L’Avvenire dei lavoratori 5 ottobre 2023 – e-Settimanale della più antica testata della sinistra italiana Organo della F.S.I.S., Centro socialista italiano all’estero, fondato nel 1894 / Direttore: Andrea Ermano Redazione e amministrazione presso la Società Cooperativa Italiana – Casella 8222 – CH 8036 Zurigo settimanalmente trasmesso a 22mila utenti in italia, europa e nel mondo
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EDITORIALE
invecchiamento
Chiunque, in tivù, può constatare la misura in cui noi, genere umano, produciamo più notizie di quante non ne riusciamo a consumare. Per esempio…
di Andrea Ermano
Martedì sera – mentre a Treviso, “Marca gioiosa”, si svolgeva una grande “Festa del Tiramisù”, – nella vicina Mestre, a pochi chilometri da quella manifestazione dolciaria, lungo una strada sopraelevata si è consumato il disastro che tutti sappiamo. Un autobus a trazione elettrica, pieno di turisti, ha strisciato e poi sfondato il guard-rail del viadotto sulla ferrovia, precipitando per quindici metri nel vuoto. Al tremendo impatto con il suolo sottostante ventuno persone sono morte, tra cui una bambina di un anno e una giovane sposa incinta. Di fronte a tanta tragedia, il ministro dei trasporti, ostile alla transizione ecologica, ha subito colto la palla al balzo per lanciare l’idea (balzana) di vietare gli autobus elettrici. Che dire? Lasciamo di ciò. In altri tempi, in tempi più devoti, sarebbe sorta spontanea soprattutto una domanda sulla “Giustizia divina”, non solo in rapporto alla guida del Paese messa nelle mani di certa gente. Ma anche in rapporto alla cosiddetta “teodicea”. Perché, al fondo della questione, una volta ci si domandava: Come può un Essere buono e onnipotente consentire che accadano le non poche e non piccole stragi di innocenti da cui è funestata l’Italia e l’intera vicenda umana? In altre parole: Da dove viene il “male”?! I grandi teologi cristiani del passato escludevano categoricamente che Dio avesse inteso introdurre il “male” nella sua Creazione. Ma allora da dove viene? Ecco il grande quesito della “teodicea”, che i bravi insegnanti di religione ti spiegavano facendoti presente come, secondo Sant’Agostino, anche la Creazione divina è soggetta a “corruzione”. La quale “corruzione” non deve intendersi adesso nel senso grossolano dei Lavori Pubblici in Italia, dove pare siano stati stanziati più denari di quanto non si direbbe, giudicando dalle realizzazioni (e oramai non si può nemmeno più buttare tutta la colpa addosso ai “craxiani”). Nel contesto del nostro ragionamento, con la parola “corruzione”, Sant’Agostino intendeva altro, cioè una specie di “deterioramento” che avviene al Creato inteso complessivamente. A ben pensarci, questo “deterioramento” somiglia parecchio al principio dell’entropia – cioè del “disordine crescente” – di cui parlano i fisici moderni; secondo i quali l’universo tende naturalmente e implacabilmente, insieme a tutte le cose in esso comprese, a decadere verso il disordine e la dissoluzione. Né occorre qui immaginarsi subito grandi catastrofi. Basta pensare a un qualsiasi fiocco di neve che, sciogliendosi, perde quella sua mirabile struttura cristallina.
Sicché dunque, ogni cosa, inclusi noi stessi, inclusi i fiocchi di neve, è soggetta a invecchiamento. E si pensa che l’invecchiamento avvenga man mano che il tempo passa. Però, forse, è vero anche il contrario, perché il tempo non passa mai veramente, e neanche l’invecchiamento, mentre sono tutte le cose, inclusi noi stessi, che, come dire, passando e invecchiando, prima si gonfiano e poi si sgonfiano. Così, piccole donne italiane crescono. E divengono mamme cristiane italiane. E nonne le loro mamme. Mentre le nonne più longeve si tramutano a loro volta in bis- e trisnonne italiane. Ma questo vale anche per i loro figli, nipoti, bis- o trisnipoti. Che una volta erano bambini e giocavano con i soldatini. Poi furono arditi e partiti come soldati “e non sono ancora tornati” (canta il poeta). Altri, però, tornarono e portarono un bastimento carico di manganelli, impugnando i quali si riarmarono e ripartirono per andare ad ammazzare cinquantamila Abissini, rei di non chiamarsi come Mussolini. Poi si fecero ammazzare in 330 mila, tra morti e dispersi nelle sole Forze Armate, senza contare le vittime civili: «Mi serve un pugno di morti per sedermi al tavolo delle trattative», aveva previsto il duce. Ed eccoci qua, insomma, che in qualche modo o maniera, se non moriamo giovani, invecchiamo tutti. Tanto i ragazzi bravi quanto quelli meno bravi. E questa nozione dell’invecchiamento è stata verificata anche da chi tornò da lunghe ferie trascorse chissà dove tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945. Eccetto quelli che non tornarono e non invecchiarono. Ma, avverto ora sulla punta della lingua il pizzicorino di una espressione: “campo di concentramento”. “Campo di concentramento”, parola evergreen, che indica una serie di altri hotel, oggi di nuovo tutti completamente prenotati da ragazzi entusiasti, che riempiono le camere e le camerate, fino all’ultimo posto. Perché, incredibile a dirsi, anche in questo anno mediterraneo 2023 se ne contano a migliaia di migliaia in fila da ogni parte del mondo per visitare… i nostri campi di concentramento. Né si tratta di ragazzi poco intelligenti. Molti di loro hanno studiato, sono ingegneri come il fratello di mio padre che ai suoi tempi andò a faticare due anni gratis in Germania. Così loro oggi. Non sognano d’altro che di poter lavorare, senz’alcuna assicurazione, nei nostri cantieri, nelle nostre piantagioni, o dove capita. E, insomma, se non l’inghiottono i fortunali, adesso fanno i manovali:
Com’è bello lavorare sulla tangenziale con le mani rosse che ti fanno male e i ricordi che camminano a duciento all’ora e ti entrano dentro senza far rumore. (Pino Daniele, Il Mare)
Ma bando alle rime in questa nostra società prosaica, in cui ci vediamo costretti a sopportare le staffilate di un’epoca vigliacca, i torti di oppressori idioti, gli insulti di gradassi incapaci, la sofferenza lancinante dell’amor di patria quando viene umiliato e offeso dalle autorità competenti ma indecenti, con qualche quintale di diritto negato, di torti e oltraggi e superbie e indugi di legge e insolvenze morali e scherno e indegnità. Questo è Shakespeare, sostanzialmente, non il “nuovo corso” né il “nuovo che avanza”, e nemmeno l’ottuso furore padano del vecchio Bossi all’epoca in cui attaccava a parolacce concorrenti politici di tanto superiori a lui per buttare giù l’intero sistema in un accesso di furore collettivo. Ma chi se ne ricorda più? Nell’universo resta un solo “vaffa” che resiste al tempo. È un “vaffa” che il ministro della viabilità padana non può dimenticare per l’onta subita nel lontano 16 agosto 2018, un giovedì come oggi, da quella stessa giudice Iolanda Apostolico che ha disposto la messa in libertà di alcuni ragazzi dai campi di concentramento italiani per migranti clandestini extracomunitari. E ha osato applicare le leggi europee disapplicando i decreti del governo. Orrore! «Le notizie sull’orientamento politico del giudice che non ha convalidato il fermo degli immigrati sono gravi ma non sorprendenti», ha commentato il vicepremier Salvini. Il quale si riferiva a un like apparso sulla bacheca Facebook della magistrata con tanto di petizione richiedente “una mozione di sfiducia” nei confronti proprio di quello stesso ministro. Orrore!
In conclusione, tutto scorre, invecchia, passa e va. L’unica cosa che resta immutabile in questo universo entropico è – come accennato – il like che Iolanda Apostolico ha aggiunto alcuni anni fa sotto un vecchio post del marito, Massimo Mingrino. Perché anche in Padania uno sgarro è uno sgarro. E giudicate voi: «Festa di piazza, si balla, si salta, tutti insieme. Allegria, energia, gioia… Fanculo Salvini». Ma, giunti sin qui, noi ovviamente ci dissociamo. O forse anche no.
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SPIGOLATURE
in che modo continuare a sostenere Zelensky?
di Renzo Balmelli
CREPE. A volte si fa fatica a riordinare le idee su quanto accade in Ucraina dopo la brutale invasione russa. In tal senso lo sfinimento fisico e morale che si avverte nell’opinione pubblica dal convivere con una contesa che sempre più assomiglia a una logorante guerra d’usura, non aiuta certo a vederci più chiaro. Dopo quasi due anni, il conflitto sembra entrato ormai in una fase di stallo che lo rende ancora più pericoloso e aperto a ogni esito. Insomma, di che far tremare le vene ai polsi. E non è finita. Al quadro già di per sé stracarico di incognite, si aggiungono ora le preoccupazioni su come continuare a sostenere Zelensky senza svenarsi. Al recente Consiglio affari esteri dell’Ue, volutamente convocato a Kiev, la capitale di una nazione che non fa parte della comunità europea ed è sotto il tiro nemico, la forte valenza del gesto, unita alla reiterata solidarietà con il popolo ucraino, come ci si aspettava è andata oltre il suo significato simbolico.
Il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelens’kyj
Purtroppo al di la delle riconfermate buone intenzioni, la quotidianità ha finito col riprendere presto il sopravvento, provvedendo con implacabile realismo a ricordarci quanto sia ancora attuale la frase secondo cui “c’est l’argent qui fait la guerre”. Già, i soldoni, che cominciano a scarseggiare. Infatti, tra un comunicato e l’altro, dagli Stati Uniti alla Slovacchia, si sono avvertiti, in contemporanea al summit, rumori inquietanti e crepe evidenti riguardo a quello che finora era considerato il comune, solidissimo fronte occidentale pro Ucraina. Gli aiuti costano miliardi, le casse sono quasi vuote, e nei budget, come ha dovuto amaramente accettare Biden per evitare lo shutdown, quei fondi sono stati stralciati. La qualcosa potrebbe costituire un vantaggio psicologico da non sottovalutare nella subdola, velenosa strategia del novello Zar per rovesciare i termini della questione e delle sue responsabilità nell’intera vicenda. L’aver riportato sulla scena lo spettro del suo mostruoso super missile nucleare è stata a tale proposito da parte del leader russo una mossa a dir poco diabolica.
FUGA. Chi bazzica le redazioni un giorno o l’altro se le trova davanti e finisce col chiedersi: “Ma come?! Ancora?!”. E non si tratta di cinismo. No. Ancora non sono finite le indicibili sofferenze dell’enclave armena del Nagorno-Karabakh, vittima delle tante, irrisolte eredità lasciate dallo sfascio dell’Unione Sovietica e dalle regole spietate della Realpolitik. Dopo più di trent’anni la questione della comunità etnica degli armeni è tornata di prepotenza alla ribalta della cronaca, dalla quale era sparita, per sancire di fatto la peggiore delle soluzioni con la sua scomparsa dal territorio che la ospitava.
Il Castello di Shahbulag (XVII secolo), costruito nel distretto di Aghdam da Panah Ali Khan Javanshir
Agnello sacrificale sull’altare dei cangianti equilibri geo-strategici tra Russia, Stati Uniti e Turchia, la popolazione armena non ha avuto altra va d’uscita che avviarsi verso un mesto esodo di proporzioni bibliche che ha coinvolto oltre centomila persone in fuga con le loro masserizie. Il triste scenario è la conseguenza dell’odio reciproco tra armeni e azeri, stratificato da secoli, e acuito da condizioni esistenziali divenute ormai insopportabili fino a sfociare in una vera e propria carestia. La paura atavica di una “pulizia etnica” associata all’emergenza energetica legata all’Azerbaijan, ricchissimo di risorse petrolifere e di gas, ha creato un intreccio d’incomprensioni e interessi contrastanti di una gravità senza pari. Ciò che sta praticamente escludendo ogni possibilità di istituire una pace duratura nella regione. Una volta ancora ci troviamo dunque di fronte a una vicenda altamente drammatica. I cui risvolti destano preoccupazione per il destino dei profughi armeni e confermano che alla fine, mutatis mutandis, chi deve pagare colpe non proprie sono sempre le frange più deboli e indifese della popolazione.
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L’Avvenire dei lavoratori
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L’Editoriale di bagnoli
AUTUNNO ITALIANO
Nei tempi, oramai pleistocenici della democrazia italiana, quando si arrivava in questi giorni, era tutto un gran parlare di “autunno caldo” prefigurando settimane di lotte sociali e di duri confronti politici. Oggi l’espressione non è adoprata nemmeno per sbaglio dalla stampa che nei luoghi comuni e nelle espressioni che vorrebbero essere immaginifiche pure è abituata a sguazzare scialacquando modestia di lettura e talvolta di professionalità.
di Paolo Bagnoli *)
L’autunno ci sarà, naturalmente, ma sarà freddo e grigio, politicamente avvilente e socialmente nel segno della decadenza in un quadro di lotta politica praticamente ridotto allo scontro quotidiano tra Meloni e Salvini del quale la presidente del consiglio deve ben più preoccuparsi che non della Schlein. Alla segretaria del Pd forse non guasterebbe un corso di 150 ore su come si fa l’opposizione e sulla responsabilità che comporta in un momento come questo. Oggi, infatti, la confusione – pratica nella quale storicamente gli italiani sono ben adusi – e le pulsioni della destra si combinano e si cerca di coprire il livello basso della nostra vita pubblica dietro una comunicazione infantile, fatta di apparizione nei telegiornali compiacenti ove, ogni sera, va in onda una rappresentazione patetica e ridicola di personaggi che recitano slogan per lo più anche malamente. È il velo che copre il vuoto. Il canone sempre lo stesso: qualunque cosa faccia la presidente del consiglio è un successo, in Europa o fuori d’Europa. Senza dilungarci troppo la questione dell’immigrazione ci dice che in Europa la considerazione è minima e fuori – vedi la Tunisia onorata di ben due viaggi della Meloni – addirittura nulla. Si è presentato il ricorso al Cnel per la questione del salario minimo come un colpo di genio. Ora, fermo restando che ci risulta che il Cnel non sia stato nemmeno invitato alle consultazioni che il Parlamento ha fatto sull’argomento, si dovrebbe sapere che il Consiglio è un organo di preconcertazione tra i datori di lavoro e le organizzazioni dei lavoratori è la sede del dialogo sociale e, a tale fine, utilissima e da sfruttare; poi, le scelte spettano alla politica e il buon Brunetta ce la metterà tutta per essere all’altezza del compito assegnatogli. Al massimo, se preconcerterà, non potrà che costruire un metodo, ma la palla deve essere giocata dal governo nel confronto coi sindacati i quali, non sono solo divisi, ma quando si svegliano sembrano ancora assonnati. Problemi seri ve ne sono ovunque ci si rigiri: la sanità, la scuola, la sicurezza sul lavoro, le periferie urbane il cui degrado pone questioni che vanno oltre la categoria della delinquenza e dello spaccio, l’ambiente. A questo proposito la terra e la climatologia del pianeta si ribellano a secoli di perpetrate violenze basate sullo sfruttamento e la corsa ai profitti. Se l’Italia ha un ministro dell’ambiente – ci sembrava di ricordare che uno ne fosse stato nominato – sarebbe il momento che parlasse, ma non per fare una dichiarazione piena di sole parole, bensì un ragionamento politico.
I fenomeni che succedono ci dicono chiaramente che non siamo di fronte al cambiamento climatico; la questione non è più se piove quando dovrebbe essere bello o se nevica quando ci dovrebbe essere il sole lasciando intendere che, alla fine, tutto tornerà per rimettersi in ordine. No: la verità è che siamo di fronte a problemi economici e sociali di portata planetaria. Gli incontri per fare notizia, per far vedere che si affronta il problema, le disquisizioni più o meno cervellotiche e via dicendo fanno solo perdere tempo e offendono l’intelligenza umana. Siamo di fronte a un dramma che coinvolge l’umanità tutta. Occorre la politica e uomini politici, naturalmente. Non vediamo né l’una né gli altri. Siamo anche in buona compagnia, ma ciò non è una scusante. Nessuno è in grado di dire come la vicenda andrà a finire; di sicuro sappiamo che le generazioni future non vedranno il succedersi delle stagioni. Non è una nota romantica, ma il segno di ben altro che definire esistenziale è dire poco. Il tarlo dell’italianità – tipicamente fascista e nazionalista – rode la nostra tenuta civile storica. D’altra parte chi semina vento raccoglie tempesta. La stessa dicitura in termini di italianità di alcuni ministeri e l’azione del ministero della cultura in un’operazione di reimpostazione del paradigma culturale italiano in chiave nazionalista, hanno cominciato a dare i propri frutti; bassi e malsani peraltro, ma hanno dato fiato a un confuso e comune senso di orgoglio e di superiorità “nazionale” pericoloso perché di facile e distorcente presa su certi cervelli. Il caso del generale che difende la fisiognomica “italiana” e le dichiarazioni di quel consigliere regionale “fratello italiano” per cui i veneti sono tali solo se bianchi rappresentano fatti gravissimi. Sergio Mattarella fa da argine con forza e autorevolezza, ma non basta: contro questo schifo occorrerebbe una mobilitazione collettiva di ampie dimensioni; tuttavia, tutto sembra cadere nel pettegolezzo giornalistico morboso di sapere se il generale andrà con Salvini o se FdI espellerà il consigliere regionale quando il problema è il perché vi militino gente simile. Forse ne stanno discutendo tra il ridimensionato Donzelli e la signora Arianna, pretoriana della massima affidabilità per la compattezza del Partito, quasi un agente ansiolitico delle paure politiche del presidente del consiglio che vuole primeggiare in maniera esclusiva non riuscendovi. Il timore è comprensibile poiché se, per un qualche motivo, perde la presa ferrea sul Partito potrebbe anche inciampare. Forse è consapevole del fatto che solo grazie a una legge demenziale – che ha peraltro il consenso di tutti – ella, pur essendo la minoranza, ha conquistato la maggioranza. Come tutte le contraddizioni anche questa è destinata a scoppiare ed è chiaro chi sarà a farne le spese in prima battuta. Il ridimensionamento dell’uomo forte messo a presidio del Partito vuol dire che la fiducia era venuta meno e che si subodorava qualcosa di potenzialmente pericoloso; da qui il via alla promozione familiare. Lo sconfitto non ha avuto altro da ribattere che non c’è niente di cui scandalizzarsi perché un’operazione simile, a suo tempo, la fece anche Fini con l’onorevole Donato Lamorte. E tutto è proprio il caso di dire, è morto lì. Povera Italia; povera in ogni senso. Così, mentre tutta la maggioranza si rappresenta impegnata a tagliare cunei, mettere soldi in tasca degli italiani, a cantierare provvedimenti per la natalità, aumentare le pensioni fino a spingere un ministro a dire che più povero sei meglio mangi; le tabelle dei conti, però, ci dicono che i soldi non ci sono e così le promesse di coloro che si definivano “pronti” rimangono parole al vento. Promesse irrealizzabili e iniziative talora ridicole come quella del ministro Urso che ha illuso la gente che il costo della benzina sarebbe stato raffreddato da cartelli con i prezzi del carburante. Se chi aveva bisogno di fare il pieno rilevava irregolarità sui prezzi avrebbe dovuto denunciare la cosa su una piattaforma – anche questa delle piattaforme è una questione su cui si dovrà tornare in quanto illiberale e anticostituzionale poiché presuppone illiberalmente quanto un cittadino non è tenuto ad avere – e , quale ultimo atto, il caso sarebbe finito alla Guardia di Finanza che sarebbe intervenuta non si sa per fare cosa. E intanto il denunciatore forse rischiava di stare, non si sa per quanto tempo, con la macchina ferma a guardare il cartello promosso da Urso! I soldi, quindi, non ci sono e allora che succede? Quello che è già successo e risuccesso; vale a dire che si ricorre a cercarli nelle pensioni. L’anno scorso si è avuto un taglio enorme: ben 10 miliari in tre anni. Un fatto gravissimo antidemocratico e anche anticostituzionale poiché si nega il riconoscimento ad avere una pensione dignitosa; si tratta della violazione di un rapporto di diritto quale quello pattizio tra lo Stato e il contribuente. I pensionati, infatti, non avendo un contratto hanno solo l’indicizzazione. E chi si colpisce? Chi percepisce un assegno di circa 2.100 euro lordi si vede negati 1600 euro netti e si tratta delle pensioni di insegnanti, impiegati, tecnici, ex operai; ossia si attinge nel grosso sociale delle pensioni medie perché colpendo i trattamenti alti il ricavato sarebbe minimo. In parallelo aumentano le pensioni minime, cioè le pensioni sociali, di quelli che per lo più le tasse non l’hanno mai pagate quasi sempre artigiani e commercianti. L’abolizione della legge Fornero sarebbe stato un atto oggettivo di giustizia, ma non succede niente poiché le cosiddette “quote” riguardano solo una parte molto piccola di italiani e di flessibilità si parla sempre e solo in entrata e mai in uscita. Cambiamento climatico, quindi: dall’autunno un tempo caldo siamo a quello polare. I poli terrestri come si sa si stanno sciogliendo, quello che rappresenta il governo sarà travolto da una tempesta di chiacchiere mentre il Paese galleggia alla deriva nel grande mare del populismo. È un autunno di troppe chiacchiere, vuoto di idee vere e con lo Stato con le casse asciutte. (continua la lettura sul sito)
*) Direttore de La Rivoluzione Democratica |
A cura di Marco Morosini RICEVIAMO E RILANCIAMO
AI NAUFRAGATI, AI SOMMERSI E AI SOPRAVVISSUTI
In tempi passati, da Procida o Napoli; oggi dalla Libia, dalla Siria e da tanti altri paesi lontani.
Al Mediterraneo, a questi orfani che non sapranno mai dove sono nati. Al Mediterraneo, a questi orfani che resteranno stranieri ovunque approdino; e non avranno nulla di meglio da sperare che correnti malvagie e venti avversi che li spingeranno verso casa. Al Mediterraneo, a questa madre in mezzo, versando le sue ultime lacrime salate in questo mare centrale. Al suo dolore che nessuna lingua potrebbe mai nominare. Agli immigrati. E ai marinai che li salvano e li accolgono. A coloro che si interessano e consolano. A quei pochi che non hanno dimenticato ciò che è giusto e che resistono ai pericoli delle nostre leggi vergognose. Ai corpi alla deriva, a questi strani relitti di legno abbandonati che nessuno vorrebbe raccogliere. questi corpi privi di vita, brevemente animati da appetiti predatori senza neanche imitare la costanza dell’onda che non dà tregua a questi “corps-mort” colorati (NB: la parola “corps-mort” significa “corpi morti” ma è anche il termine francese per “boe d’ormeggio”). Proprio come le boe d’ormeggio che assicurano ai diportisti pranzi tranquilli. Agli immigrati, ai pensieri che li tormentano durante la traversata, alle ore interminabili, alle loro paure, al freddo delle notti invernali, alla sete, al calore dell’ipocrita bel tempo estivo, al sale che brucia nelle parti più intime dei loro corpi privati di tutto. A queste regioni prive di speranza che si lasciano alle spalle, alle coste che li spogliano dei loro averi prima di cacciarli via, alle coste che li respingono non appena li scorgono. Al bambino che credevamo fosse addormentato da qualche parte tra il mare e la sabbia. Alla vergogna che non avrebbe mai dovuto abbandonarci da quando quell’immagine ha invaso i nostri schermi. E dico “noi” perché nemmeno io ho fatto meglio, non avrei dovuto lasciare che un’altra immagine scacciasse questa prima, prima ancora che sia essa stessa scacciata da un’altra, e un’altra ancora… Verso la Storia, che sarà severa con noi e giustamente.
Alan Kurdi, ritrovato annegato nel 2005 su una spiaggia in Turchia (foto di © Nilüfer Demir)
Per i nostri occhi chiusi, per la vergogna che ignoriamo incessantemente. Perché è ciò che facciamo quasi tutti noi, incluso me, prima di tutto, qui: “inghiottiamo la nostra vergogna” (come si dice in francese) ancora e ancora, fingendo di fare il massaggio cardiaco, di simulare gesti di salvataggio, di scrivere parole decisive e utili. Noi che continueremo a farlo per molto tempo, anche se saremo colti con le mani nel sacco. Come se volessimo evitarlo. Come se volessimo inculcarlo in quelli che verranno dopo di noi. Come se volessimo assicurarci che loro siano più gentili con noi di quanto lo sia quest’acqua spesso pacifica con gli amici che non conosceranno mai, con gli amori che non sposeranno mai, con i sorrisi che non restituiranno mai, con le lacrime che non condivideranno mai. Noi… dato che non sto facendo meglio neppure io qui. Al Mediterraneo, a quegli uomini e donne che lo attraversano senza sapere se sia “più umiliante essere” immigrati che emigrati. Via, “Avanti!” (NB: “più umiliante essere” e “Avanti!” traducono alcuni testi e il titolo di una canzone di Jacques Brel “Au suivant!”). A tutti coloro, troppi, arenati, morti e anonimi, ma infine emigrati, ed è probabilmente quello che chiamiamo un destino beffardo. A coloro che puliscono i loro corpi trascinati via dal mare e ornati di una crosta di sale, a coloro che danno loro un nome nonostante i numeri a loro imposti e li salutano senza speranza di una risposta. E a coloro che abitavano questi corpi e vorrebbero dire grazie a chi si è preso cura di loro per l’ultima volta, anziché lasciare che i loro resti marci e divorati li perseguitino. Ma soprattutto a tutti coloro di cui non sapremo mai né il numero né il nome, portati nel mezzo del mare e nascosti dal nostro muro di silenzio eretto tutto intorno. Quello che abbiamo costruito, mano nella mano, con coloro dai quali pretendiamo di proteggerci. Questo muro, molto più alto e solido, molto più implacabile di quelli di cemento, legno o ferro, quelli che indicano con il dito… E ancora una volta, brutta abitudine, nascondere le nostre vergogne. Con o senza fede possiamo comprendere ciò che tutte le obbedienze dicono, con o senza introspezione possiamo interrogare tutte le filosofie, allo stesso modo con o senza convinzione possiamo confrontarci con tutte le ideologie che hanno ancora a che fare con il buon senso. E ciò che sentiamo, ciò che ci viene risposto, ciò a cui ci opponiamo è che ogni destino ha un significato, che sia personale o sociale. E il destino di questi corpi che si decompongono nelle stive chiuse a chiave, di queste decine di migliaia di annegati per l’infamia dopo essere stati tormentati dalla fame, il destino di ognuno di loro sarà, prima o poi, denunciare e provare! Malgrado il loro orribile destino comune, sigillato per sempre, il destino di ognuno di loro rivelerà i nostri crimini, è il nostro silenzio che gira la chiave così come l’infame che la tiene in mano. Avremo l’Atlantide come tribunale e queste fosse comuni dell’abisso come spietati procuratori. Lo meritiamo, così come meritiamo gli sguardi dei nostri figli che evitano i nostri occhi imploranti. Tutte le ragioni del mondo non ci giustificheranno mai per averli abbandonati negli abissi dalle quali non vorremmo sentire i lamenti di un bambino, di una donna e di un uomo in cerca di salvezza. Inghiottiti, annegati e congelati, l’ultimo grido di uno di loro è sufficiente per far arenare nel dolore sia il più dolce dei delfini sia la più feroce delle orche. Eppure, la più pesante sentenza non rappresenterà nulla. Nulla rispetto a ciò che ci siamo già inflitti, senza comprenderne la realtà, il significato, la portata o la durata. Trasformare il Mediterraneo in un mare senza orizzonte significa annientare ogni speranza su qualsiasi costa ci si trovi. Che la marea salga o scenda… il mare sarà comunque morto: facciamo della culla della nostra civiltà la tomba inevitabile. E dato che ci resta solo l’incoscienza e la superstizione, vorrei rivolgere alcune parole ai semplici bagnanti dell’estate e ai bambini che fortunatamente ridono ancora nonostante questo riscaldamento che promette di essere gelido… I miei pensieri vanno a loro come un invito: “Incrociate le dita, incrociate spesso le dita e tenetele incrociate a lungo, incrociatele forte, sempre più forte e ancora più a lungo. Non serve assolutamente a niente, nemmeno accompagnato dagli auguri più sinceri… Non serve assolutamente a niente ma durante questo innocente rituale non farete nulla di male con le vostre dieci dita”. Agli Immigrati (Continua… Ahimè!) Sébastien Moreu, Discendente di immigrati
Questa versione italiana non avrebbe potuto esistere senza il sostegno di Doriano Navarra e della sua famiglia. È a suo padre Enrico che devo una parte essenziale della mia coscienza mediterranea. Non è l’idea di un’associazione, un’ONG, un’istituzione o un’azienda, ma una semplice iniziativa. Pertanto, non ha legittimità per raccogliere fondi o intraprendere azioni diverse da ravvivare il dibattito e risvegliare la memoria e la consapevolezza di una tragedia che dura da trent’anni. Inoltre, non è sostenuta da alcuna associazione, ONG, organizzazione politica o religiosa. Le ONG e le associazioni elencate di seguito per l’appello alle donazioni sono state selezionate unicamente sulla base di ricerche del team editoriale. Non è avvenuto alcuno scambio o comunicazione con quelle selezionate. Prima di effettuare qualsiasi pagamento, il team editoriale consiglia ai lettori di informarsi sulle attività di ciascuna organizzazione e sulla validità dei link, e di effettuare le proprie ricerche su altre organizzazioni i cui bisogni e forme di azione specifici sono più vicini alle proprie convinzioni. I link puntano a siti web che forniscono informazioni sulle azioni e i bisogni, nonché a moduli di donazione richiesti direttamente dai destinatari.
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economia
Il G77 per un mondo multilaterale
Chi ancora pensa che i Brics siano un club di paesi con idee interessanti ma poche chance di successo, dovrebbero considerare con maggior attenzione il recente summit del G77 + Cina tenutosi a Cuba pochi giorni fa. Realisticamente si dovrebbe prendere atto che è in corso un inarrestabile e incontenibile processo volto a ridefinire la governance globale.
di Mario Lettieri, già Sottosegretario all’economia (governo Prodi) e Paolo Raimondi, Economista
Il Gruppo dei 77 fu creato nel 1964 dai paesi in via di sviluppo del Sud del mondo, i cosiddetti non allineati, che volevano mantenersi indipendenti, fuori dall’orbita degli Usa e di Mosca. Fin dal suo inizio ha lottato per realizzare un nuovo ordine economico internazionale più giusto, senza nuovi colonialismi e vincoli che generino sotto sviluppo. Oggi il G77, organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite, con la Cina conta ben 134 paesi membri e rappresenta l’80% della popolazione mondiale e 2/3 degli Stati membri dell’Onu. Non ne fanno parte i paesi occidentali dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), quelli della Comunità degli stati indipendenti, guidata dalla Russia, e quelli del Commonwealth britannico. La Cina, pur non essendo membro del gruppo, lo sostiene fortemente da decenni. E’ per questa ragione che il summit di Cuba s’intitola “G77 + Cina. Current development challenges: the role of science, technology and innovation”. Sono ben consapevoli della continua e irrisolta crisi economica e finanziaria internazionale. Essi notano con profonda preoccupazione che “le principali sfide generate dall’attuale ingiusto ordine economico internazionale per i paesi in via di sviluppo hanno raggiunto la loro espressione più acuta”. Nella dichiarazione finale si avanzano la proposta di “una riforma dell’architettura finanziaria globale” e la richiesta di “un approccio più inclusivo e coordinato alla governance finanziaria globale con maggiore enfasi sulla cooperazione tra i paesi”. Evidenziano che “le sanzioni unilaterali contro i paesi in via di sviluppo non solo minano i principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale, ma costituiscono un ostacolo serio al progresso della scienza, della tecnologia e dell’innovazione, e alla piena realizzazione dello sviluppo economico e sociale”. Ne chiedono l’immediata eliminazione. Evidenziano anche “le ripercussioni negative e devastanti delle misure coercitive sul godimento dei diritti umani, compreso il diritto allo sviluppo e al cibo”. Il fatto che abbiano posto al centro i temi della scienza, della tecnologia e dell’innovazione dice molto sulle strategie future delle economie dei paesi in via di sviluppo. Le emergenze continue provocate dal debito, dall’inflazione, dalla mancanza di cibo e dai disastri climatici restano in prima fila, ma il cosiddetto Sud globale ormai consapevolmente si pone con forza di fronte alle nuove sfide tecnologiche epocali. La scienza, la tecnologia e l’innovazione e la collaborazione scientifica aperta ed equa, si è afferma, sono gli strumenti imprescindibili per superare la subalternità rispetto al vecchio mondo e ai monopoli tecnologici. Il summit si è soffermato molto sui grandi danni prodotti dall’illusione dell’unipolarismo, contrapponendo con vigore l’approccio multilaterale per uno sviluppo più equo e pacifico. Al riguardo è molto significativo l’intervento del segretario dell’Onu Antonio Guterres che ha riconosciuto come il “G77 + la Cina” sia “da sempre sostenitore del multilateralismo”. Rispetto al tema della conferenza egli ha aggiunto che “le regole per le nuove tecnologie non possono essere scritte solo dai ricchi e dai privilegiati”. Con i prezzi degli alimenti alle stelle, con il debito che aumenta, con i disastri climatici, la situazione si presenta sempre più insostenibile e serve un cambiamento per creare un nuovo mondo che non può seguire ancora i dettami delle strutture globali degli organismi internazionali, che a detta di Guterres stesso, sono stati deludenti. Anche nell’Assemblea generale dell’Onu, Guterres l’ha ripetuto, aggiungendo che un mondo multipolare contrapposto rischia lo scontro. “Ci stiamo avvicinando sempre più a una grande frattura, ha detto, è tempo di rinnovare le istituzioni multilaterali. Ciò significa riformare anche il Consiglio di sicurezza in linea con il mondo di oggi.”. Anche su questo l’Unione europea, purtroppo, si mostra troppo vassalla e poco indipendente, silente e sempre assente.
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da >>> TERZO GIORNALE *)
Papa Bergoglio e i cardinali “dubbiosi”
Un sinodo non riducibile a una rubrica della “Settimana enigmistica”
di Riccardo Cristiano
(Roma, 4/10/2023) – La mattina di questo 4 ottobre, papa Francesco ha aperto l’attesissimo sinodo (sulla forma sinodale della Chiesa) citando Paolo VI, quando auspicò una Chiesa capace di farsi colloquio. Ovviamente colloquio con il mondo, con le nostre società e i nostri problemi: quindi una Chiesa che non rinchiude Gesù nelle sagrestie. Questo colloquio non è tra blocchi: come nel mondo, anche in questa Chiesa ci sono diverse sensibilità, non viviamo dappertutto nello stesso modo e con le stesse priorità, e il colloquio non è uno solo, identico a sé ovunque, a tutte le latitudini e longitudini. Ciò conferma che siamo a uno snodo decisivo e contestato dai conservatori soprattutto anglosassoni. La Chiesa si accinge ad assumere una forma più simile a quella che ebbe alle origini e diversa da quella che si è imposta nel Medioevo? Il tema divide, e lo si vede; ma l’appello al colloquio, proprio nella diversità delle idee, per essere vero non poteva cominciare senza che il papa rispondesse alle vecchie certezze presentategli sotto forma di dubbi da alcuni cardinali che rifiutano la sua visione di una Chiesa non solo gerarchica ma di tutti, cioè della gerarchia ma anche dei fedeli e delle fedeli, tanto che a questo sinodo (che sulla carta sarebbe ancora sinodo dei vescovi) votano anche le donne. (continua sul sito)
*) Terzo Giornale – La Fondazione per la critica sociale e un gruppo di amici giornalisti hanno aperto questo sito con aggiornamenti quotidiani (dal lunedì al venerdì) per fornire non un “primo” giornale su cui leggere le notizie, non un “secondo”, come si usa definire un organo di commenti e approfondimenti, ma un giornale “terzo” che intende offrire un orientamento improntato a una rigorosa selezione dei temi e degli argomenti, già “tagliata” in partenza nel senso di un socialismo ecologista. >>> vai al sito
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LAVORO E DIRITTI a cura di www.collettiva.it
Se la Cgil è … il male assoluto
In corso una campagna denigratoria senza precedenti. Il governo annaspa e così sfodera il moschetto per colpire l’unica opposizione sociale nel Paese.
di Stefano Milani
Licenziano, sperperano i soldi, se ne fregano dei lavoratori. Il meschino stupidario delle ultime settimane, che abbiamo letto e ascoltato sulle pagine di alcuni giornali e tra i banchi del Parlamento, racconta bene l’isteria generale di questo governo. Nervoso dal consenso calante, mostra i muscoli per nascondere una realtà ben diversa e più complicata rispetto a quella fumosa vaneggiata nelle promesse elettorali divenute irrealizzabili. E così, non essendo avvezzo a un confronto sociale e non contemplando l’idea che possa esserci un’opposizione nel Paese reale, l’arma più congeniale da utilizzare è quella della denigrazione. Tipica tecnica squadrista abusata in un passato a loro caro e ora sfoderata come un moschetto contro l’avversario di turno che prova, in estrema solitudine, a raccontare un’altra Italia, diversa dalla patinata brochure del primo anno meloniano. La precarietà dilaga, l’inflazione galoppa, la povertà aumenta, il disagio esplode ma la risposta non è cercare soluzioni bensì silenziare e infangare chi prova a disturbare il manovratore avanzando proposte a un’emergenza a tratti drammatica. Silenziare e infangare con ricostruzioni infondate, refusi di forma e di sostanza, numeri sparati a caso, veline senza riscontro, fonti anonime e probabilmente inesistenti. C’è tutto quello che un aspirante giornalista non dovrebbe mai collezionare se volesse intraprendere con onestà deontologica questa vituperata professione. La Cgil avrà pure dei difetti, ma sul rigore nel difendere i diritti dei lavoratori può dare lezioni a tutti. Da chi a sinistra ha precarizzato il lavoro a chi a destra lo ha svuotato della sua dignità. Non siete d’accordo sull’introduzione del salario minimo? Non vi convince la battaglia contro i voucher e il subappalto? Ve ne infischiate della progressività fiscale o dei morti sul lavoro? Bene, rispondete nel merito, argomentate la vostra idea di Paese, proponete un’alternativa, ma non inquinate il dibattito aggrappandovi allo specchio viscido di una campagna mediatica patetica e farlocca.
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Da Avanti! online
Migranti, gli ambasciatori dei Paesi Ue trovano un accordo
Gli ambasciatori dei Paesi membri dell’Ue hanno trovato un accordo sul regolamento sulle crisi migratorie nel Coreper, annuncia la presidenza spagnola. L’accordo, conferma una fonte diplomatica Ue, è stato raggiunto a maggioranza qualificata. L’Italia ha votato a favore, aggiunge la fonte, ma allegherà una dichiarazione a verbale.
di Redazione Avanti!
Il regolamento sulle situazioni di crisi e di forza maggiore nel campo della migrazione e dell’asilo era l’ultimo pezzo del patto Ue sulle migrazioni che era ancora incagliato in Consiglio: ora potranno iniziare i negoziati con il Parlamento Europeo, con l’obiettivo di avere un accordo sul pacchetto prima di fine legislatura. I rappresentanti degli Stati membri dell’Ue, conferma il Consiglio, hanno raggiunto un accordo sulla componente finale di una politica europea comune in materia di asilo e migrazione, confermando il l mandato negoziale sul regolamento sulle situazioni di crisi, compresa la strumentalizzazione della migrazione, e la forza maggiore nel campo della migrazione e dell’asilo. La posizione approvata oggi costituirà la base dei negoziati tra la presidenza del Consiglio e il Parlamento europeo. Per Fernando Grande-Marlaska Gómez, ministro degli Interni spagnolo, “oggi abbiamo compiuto un enorme passo avanti su una questione cruciale per il futuro dell’Ue. Con l’accordo di oggi siamo in una posizione migliore per raggiungere un accordo sull’intero patto sull’asilo e sull’immigrazione con il Parlamento Europeo entro la fine di questo semestre”. Per la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, l’accordo consentirà di approvare “il patto prima di fine legislatura”. Intanto continuano gli sbarchi sulle coste italiane. E sale il numero degli ospiti all’interno dell’hotspot di Lampedusa: attualmente sono circa 500 persone. Ieri gli sbarchi totali sono stati almeno 9. Oggi, dalla struttura gestita dalla Croce Rossa Italiana, sono previsti trasferimenti. Nella notte, sull’isola, sono arrivate 4 diverse imbarcazioni, intercettate al largo delle coste di Lampedusa dalla Guardia di finanza e dei carabinieri. In totale sono arrivati 254 migranti. Flusso continuo di sbarchi anche a Pantelleria dal primo ottobre ad oggi ogni giorno ci sono stati sbarchi nell’isola di migranti per lo più di nazionalità tunisina. Al momento come conferma il sindaco Fabrizio D’Ancona nell’isola ce ne sono 282. Arrivano direttamente nell’isola con piccole imbarcazioni. In alcuni casi qualche decina solo due volte sono arrivati con barche più grosse con 40 o 116 migranti a bordo. In queste ore si sta organizzando il passaggio dal centro di accoglienza sull’isola a Trapani.
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Dalla Fondazione Rosselli di Firenze
Musei, arte e relazioni internazionali. Una prospettiva dall’Italia
Registrazione conferenza – Convegno svolto a Firenze il 14 settembre 2023 presso la Sala Verde di Intesa Sanpaolo – Iniziativa organizzata con il contributo dell’Unità di Analisi, Programmazione, Statistica e Documentazione Storica – Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ai sensi dell’art. 23 – bis del DPR 18/1967. Vai al downoload
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Su Radio Radicale
Per un paese antifascista Presentazione delle proposte di legge sul contrasto ai fascismi
Sono intervenuti: Chiara Braga (capogruppo alla Camera dei deputati, Partito Democratico), Sandro Ruotolo (responsabile Informazione, Cultura e memoria del Partito Democratico), Andrea De Maria (deputato, Partito Democratico), Emilio Ricci (vice presidente dell’ANPI), Alessandro Orlowski (regista), Emanuele Fiano (già parlamentare), Giovanni Baldini (studioso dei neofascismi e collaboratore del periodico dell’ANPI), Walter Verini (senatore, Partito Democratico), Nicola Fratoianni (deputato e segretario nazionale di Sinistra Italiana), Laura Boldrini (deputata, già presidente della Camera dei Deputati, Partito Democratico), Gianfranco Pagliarulo (presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (ANPI)), Elly Schlein (deputata, segretaria nazionale del Partito Democratico).
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Appuntamento a Milano
MICHELE ACHILLI protagonista del socialismo italiano
Dalle “riforme di struttura” alla giustizia sociale,
MILANO, MARTEDI’ 10 OTTOBRE 2023
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DAL NORDEST
Laura, cinque anni, vittima della “Difesa”
di Marco Lepre *)
La Pattuglia Acrobatica Nazionale dell’Aeronautica Militare Italiana ha sede presso la base di Rivolto in Friuli. Le “Frecce Tricolori”, come sono meglio conosciute, sono molto “amate” da una fetta considerevole della popolazione e non mancano di colorare i cieli con le loro scie verdi, bianche e rosse in occasione dei più svariati eventi. Un po’ meno contenti sono gli abitanti dei paesi dislocati tra Udine e Pordenone, costretti a convivere quasi quotidianamente con le esercitazioni, l’inquinamento acustico che producono ed il cherosene sversato nei campi o sulle vigne. Qualche tempo fa pensavo che sarebbe stato bello se, portando un piccolo ma significativo contributo alla lotta contro i cambiamenti climatici, le “Frecce Tricolori” avessero annunciato, di propria iniziativa, di voler sospendere le loro “esibizioni”. Ci sarebbe stato un motivo in più, per i loro appassionati e per le autorità pubbliche della nostra regione, per essere “orgogliosi” di dare loro ospitalità e sarebbe stato un gesto apprezzato anche da chi non si trova schierato tra questi. Invece, mentre gran parte degli abitanti di Mortegliano e di altri centri del Medio Friuli, colpiti da una eccezionale grandinata alla di fine luglio, era ancora intenta a riparare alla ben e meglio i tetti danneggiati, dai quali continuava a penetrare acqua, la Pattuglia Acrobatica Nazionale “deliziava” con le sue evoluzioni i bagnanti assiepati sulla spiaggia di Grado e, solo qualche giorno più tardi, regalava un (non so quanto gradito) sorvolo tricolore di “solidarietà” alle popolazioni che avevano subito l’inedito “bombardamento” di ghiaccio. Così ci troviamo, oggi, davanti alla tragedia di Torino, a parlare di quello che, prima o poi, sarebbe successo e a porci alcune domande. Innanzitutto, come si può definire il tragico schianto di Torino? Ennesimo “incidente sul lavoro”? Si possono paragonare i piloti delle “Frecce Tricolori”, che hanno realizzato il “sogno” che hanno avuto fin da bambini, ai cinque morti della Stazione di Brandizzo o agli operai che cadono da un’impalcatura o muoiono asfissiati in una cisterna perché non si rispettano le norme di sicurezza? Probabilmente no. Ancora. Quando capita una disgrazia sulle Alpi o in Himalaya si parla subito – sbagliando – di “montagna assassina”. Se in corrispondenza di un incrocio o di una curva pericolosa si verificano troppi incidenti, indipendentemente dalle loro reali cause, si scrive subito che le persone sono rimaste vittime, non della velocità, dell’abuso di alcol o di una distrazione, ma della solita “strada assassina”. Nessuno, però, ha osato parlare nella recente tragedia di Torino di “Frecce assassine”.
Le “Frecce Tricolori”
Certo, non c’era alcuna intenzione da parte del pilota di provocare quello che purtroppo è accaduto e sappiamo che ne resterà, inevitabilmente, a sua volta una “vittima”. Ma se le decine di migliaia di spettatori che partecipano entusiasti alle esibizioni delle “Frecce Tricolori” si mettessero questa volta nei panni di quella famiglia e di quella bambina che viaggiava ignara in auto e si è vista travolgere dai resti dell’aereo in fiamme, quale definizione userebbero? Parlerebbero solo di una semplice, “tragica fatalità”, come fece la Corte di Cassazione, al termine del processo conclusosi sette anni dopo che il caccia precipitato su una scuola a Casalecchio di Reno aveva provocato la morte di dodici ragazzi? Molti giornalisti, come Salvatore Merlo, vicedirettore del Foglio hanno dichiarato, con un certo fastidio, che non intendono dare spazio alle polemiche sull’utilità degli “spettacoli aerei”, che vedono puntualmente contrapposti in un “derby” gli schieramenti politici. Altri, invece, hanno fatto sostanzialmente capire che non sarà certo per la morte di una bambina di nome Laura che si rinuncerà ad una ottima “vetrina” per la nostra tecnologia che viene venduta all’estero. Bisognerebbe rileggersi le chiare parole della senatrice Lidia Menapace, bersaglio, qualche anno fa, di una vergognosa campagna d’odio per aver sostenuto che non è giusto che lo Stato finanzi manifestazioni in cui si esalta il “rischio per il rischio” e per aver ricordato che quei velivoli che ammiriamo durante le loro acrobazie sono dell’identico modello di quelli che vengono venduti e utilizzati da altri Paesi per colpire anche villaggi e gruppi di persone. Oggi direbbe che la piccola Laura e la sua famiglia sono rimaste paradossalmente vittime della “Difesa”. Rimane un’ultima, amara constatazione da fare. Ci sono persone – pensiamo ai vigili del fuoco, ai volontari del soccorso alpino o a chi non esita a lanciarsi in un mare agitato per recuperare i migranti dai barconi che stanno per affondare – che rischiano la loro vita allo scopo di salvare quella di altri. E ci sono persone – i piloti delle “Frecce Tricolori” o quelli di Formula Uno, dei Moto GP o dei rallies automobilistici – che rischiano la loro vita mettendo spesso a rischio anche quella di altri. Dei primi ci si dimentica sempre. I secondi, invece, sono spesso considerati degli “idoli” o degli “eroi”.
Poscritto27/9/2023 – A una settimana dal tragico incidente di Torino, le “Frecce Tricolori” sono tornate a volare. Domenica hanno lasciato la loro scia colorata sui cieli di Trento e Bolzano e tra una decina di giorni torneranno a proporre evoluzioni in provincia di Savona. The show must go on? Ci siamo già dimenticati di quanto è successo a Laura di cinque anni e alla sua famiglia, investite dal velivolo precipitato vicino all’aeroporto di Caselle? È stata semplicemente una “tragica fatalità”? Anche loro, come i dodici ragazzi di Casalecchio di Reno che nel 1990 restarono vittime del caccia militare caduto sulla loro scuola, hanno avuto la “sfortuna” di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato?
Poscritto sul 60.mo del disastro del Vajont – Lunedì 9 ottobre ricorre il 60°anniversario del disastro del Vajont. Quasi duemila morti, vittime, secondo l’“attendibile” direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, di una “alluvione”. Nel 2008 l’UNESCO ha definito questa strage il più grave “evento mondiale causato da responsabilità umana e impreparazione”. E, da quest’anno, tutti gli atti e i documenti legati al processo che seguì sono entrati a far parte del “Registro della Memoria del Mondo”, promosso dalla stessa UNESCO. È giusto e necessario ricordare e spiegare, soprattutto ai giovani, cosa accadde (e perché accadde) sessant’anni fa: le responsabilità dei tecnici, il ruolo dei politici e la inascoltata azione di denuncia svolta da una coraggiosa giornalista dell’Unità, Tina Merlin, partigiana, autrice in seguito del libro “Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe”.
*) Leg ambiente Carnia, Val Canale e Canal del Ferro |
L’Avvenire dei lavoratori EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897
L’Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall’Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all’estero, L’ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l’Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L’ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l’integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all’eclissi della sinistra italiana, diamo il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.
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