Agenzia nr. 2659 – Consiglio, Cera: “La Capitanata deve uscire del tunnel”

 
ANNO XIX
Numero 2659
22/11/2022
Pubblicato in Bari

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Consiglio, Cera: “La Capitanata deve uscire del tunnel”

Di seguito l’intervento del consigliere Napoleone Cera nel corso della seduta del Consiglio monotematico sulla Capitanata.

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, 

questa seduta monotematica sull’emergenza Capitanata, entrata da tempo come in un tunnel pericoloso, è fondamentale. 

La parola emergenza è molto chiara: costringe quanti la osservano e chi per disgrazia la subisce a mettere in atto misure di reazione a quanto accade dirette alla salvaguardia delle persone e alla riduzione dei danni possibili. 

Sarebbe un esercizio inutile e deplorevole girarci intorno con esercizi dialettici.

 

Ringrazio la Presidente Capone per aver dato seguito a quest’istanza che il territorio ha da tempo affacciato, lasciando in disparte le polemiche sollevate sul ritardo che ha rinviato quest’appuntamento.

Non credo sia il caso, proprio per evitare strumentalità di parte, sterili divisioni ideologiche o, peggio ancora, astiose posizioni conflittuali e preconcette.

La situazione è tanto grave da non ammettere più un contesto che non sia consegnato ad una lettura responsabile delle cose da fare.

Saluto il rappresentante del Governo.

La presenza del Vice Ministro Francesco Paolo Sisto, pugliese, giurista di rango, è molto significativa perché sta a certificare l’attenzione del Governo sul tema e mostra una disponibilità all’ascolto che è già una gran cosa.

In questo mio breve intervento vorrei cercare di consegnare all’Assemblea solo alcuni spunti di riflessione su quelle che potrebbero essere le ragioni che nel tempo hanno determinato nella provincia di Foggia un malessere sconfinato in un degrado ambientale molto preoccupante sotto il profilo sociale.

Non mi avventurerò in analisi sociologiche e storiche che spettano agli esperti del settore. Mi limiterò dunque ad indicare alcuni aspetti che, dal mio punto di vista, possono in qualche maniera aver inciso nel processo involutivo che i fatti denunciano nella terra dauna, dove sono nato e vivo.

La prima parola che mi viene in mente è l’IDENTITÀ, come tratto distintivo della comunità. Un’identità smarrita che va necessariamente recuperata.

Colleghi Consiglieri, noi operiamo in una terra di mezzo, abitiamo la Capitanata che è il Nord del Sud.

Siamo in un pezzo del Mezzogiorno che disegna una morfologia territoriale strategica: al fianco del Molise e delle pendici del basso Abruzzo, abbracciati. dalla meravigliosa Irpinia, dalla Terra dei Sanniti e dei Lucani, tutto in una naturale cornice che raccoglie le grandi risorse naturali di cui disponiamo.

Una terra di confine la Daunia, una micro regione, non è una frase fatta o un luogo comune. Tutt’altro!

Un’area molto vasta, la terza provincia d’Italia per estensione territoriale, per molti versi inesplorata, che racchiude in sé tesori grandissimi, un repertorio incredibile di potenzialità di crescita.

Un territorio che potrebbe ritrovarsi, come in una filigrana, con altri pezzi d’Italia che hanno una storia comune: dalla Frentania del basso Abruzzo, al vicino Molise, dalla provincia di Benevento a quella di Avellino, da Matera a Potenza, per ricongiungersi poi con la Bat. 

Nella Provincia di Foggia aveva sede il Tribunale della Dogana, Istituzione che ha segnato nei secoli il ruolo delle fiorenti economie armentizie tracciato dalla trama dei tratturi della transumanza, una storia nobile ed antica che questa Istituzione continua a promuovere. 

Ecco, tutti questi valori sono andati gradualmente e progressivamente svanendo, forse a causa di una contaminazione culturale negativa che viene da lontano e che ha generato sentimenti di abbandono insieme alla perdita di quel senso di appartenenza che costituisce in ogni apparato sociale il profilo della sua comunità.

Gli analisti che hanno affrontato negli ultimi due decenni l’andamento della qualità della vita nelle città della Capitanata che potrei qui citare, sono tutti, davvero tutti concordi nel ritenere che siamo di fronte ad una forma di sviluppo inceppato che attraversa, in lungo e in largo, questa terra, causato anche, non del tutto, da una scarsa attenzione dei poteri pubblici, nessuno escluso, a valorizzare queste risorse.

Dunque, il tema di fondo riguarda e richiama la classe dirigente, ai vari livelli, in buona parte sottomessa ai cosiddetti ceti dominanti. E nessuno, dico nessuno può chiamarsi fuori dal peso delle responsabilità che sono politiche, sociali ed economiche.

Tutto questo ha creato un terreno fertile per un balzo in avanti, che è ormai strutturale, dei poteri criminogeni che oggi chiamano Quarta Mafia.

Un marchio che considero infamante, che la gente operosa che abita la Capitanata, rigetta come è giusto che sia.

E tuttavia, questa parola rischia di diventare un tratto distintivo che offusca le immense qualità generose delle popolazioni che ogni giorno continua a rendersi protagonista di un conflitto sociale che sembra non avere precedenti come la storia descrive.

Un quadro a tinte fosche, un allarme sociale spaventoso, in cui anche gli effetti mediatici hanno avuto il loro peso.

Un inarrestabile declino dunque.

A cascata sono venuti gli scioglimenti per infiltrazione mafiosa di molti, troppi Enti Locali.

Mattinata, Monte Sant’Angelo, poi Manfredonia quindi Foggia, il secondo

Capoluogo di Provincia dopo Reggio Calabria a subire l’onta dello scioglimento

della sua Assemblea elettiva. 

Ne è derivato il caos, con la Procura e la squadra Stato che hanno blindato le nostre città in cui oggi predomina la paura perché si spara ogni giorno e i morti ammazzati sono lì a testimoniare la gravità del contesto che è sotto gli occhi di tutti.

La politica, voglio dirlo senza remore, ha le sue responsabilità, non possiamo nasconderlo. Alcune reticenze, alcune contiguità, anche una scarsa attività del sistema della politica a capire uno stato di cose che deve far riflettere.

Non da meno però pesano quelle dei comparti economici che hanno assistito a questo sfascio sociale che ha contagiato soprattutto le giovani generazioni.

 

Devo dire che anche la Magistratura ha dovuto riconoscere che c’è stata in passato una grave sottovalutazione del fenomeno.

Non è questa un’esternazione ad effetto personale. 

Lo ha detto a Foggia il dottor Giovanni Melillo, nuovo Procuratore Nazionale Antimafia, nel pomeriggio del 18 luglio intervenendo con i Procuratori della Repubblica Renato Nitti di Trani, Roberto Rossi di Bari e Ludovico Vaccaro di Foggia.

Guardate Foggia com’è ridotta oggi. 

Un cumulo di rifiuti, strade dissestate come se fossimo a Beirut, quartieri bui, servizi sociali inesistenti, persino le scuole materne comunali hanno quasi chiuso i battenti, complice una miope visione della Commissione Straordinaria

che regge le sorti di quel Palazzo.

Una città sporca, degradata, che sembra aver perso anche i caratteri più elementari della civiltà, perché dilaga un’illegalità diffusa, il pizzo sembrerebbe una pratica molto corrente secondo i dati della Fondazione Buon Samaritano e nei quartieri delle periferie si vive come in un Bronx, simbolo di inabitabilità.

E tutto intorno, un quadro omertoso sembra tacitare i genuini tentativi che pure

di tanto in tanto albeggiano, perché non dimentichiamo che molti omicidi sono rimasti impuniti: la conoscete la storia di Francesco Marcone!

Adesso, la domanda che qui tutti abbiamo il dovere di porci è come possiamo

aiutare la Capitanata a risollevarsi da una condizione di degrado che è andata ad instaurarsi nelle sue contrade, avvelenando il quotidiano delle sue comunità, privando i suoi figli della speranza di un domani più sereno.

Fosse per me inizierei con una attenzione mirata sul versante culturale e sociale che accompagni l’azione preventiva e repressiva che lo Stato porta avanti.

Questo significa spostare risorse, iniziative, attrarre interventi per forme di nuovi insediamenti che sviluppino lavoro, perché si è capito che senza un intervento di questa natura il domani sarà sempre condizionato dai poteri forti.

Serve, al fianco dell’azione delle autorità preposte a garantire l’ordine pubblico, salvaguardare la sicurezza dei cittadini, adottare, non saprei dire meglio, una forma di tutela che aiuti questa terra a tirarsi fuori da una strada buia e ripensi

le ragioni di uno sviluppo che si è fermato, soprattutto sui grandi nodi.

Penso, signor Presidente, che serva a tutti noi un nuovo modo di guardare la Capitanata perché la parola crescita va puntata a partire da quel che si ha e non da quel che si potrebbe avere. 

Un lavoro difficile, di nuovi contenuti che riesca ad intercettare la capacità di mettere in rete alcune parole chiave, perché la nostra è una terra di mare, di sole, di vento, ma anche di cultura, di turismo, una terra in cui è naturalmente possibile invertire la rotta di un progresso che sembra essersi fermato.

Abbiamo oltre 7 mila chilometri quadrati di superficie con una popolazione che supera i 600 mila abitanti. 

L’Ofanto, il Fortore, il Cervaro, il Carapelle e il fiume Candelaro bagnano la Daunia. 

Abbiamo il maggior lago costiero italiano, Varano, che è anche il più grande dell’Italia meridionale. Abbiamo Bosco Quarto, la Foresta Umbra con le sue faggete patrimonio dell’Unesco.

Abbiamo la Selva dell’Incoronata, ma che è anche il più grande Bosco di pianura d’Europa. Una risorsa dimenticata.

Nella nostra provincia il parco nazionale del Gargano è classificato trai parchi più belli d’Italia, uno spettacolo per gli occhi.

Siamo appunto, lo ripeto, abitanti di una terra di mezzo, siamo il nord del sud, una sorta di Mezzogiorno d’Europa.

Credo si possa ripartire da qui, magari riprendendo una grande intuizione politica di un personaggio che ha segnato la nostra storia lasciando un ricordo

generoso del suo impegno.

Parlo di Antonio Pellegrino, presidente della Provincia di Foggia, politicamente

riconducibile al cammino riformista che quel governo tentò di affermare.

Fu lui che parlò della grande Daunia, un progetto ambizioso ma che aveva una

centralità innovativa, aveva una visione, aveva compreso che la Capitanata poteva andare oltre, recuperando antiche strategie che un tempo sono riuscite a scandire momenti significativi di civiltà e di progresso.

Dunque non basta, non può bastare registrare i numeri di un turismo in crescita, di un’agricoltura che ha numeri importanti soprattutto nelle filiere del grano e dei prodotti ortofrutticoli, se poi in questa terra i grandi investimenti vengono respinti dal grado di pericolosità ambientale che si è venuto a determinare negli anni. 

La Capitanata ha bisogno di altro per uscire dal tunnel. 

Lavoro, lavoro, lavoro ed insieme una grande rivalutazione identitaria che non può non passare che attraverso due versanti, quello della cultura e quello della

legalità sui quali noi possiamo e dobbiamo investire di più.

Dice Gibran che “nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia perché oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta”

Io voglio crederci, sono certo, come tanti di voi in quest’Aula ci credono, perché non è tanto importante aver provato e fallito, quanto capire ciò che è possibile ancora fare.

Per questo siamo qui.

comunicato

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