Buongiorno,
di seguito e in allegato invio un commento sulle prospettive positive per Europa e Asia emergente, cura di Álvaro Sanmartín, Chief Economist, Amchor IS.
Un caro saluto,
Diana Ferla
Amchor IS: un Trump più morbido del previsto favorirà Stati Uniti, Europa e Asia emergente
A cura di Álvaro Sanmartín, Chief Economist, Amchor IS
Trump ha vinto le elezioni negli Stati Uniti e lo ha fatto in modo clamoroso, con i repubblicani che dominano entrambe le camere. Pertanto, nel corso delle prossime settimane sarà necessario prestare molta attenzione a quelli che potrebbero essere i primi passi della nuova presidenza perché, inevitabilmente, l’evoluzione futura dell’economia globale sarà fortemente influenzata da quanto aggressiva (o meno) sarà la politica di Trump, soprattutto su tre temi chiave: dazi, immigrazione e deficit pubblico.
Pur non escludendo affatto scenari dirompenti, crediamo che sia molto probabile che il nuovo Presidente finirà per essere una versione un po’ ammorbidita del Trump “da campagna elettorale”, il che sarebbe un’ottima notizia per tutti. In tal caso, le prospettive per l’economia globale nei prossimi 6-12 mesi non sarebbero affatto negative.
Scenario “Trump moderato”
Gli attuali livelli dei tassi a lungo termine e del dollaro dovrebbero contribuire a moderare il ritmo dell’espansione economica negli Stati Uniti verso tassi in linea con il potenziale a medio termine, il che a sua volta creerebbe il contesto giusto per una moderazione salariale e un graduale calo dell’inflazione di fondo.
Il fatto che la domanda e l’offerta aggregate negli USA siano ragionevolmente bilanciate, in un contesto di aspettative di inflazione ben ancorate, dovrebbe indurre la Fed a continuare ad abbassare moderatamente i tassi, fino a quando la politica monetaria non sarà portata in neutralità.
Se la politica sui dazi di Trump non sarà eccessivamente aggressiva, la crescita dell’Eurozona dovrebbe riprendere nei prossimi mesi: i fondamentali dei consumi privati sono solidi, le vendite al dettaglio e la fiducia dei consumatori hanno iniziato a mostrare segni di ripresa e quindi la Bce ha tutti gli argomenti per mostrare un atteggiamento accomodante.
Nonostante le incertezze legate alla presentazione del bilancio, lo scenario macro nel Regno Unito è ragionevolmente costruttivo: i dati sull’attività economica non sono negativi, la stabilità politica del paese è ora elevata in termini relativi, la Gran Bretagna non dovrebbe essere uno dei paesi più colpiti da Trump e il percorso di bilancio tracciato dal nuovo governo è sufficientemente credibile.
Con ogni probabilità, l’Asia emergente, esclusa la Cina, continuerà a godere di un mix molto interessante di crescita elevata, inflazione controllata e livelli ragionevoli di deficit e debito pubblico. In Cina, i dati macroeconomici più recenti mostrano una reazione positiva alle misure di stimolo adottate negli ultimi mesi. E, guardando al futuro, l’atteggiamento “whatever it takes” delle autorità dovrebbe aiutare a sostenere l’attività economica entro intervalli ragionevoli.
Per quanto riguarda il Giappone, il contesto è ancora favorevole a una crescita leggermente superiore al potenziale nei prossimi trimestri, con salari e inflazione in progressivo aumento. Allo stesso tempo, non vi è alcun segno di pressioni eccessive sui prezzi e sembra quindi chiaro che la BOJ possa essere paziente nell’attuare ulteriori rialzi dei tassi.
Scenario “Trump aggressivo” e altri rischi
I principali rischi che vediamo all’orizzonte sono i seguenti:
– possibili rialzi aggressivi dei dazi da parte di Trump, con inevitabili risposte da parte dei Paesi “aggrediti”: l’effetto sull’economia americana di uno scenario di guerra commerciale sarebbe inflazionistico e restrittivo. Per il resto del mondo, le implicazioni sarebbero principalmente restrittive in termini di attività economica e, possibilmente, anche deflazionistiche.
– Possibili tagli fiscali aggressivi negli Stati Uniti che non siano accompagnati da misure efficaci per controllare la spesa pubblica: in un contesto di piena occupazione, un’espansione fiscale aggressiva può essere molto inflazionistica e stimolare la crescita economica molto poco. La situazione potrebbe peggiorare se il mercato decidesse di iniziare a preoccuparsi della sostenibilità del debito statunitense.
– Potenziale espulsione di massa degli immigrati: è del tutto possibile che, se ciò dovesse accadere, l’offerta aggregata negli Stati Uniti si contrarrebbe più della domanda. E, in tal caso, gli effetti macro di una politica aggressiva di espulsione della popolazione immigrata sarebbero chiaramente negativi. Da un lato, perché aumenterebbe l’inflazione. D’altra parte, perché l’economia si ridurrebbe, il che rappresenterebbe un rischio aggiuntivo per il percorso del debito pubblico rispetto al Pil.
– Potenziali attacchi all’indipendenza della Fed da parte di Trump: se ciò dovesse accadere, avrebbe effetti potenzialmente molto significativi sul dollaro, sull’inflazione e sui titoli di Stato statunitensi.
– Alti livelli di deficit e debito pubblico in diversi paesi dell’Eurozona, in particolare in Francia: dovremo tenere d’occhio la situazione politica in Francia, per vedere che tipo di bilancio il governo guidato da Barnier sarà in grado di far approvare nelle prossime settimane.
– Rischi geopolitici: Trump afferma di avere piani per una “soluzione rapida” per affrontare i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. Quando questi piani saranno rivelati, sarà necessario analizzare con molta attenzione in cosa consistono, quali sono le loro reali possibilità di successo e, soprattutto, quali potrebbero essere le loro implicazioni geopolitiche in un’ottica di medio e lungo periodo.
View di mercato
Azionario: in attesa di vedere quale “versione” di Trump prevarrà definitivamente, continuiamo a optare per posizioni moderatamente costruttive sull’equity. Vediamo meno motivi per sovappesare l’Eurozona e riteniamo che abbia senso, invece, aumentare il peso relativo delle azioni Usa, soprattutto nel segmento delle piccole e medie imprese. Continuiamo a favorire anche l’Asia emergente, Cina esclusa.
Titoli di Stato: nonostante l’aumento dei rendimenti, il “rischio Trump” ci porta a continuare ad evitare le posizioni sulla curva americana. Al contrario, riteniamo che i bond tedeschi a 10 anni, vicini al 2,4-2,5% possano rappresentare una buona copertura per molti dei rischi che ci preoccupano ora.
Obbligazioni societarie: per ottenere un certo spread rispetto al Bund, continuiamo a preferire le obbligazioni societarie di sufficiente qualità creditizia ai debiti pubblici di paesi con bilanci “dubbi”.
Valute: le nuove incertezze introdotte da Trump fanno sì che il dollaro, nonostante il suo recente significativo apprezzamento, possa svolgere un ruolo di copertura nel portafoglio di un investitore in euro.
Riteniamo inoltre che nel portafoglio vi sia spazio, in modo selettivo, per le valute emergenti di paesi con buone prospettive di crescita, con banche centrali credibili e con conti pubblici sufficientemente sani. La rupia indiana e la rupia indonesiana ci sembrano due esempi particolarmente validi in questo senso.
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