Buongiorno,
di seguito e in allegato inviamo il commento “Le nuove frontiere del debito emergente“ a cura di Kristin Ceva, Responsabile Strategie Paesi Emergenti di Payden & Rygel.
Restiamo a disposizione per ulteriori informazioni.
Un caro saluto,
Ludovica Bertola
Le nuove frontiere del debito emergente
- Dal punto di vista degli investitori, le economie di frontiera appaiono interessanti non solo per la possibilità di diversificare il portafoglio, ma anche perché questi mercati hanno storicamente sovraperformato in modo significativo i più ampi indici obbligazionari EM in dollari
- Investire nel debito di frontiera consente di esporsi a Paesi difficilmente presenti in altre asset class, mercati che, in virtù delle loro dimensioni ridotte, tendono ad essere maggiormente guidati da dinamiche interne
- Rendimenti potenziali più elevati comportano certo un costo in termini di maggiore rischiosità e minore liquidità, anche se molti dei mercati di frontiera più deboli, dopo una serie di shock consecutivi, hanno già riscontrato difficoltà sul fronte dei pagamenti e, dunque, il ciclo dei default ad oggi dovrebbe essersi esaurito
- La selezione dei Paesi e la valutazione dei loro fondamentali riveste un ruolo di primo piano nella strategia d’investimento di Payden. Storicamente la nostra esposizione alle economie di frontiera è stata superiore rispetto alla loro quota del benchmark, ma laddove vediamo prospettive difficili, siamo sempre pronti ad annullare le posizioni
A cura di Kristin Ceva, responsabile strategie paesi emergenti di Payden & Rygel
Milano, 23 luglio 2024 – Nel corso degli ultimi venticinque anni, il debito emergente ha vissuto una notevole espansione dal punto di vista geografico: il numero di Paesi coperti dal popolare indice JP Morgan EMBI-Global Diversified è passato dagli otto del 1995 agli attuali 69. Negli anni, accanto ai mercati emergenti più noti e frequentati dagli investitori, quali Brasile, Messico, India e Indonesia, si sono aggiunti diversi emittenti high yield, più piccoli e fuori dai radar: le cosiddette “economie di frontiera”.
A partire dal 2020, i mercati emergenti hanno dovuto fronteggiare sfide complesse, come l’emergenza pandemica, l’impennata dei prezzi di energia e generi alimentari e l’aumento dei tassi d’interesse a livello globale: per le economie di frontiera, date le loro dimensioni ridotte, questo ha comportato rendimenti più elevati e accesso limitato al credito in dollari Usa.
Dal punto di vista degli investitori, le economie di frontiera appaiono interessanti sia per la possibilità di diversificare il portafoglio dal punto di vista della geografia e dell’emittente, sia per una questione di performance, dal momento che questi mercati hanno storicamente sovraperformato in modo significativo i più ampi indici obbligazionari EM in dollari. Se si confronta il NEXGEM Index con il JP Morgan EMBI-Global Diversified Index, infatti, si nota che nel 2023 il primo ha registrato un rendimento del +21%, quasi 1.000 punti base in più rispetto al secondo. Anche nel primo trimestre di quest’anno, il NEXGEM Index ha messo a segno un +5,2% contro il +2% dell’EMBI-Global Diversified.
Per quanto riguarda la rischiosità dell’investimento nel debito di frontiera, bisogna anzitutto considerare che i sette mercati di frontiera che hanno dichiarato default sul debito esterno ammissibile all’indice, rappresentano complessivamente solo l’1,4% del PIL degli EM (prendendo come riferimento l’universo EMBI ex-China[1]). Inoltre, molti dei Paesi più deboli, dopo una serie di shock consecutivi, hanno già riscontrato difficoltà sul fronte dei pagamenti e, dunque, il ciclo dei default dovrebbe essersi esaurito. Il fatto che molti investitori siano giunti a questa stessa conclusione ha determinato un forte rally del debito sovrano di frontiera lo scorso anno. Ci si aspettava che, con l’arrivo del 2023, alcuni Paesi, come El Salvador e Pakistan, avrebbero sperimentato difficoltà sul fronte dei pagamenti, ma, quando questo timore non si è concretizzato, questi stessi Paesi hanno registrato una sovraperformance significativa. Ci sono poi i Paesi già andati in default, come Sri Lanka, Suriname, Ghana e Zambia, che gli analisti ritengono siano pronti a negoziare con i creditori dei termini migliori di quelli inizialmente preventivati. Spesso, infatti, la relazione tra uno Stato sovrano e i suoi creditori non termina dopo l’apertura della procedura di ristrutturazione, ma durante questa fase lo Stato può rinegoziare i termini del finanziamento e continuare a trattare con i creditori.
Investire nel debito di frontiera consente di esporsi a Paesi difficilmente presenti in altre asset class, mercati che, in virtù delle loro dimensioni ridotte, tendono ad essere maggiormente guidati da dinamiche interne. Questo vale soprattutto per il debito in valuta locale, poiché le valute locali delle economie di frontiera sono meno correlate a quelle degli altri EM e la minore presenza di investitori internazionali fa sì che per questi mercati le considerazioni macro siano più rilevanti dei driver globali. Ovviamente, rendimenti potenziali più elevati comportano un costo in termini di maggiore rischiosità e minore liquidità.
Nei primi mesi del 2024 Payden & Rygel ha incrementato l’esposizione a mercati di frontiera in valuta locale come Nigeria ed Egitto. Dal punto di vista top down, queste operazioni si inseriscono in un contesto di crescita globale favorevole e forte sostegno multilaterale verso gli EM. Dal punto di vista bottom-up, invece, le prospettive del debito a medio termine si sono orientate in modo più favorevole verso queste economie: nel caso della Nigeria, ad esempio, è stato decisivo il miglioramento dello scenario politico dopo il cambio di governo dello scorso anno, mentre in quello dell’Egitto è stato determinante il sostegno esterno del Medio Oriente e del Fondo Monetario Internazionale, annunciato a febbraio 2024.
La selezione dei Paesi e la valutazione dei loro fondamentali riveste un ruolo di primo piano nella strategia d’investimento di Payden. Nel caso dei mercati di frontiera, questo si è tradotto in una posizione sovrappesata sui Paesi con outlook positivo. Storicamente la nostra esposizione alle economie di frontiera è stata superiore rispetto alla loro quota del benchmark, ma laddove vediamo prospettive difficili, siamo sempre pronti ad annullare le posizioni, come dimostra il fatto che, dei 35 Paesi che rientrano nell’universo NEXGEM, sono solo 18 i Paesi a cui siamo attualmente esposti.
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