano 

 

Dal 22 al 24 settembre ne parleremo alla Festa dell’Avanti! a Bologna. Non ci deve mai abbandonare la speranza di rianimare la politica, anzi la buona politica, che oggi non si vede, perchè di politici-replicanti, negli ultimi 30 anni, sono piene le cronache dei giornali.

    Oggi viviamo una fase di debolezza cronica, probabilmente il punto più basso della storia democratica italiana, che, va subito precisato, non può essere ascritto unicamente all’attuale maggioranza di governo.

    Però non possiamo far finta di nulla quando vediamo che la gestione del partito politico maggiore di questa legislatura, il partito che esprime il Presidente del Consiglio, affida l’incarico di maggior peso alla sorella dello stesso Presidente del Consiglio. Un partito così forte, che sotto la guida della sua leader storica ha raggiunto il suo punto di maggiore forza alle ultime elezioni politiche (26%), manifesta il suo punto massimo di debolezza con la reggenza affidata ad Arianna Meloni, la sorella di Giorgia.

    Il modo e la leggerezza con cui la notizia è stata trattata sui media deve farci riflettere; ma ancor di più deve farci riflettere la facilità con con cui è stato ingoiato un rospo così grosso dai dirigenti di Fratelli d’Italia.

    Mettendo da parte il singolarissimo fenomeno di Forza Italia, il cui debito di 90 milioni nei confronti degli eredi di Silvio Berlusconi allontana il concetto di “Partito”, nel significato che siamo abituati ad utilizzare, anche la Lega di Salvini farebbe enorme fatica a digerire l’affidamento di incarichi di vertice ai parenti del suo leader.

    Questo non esonera da critiche anche il centro-sinistra che, con una certa deprecabile nonchalance ha eletto (cioè nominato) in parlamento coniugi e/o conviventi, come mai si era visto prima. Ma la guida del partito equivale alla capacità della realtà di superare l’immaginazione.

    Proteste dei dirigenti politici e indignazione dell’opinione pubblica?

    Non se ne vedono e questo è il peggiore dei sintomi di uno stato di assuefazione generale che, però, non deve essere scambiato per approvazione.

    Una dinamica al ribasso generata da una consapevole deresponsabilizzazione.

    Lo vediamo nell’attività del Parlamento, dove il ruolo di Deputati e Senatori della Repubblica è sempre meno influente.

    Si dirà che la politica e le istituzioni sono lo specchio di una società.

    Certo, è vero, ma non si possono ignorare gli effetti prodotti dal consolidamento di una legge elettorale che da 17 anni ha cancellato la relazione tra elettori ed eletti, a questo punto sgravati da ogni responsabilità.

    Se il leader di un partito decide chi saranno i capilista nelle competizioni elettorali senza preferenze, ovviamente sempre all’ultimo momento per mettere tutti di fronte al fatto compiuto, è chiaro che gli eletti-nominati in Parlamento saranno devoti unicamente al capo di partito che li ha graziati.

    È cosi si spiegano tanti meccanismi, a partire dal voto sui decreti legge del Governo che trovano generalmente la strada spianata in Parlamento e dalla concentrazione della funzione legislativa nelle mani del Governo.

    Cosa mai potrebbero dire i singoli dirigenti di Fratelli d’Italia alla loro leader, nel momento in cui affida il partito alla sorella Arianna, se il loro destino, baciato dalla fortuna della nomina parlamentare, dipende solo ed esclusivamente dalla loro leader?

    Nulla ovviamente.

    Lo sanno bene anche i dirigenti e i parlamentari del PD, tanto per fare un esempio, che nell’era della segreteria Renzi hanno assecondato il capo del Partito in tutto e per tutto, pur non condividendo molti provvedimenti di quella fase storica.

    Vogliamo parlare del Movimento Cinque Stelle o della Lega della precedente legislatura e del ruolo – quasi del tutto irrilevante – dei loro Parlamentari?

    Grazie al vincolo del doppio mandato, i cinque stelle ci hanno mostrato come le “ribellioni e le defezioni” in Parlamento, guarda caso, sono quasi tutte coincise con coloro che non sarebbero stati più candidati alle successive elezioni.

    È così diventa coerente e comprensibile la convergenza (apolitica) di Meloni e Renzi sulla dannosa ipotesi del premierato, che consentirebbe di scartare completamente e definitivamente il ruolo di ciò che resta della politica in Parlamento.

    Ma attenzione che il fuoco cova sotto la cenere, il fuoco spento della politica prima o poi si riaccenderà, per l’azione di una scintilla combinata a un alito di ossigeno in grado di riportare calore sulla scena pubblica.

    Quell’alito di ossigeno, di antiche origini, prima o poi incrocerà la scintilla giusta e riporterà sulla scena il fuoco e il calore della buona politica.

           

   

L’Avvenire dei lavoratori – Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

 

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Da Anbamed, notizie dal sud-est del Mediterraneo,

riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

contro gli stereotipi

Ritratto delle donne musulmane

 

Un testo in cui si raccontano, con semplicità, aspetti della vita delle donne musulmane. Una realtà complessa, diversificata e globalizzata che affonda le sue radici e si confronta con la tradizione storica e religiosa dei primi secoli dell’islam. Un viaggio tra passato e presente, stereotipi e pregiudizi, modernità e cambiamenti, la lunga battaglia per il riconoscimento dei diritti e del ruolo nella società senza dimenticare aspetti importanti nella vita delle donne, la famiglia, il lavoro e lo spazio nella sfera pubblica. “Donne musulmane: un ritratto contro stereotipi e luoghi comuni” è un incontro intenso, narrato con passione e rispetto, con un pizzico di vis polemica e un tocco di leggerezza tra stili, veli e moda islamica.

 

 

Quando si parla delle donne nel mondo islamico si rischia molte volte di cadere nei luoghi comuni stereotipati con uno sguardo di superiorità culturale. Non sto pensando agli scritti propagandistici degli xenofobi o peggio ancora degli islamofobi, ma anche di molte e molti intellettuali solidali con i diritti d’eguaglianza tra i generi e al riscatto delle popolazioni del sud del mondo dal colonialismo.

    È un vero piacere invece leggere questo libro di Giuliana Cacciapuoti, “Donne musulmane: un ritratto contro stereotipi e luoghi comuni”. 124 pagine dense di informazioni e di note di rimando ad altri approfondimenti. “Un libro – scrive l’autrice nell’introduzione – rivolto ad un pubblico interessato ma non addetto ai lavori, senza addentrarsi in tecnicismi e speculazioni accademiche. L’intento divulgativo è sostenuto da un apparato di note attraverso cui si forniscono informazioni e si indicano testi e articoli che consentono l’approfondimento”.

    Una scelta azzeccata anche con l’aggiunta di un apparato iconico graficamente accattivante, come per esempio la scelta della foto di copertina (Una calligrafia artistica araba della parola ‘donne’) o il mosaico di immagini di donne arabe e musulmane di diversi paesi, tradizioni, culture, età, professioni e ceti sociali. Dalle giovai attiviste con le guance colorate alla scrittrice intellettuale dai capelli bianchi. In una sola foto ha potuto egregiamente rappresentare la complessità del mondo islamico, del quale intende svelare le caratteristiche fondamentali, senza piaggeria e senza ostracismo.

    Interessante l’approccio di come affrontare i punti di vista sulla questione della società patriarcale, tra il “noi” ed il “loro”, capovolgendo i parametri, perché i contesti e le condizioni sono diversi: “Scegliamo – scrive l’autrice – un angolo di osservazione per guardare con occhi diversi, per scoprire una realtà né migliore né peggiore, differente”.

    Il punto di partenza è l’affermazione che il principio dell’eguaglianza è sancito nel Corano, ma le interpretazioni della umana Sharia e la prevalenza delle tradizioni tribali preislamiche e dei luoghi di espansione dell’Islam sono all’origine dell’attuale condizione di sudditanza della donna nelle società musulmane.

    La professora Giuliana Cacciapuoti si avventura in una cavalcata storica sulle pratiche e sul ruolo attivo delle prime donne musulmane e sulla successiva affermazione di un pensiero patriarcale e oppressivo nei confronti delle donne, relegate nelle case e nei ruoli riduttivi di mogli, madri e figlie.

    Le esperienze di emancipazione femminile nei paesi musulmani sono avvenute oltre un secolo fa e protagoniste sono state donne musulmane partite dalla necessità dell’istruzione e del lavoro, per liberarsi dal peso della dominazione maschile, impegnandosi in prima fila nella lotta anticoloniale. Cacciapuoti nota anche che queste leader femminili sono partite proprio da un’interpretazione genuina del testo coranico per rivendicare la parità di genere. E si sofferma sul dibattito tra le studiose “femministe musulmane” e quelle dei paesi capitalistici ex colonizzatori, sottolineando la venatura di presupposta superiorità culturale di queste ultime, atteggiamento che vanifica gli intenti dichiarati di presunta “solidarietà femminile”. Un parere – a nostro giudizio – vero a metà; è generalizzante e ingeneroso contro l’impegno di molte militanti che si sono battute a fianco delle donne arabe e musulmane con una serietà e caparbietà meritevoli di elogi e riconoscimenti.

    Più pacata e approfondita, invece, ci sembra la trattazione della questione del velo, all’ordine del giorno in queste tempestose lotte delle donne iraniane e afghane. Il libro espone anche in modo non banale la questione della moda e della collegata pubblicità, che case produttrici mondiali hanno cavalcato per adeguarsi alle richieste di “mercato” nei paesi musulmani ricchi.

    Un libro, insomma, ricco di spunti di riflessione e di dibattito su temi che non sono soltanto di svago, ma molte volte – per le donne impegnate in quei paesi – sono questioni di vita e di morte. Il testo è scaricabile gratuitamente dal sito web www.giulianacacciapuoti.it

 

Giuliana Cacciapuoti è laureata in lingue e civiltà orientali sezione vicino e medio oriente e in lingue e letterature straniere dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Si occupa di lingua e cultura araba/musulmana da oltre quarant’anni, proponendo uno sguardo non convenzionale sul mondo arabo/musulmano nel contesto della società globale. La collaborazione partecipata con realtà accademiche e della società civile nel Nordafrica e del Vicino Oriente insieme alla collaborazione stretta con associazioni di donne musulmane anche operanti in Occidente alimenta una conoscenza dei loro desiderata senza stereotipi o steccati culturali. Nel 2014 Cacciapuoti ha fondato un suo Connecting Knowledge (https://www.giulianacacciapuoti.it) volto a unire idee e visioni, anche opposte, a far dialogare e cooperare personalità differenti, anche in modi inaspettati, a valorizzare conoscenze, competenze ed esperienze diverse. Insegna nei corsi di alta formazione e specializzazione “Comunicare con l’Islam”. Autrice di articoli e contributi scientifici pubblicati su varie riviste accademiche e fruibili sul suo sito. Nel solco di questo impegno Giuliana Cacciapuoti ha pubblicato nel 2022 Donne musulmane: un ritratto contro stereotipi e luoghi comuni.

  

                   

Su Radio Radicale

https://www.radioradicale.it/

 

Amato sulla strage di Ustica

 

Conferenza Stampa con l’ex Presidente del Consiglio, Giuliano

Amato, per approfondire le sue dichiarazioni sulla strage di Ustica.

 

 

Vai al sito e vedi  la registrazione audio-video della conferenza stampa dal titolo “Conferenza stampa di Giuliano Amato sulla strage di Ustica” che si è tenuta a Roma martedì 5 settembre 2023 alle 18:15.

       

      

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze

http://www.rosselli.org/

 

Preziosa donazione

  

1° settembre ore 10, Wiley Jackson ha portato alla nostra Biblioteca una preziosa donazione dagli Stati Uniti. Si tratta della collezione de “Il Politecnico” di Elio Vittorini dal 1945 al 1947, una rivista che rappresenta una pietra miliare nella cultura italiana.

    La collezione apparteneva al Prof. Arcangelo William Salomone, un importante storico americano allievo di Gaetano Salvemini.

    La figlia Ilia Salomone Smith l’ha fatta pervenire alla Fondazione Circolo Rosselli perché fosse custodita nella sua biblioteca.

    Ringraziamo Ilia Salomone Smith per aver pensato a noi e Wiley Jackson per aver trasportato il volume dagli USA a Firenze.

    La rivista sarà ora catalogata e messa a disposizione degli utenti della biblioteca secondo il nostro regolamento.

       

 

LETTERA

  

Ancora credete a destra e sinistra.

Sveglia, babbei!

 

Fausto C., Roma

 

Non da oggi, ma babbeo è bello.

La red dell’ADL

       

                        

Errata corrige

 

Sanchez presidente dell’Internazionale Socialista – Nel redigere il testo invia­to­ci da Felice Besostri e Franco Astengo, Ieri in Spagna, domani in Europa, ap­par­so sull’ADL del 31 agosto scorso, ci è capitato uno svarione re­da­zio­nale: il lea­der socialista spagnolo Sancez è stato da noi appellato come “Pre­si­dente del PSE” mentre egli è “Presidente dell’Internazio­na­le Socialista”. Ce ne scusiamo con gli autori, le lettrici e i lettori. – La Red dell’ADL

 

 

Discorso di Pedro Sancez al congresso dell’IS

 

      

  

L’Avvenire dei lavoratori

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

 

L’Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigra­zione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall’Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all’estero, L’ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon­diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l’Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L’ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l’integrazione dei mi­gran­ti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all’eclissi della sinistra italiana, diamo il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appar­tiene a tutti.

 

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