L’ADL del 23 febbraio 2023

L’Avvenire dei lavoratori

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23 febbraio 2023 – e-Settimanale della più antica testata della sinistra italiana

Organo della F.S.I.S., Centro socialista italiano all’estero, fondato nel 1894 / Direttore: Andrea Ermano

Redazione e amministrazione presso la Società Cooperativa Italiana – Casella 8222 – CH 8036 Zurigo

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IPSE DIXIT

 

Ascanio e Catone – «Meglio un poco tardi, che un poco male: “Sat cito, si sat bene”». – Giordano Bruno                                                                                                       

 

Ciao, Giorgio – «Fermare la distruzione del capitale naturale è il primo comandamento della sopravvivenza umana». – Giorgio Ruffolo

              

   

Su Radio Radicale

 

Giorgio Ruffolo (1926-2023)

 

 

La politica, il socialismo, la sinistra, l’ambiente, le riforme istituzionali – Puntata di RR curata da Aurelio Aversa venerdì 17 febbraio 2023 e dedicata a “Giorgio Ruffolo, la politica, il socialismo, la sinistra, l’ambiente, le riforme istituzionali”. > Ascolta sul sito di RR: Tra gli argomenti discussi: Ambiente, Governo, Parlamento, Partiti, Psi, Riforme e Riformismo, Sinistra, Socialismo, Teorie dello Stato e della Storia, Unione Europea.

           

     

EDITORIALE

FINE DELLA STORIA 2.0

 

Verrà un giorno in cui “L’Avvenire dei lavoratori” dovrà mettersi una mano sulla coscienza per ribattezzarsi in “La Crescita del Capitale”? Onestamente, crediamo di no. Ma riflettere sui futuribili è esercizio necessario. Che qui tentiamo prendendo le mosse da un nuovo “manifesto” sulla sinistra italiana.

 

di Andrea Ermano

 

C’è una ripresa del dibattito sulla fine della storia. Che se poi la storia non è finita, argomentano gli esperti, occorre quanto meno ammettere la conclusione della vicenda di contesa tra i due eterni duellanti, il capitalismo e il socialismo, scrivono. Per un verso il capitalismo ha vinto e stravinto; per l’altro verso il socialismo è morto e rimorto, dicono.

    Così dicono e così scrivono, ormai da decenni.

    Domandiamoci, dunque, se non si avvicini il momento in cui ci si chiederà di ribattezzare in un modo più ‘realistico’ questo nostro L’Avvenire dei lavoratori. E, per ipotesi, immaginiamoci che qualcuno ci proponesse di chiamarlo La Crescita del Capitale. Perché, come dicono e scrivono, il capitalismo trionfa, anche se – avverte Felice Besostri – mai così tanti lavoratori hanno camminato sul pianeta Terra. E questo è un fatto.

    Però, se quel giorno arrivasse, quello in cui si cambiasse nome e si rimuovessero i “lavoratori” dalla nostra testata, ci piacerebbe poterlo comunicare sui paginoni dei giornaloni del capitalismo. Perché a poco varrebbe che sui piccoli giornalini del socialismo si ammettessero i fasti e, rispettivamente, i nefasti dell’un duellante o dell’altro.

    Ma, come al solito, siamo in ritardo. Ci ha preceduti Antonio Polito che proprio di questo parla sul Corriere della sera in un’ampia e interessantissima recensione del libro di Aldo Schiavone recante il titolo Sinistra! – Un manifesto (Torino, 2023).

    Che in questo saggio einaudiano si invitino i progressisti a prendere atto del trionfo del Capitale, è subito dichiarato dalla copertina del libro: «Al pensiero progressista serve una rottura radicale. Con al centro una nuova idea di eguaglianza – svincolata dalle rovine del socialismo». Rovine evidentissime, certo, ma siamo sicuri che esse riguardino ‘solo’ il socialismo, come paiono suggerire Schiavone e Polito, transitati dal PCI al progressismo senza fermate intermedie?

   

 

Certo, c’era una volta il socialismo democratico, ma si diceva che fosse deceduto da almeno cent’anni. A dirlo furono soprattutto i comunisti, costruttori del cosiddetto “socialismo reale”, frattanto crollato anch’esso con la demolizione del Muro di Berlino e la fine dell’URSS.

    Certo, poi negli anni Trenta si parlò anche di “socialismo liberale”, al cui ritrovamento tante formidabili energie ha dedicato uno storico leader del PSI come Valdo Spini. A lui dobbiamo il rinascimento di attenzione per i fratelli Rosselli dentro l’orizzonte delle culture politiche italiane.

    Come si sa, Carlo e Nello Rosselli vennero assassinati in Normandia per mandato mussoliniano durante l’esilio. Ma fu proprio un altro socialista liberale, il presidente Roosevelt, a sgomberare l’Italia e non solo l’Italia dal nazi-fascismo. Aveva a fianco una first lady della statura morale e intellettuale di Eleanor Roosevelt, che per inciso, sotto Kennedy, fonderà la Commissione presidenziale sulla condizione delle donne. Senza contare che, all’indomani della Seconda guerra mondiale, Eleanor aveva condotto a compimento la stesura della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.

 

 

    Orbene, tutto questo socialismo umanitario, democratico e liberale – con le sue germinazioni e propaggini di sindacalismo, laburismo, antifascismo, femminismo, terzomondismo, pacifismo eccetera eccetera – era dunque soltanto il sogno di una cosa? Parabola ormai remota che si chiude come il primo romanzo pasoliniano sulla “migliore gioventù al di qua del Tagliamento”?

    È la Grande Obliterazione – dunque – ciò che si reclama sui giornaloni asseverando ancora una volta per la prima e per l’ultima volta la fine definitiva del Socialismo e il trionfo indiscutibile del Capitalismo?!

    Ne stiamo parlando in redazione durante le nostre riunioni e, sulla linea di ragionamento che abbiamo imboccato, ci siamo trovati a incrociare anche il celeberrimo Max Weber, per il quale il capitalismo si può intendere come uno specifico amore del profitto, che si rinfocola nella vocazione per il reinvestimento del Capitale finalizzato al suo ininterrotto auto-accrescimento.

    Qui, dietro una interpretazione forte di Nietzsche, traspare lo sfondo romantico per non dire faustiano: Max Weber legge il capitalismo come una volontà di potenza, una potenza che desidera eternamente sé stessa, un desiderio che senza sosta vuole il proprio incremento infinito.

    Ma in questa sua fame di infinito il Capitale pare potersi accrescere lungo due direttrici fondamentali:

    1) L’acquisizione della proprietà dei mezzi tramite i quali gli umani possono produrre la ricchezza: terre, materie prime, dispositivi della scienza-tecnica, sistemi di controllo e di distribuzione.

    2) L’esazione della ricchezza che gli umani in quanto produttori, controllori, ricercatori e consumatori generano in forme e in misure variabili dovendo utilizzare i mezzi di cui sopra: ecco il famoso profitto in cui il Capitale tende ad accrescere sé stesso.

    Probabilmente non vedete più le masse delle mondine chine in risaia da un lato e il “Sciur Padrun da li beli braghi bianchi” dall’altro. La divisione internazionale del lavoro, capace di dislocare/delocalizzare segmenti o settori di produzione diversi in paesi e addirittura in continenti diversi, facilita la confusione delle idee sul piano pratico e anche su quello teorico.

    Fatto sta che questi pensieri sulla fine della storia ci risospingono dentro all’antitesi tra le “forze produttive” (1) e i “mezzi di produzione” (2), cioè dentro un contesto classico, quant’altri mai, della teoria marxiana. Che resta difficile da ‘superare’ prima d’averne realizzate le istanze di giustizia e di libertà per tutte/i.

    In conclusione, il compito storico continua a stare lì: è la bersaniana “mucca nel corridoio”, e noi continuiamo come ragazze/i un po’ immature/i a far finta di non vederla, nell’illusione di poterlo attraversare, quel corridoio, come se la mucca non fosse niente.

 

Domanda alle lettrici e ai lettori di questa Newsletter: secondo voi verrà un giorno in cui “L’Avvenire dei lavoratori” si dovrà onestamente ribattezzare “La Crescita del Capitale”? Non sembri una mera battuta. Siete pregate/i di scriverci. Grazie.

   

       

SPIGOLATURE

 

senza controllo

delle armi nucleari?

 

di Renzo Balmelli

 

SUPREMAZIA. Quando si ignora l’avvertimento di non toccare i fili, ci si fa del male. Nel sospendere unilateralmente l’attuazione del trattato New Start con gli Stati Uniti, il leader russo seppure in teoria i fili li tocca e valica un confine invalicabile. L’accordo tra Mosca e Washington per la riduzione reciproca delle armi nucleari strategiche, di fondamentale importanza, è stato voluto e negoziato per non trasformare il pianeta in tante Hiroshima e Nagasaki sotto una coltre di polvere radioattiva. Non c’è bisogno di dirlo, ma un mondo senza controllo delle armi nucleari sarebbe molto pericoloso e instabile, con conseguenze potenzialmente catastrofiche. In linea ufficiale sono nove i paesi che possiedono l’atomica: Russia, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan. Corea del Nord e Israele. Nei loro arsenali sono stipati, secondo varie stime, circa 13 mila testate. Numeri che però vanno presi con le molle non sapendo con esattezza quante siano in verità. Sulla lunga e tortuosa strada verso il disarmo sono dunque proprio i trattati come il New Start a rappresentare una valvola di sicurezza per l’intera umanità. Metterli in discussione è una mossa che molti osservatori guardano con preoccupazione. Il principio che stava alla base dell’equilibrio del terrore è un residuo della guerra fredda che andrebbe lasciato dov’è, sepolto nei ripostigli della storia.

 

NOTTE. Si vis pacem para bellum: “se vuoi la pace prepara la guerra”. No, mai e poi mai. Gettiamo una volta per tutte nell’immondizia l’antica e subdola locuzione. Di ben altro abbiamo bisogno per tenere unita l’umanità. Farsi imporre le regole impietose della Realpolitik non aiuta in nessun modo a comprendere e apprezzare maggiormente la pace. All’opposto di quanto asseriva von Clausewitz non è vero che la guerra sia la prosecuzione della politica con altri mezzi. Lo si vede ed è uno spettacolo indegno. Nel seguire da Monaco a Kiev, passando per Varsavia, le mosse della diplomazia per uscire dal pantano ucraino in cui ci ha gettato il Cremlino, si capisce fino a che punto possano portare le quotidiane miserie del potere. A volte, fatte le debite differenze, sembra di compiere un lungo, gelido viaggio al termine della notte. Ma senza la prosa di Céline.

 

ONERE. A un anno dalla deprecabile invasione russa, la diplomazia sembra avere innestato la “quarta” per non cadere nel baratro di una terza guerra mondiale. Con la sua inattesa missione a Kiev dall’altissimo significato simbolico, Joe Biden ha indicato una possibile via d’uscita senza tuttavia concedere attenuanti a Putin. A costui incombe, infatti, l’onere morale di porre fine alle ostilità che ha scatenato contro un paese sovrano in spregio al diritto internazionale. Chi tuttavia si aspettava anche solo un minimo cenno di distensione da parte di Mosca, sarà rimasto profondamente deluso. Uno stretto collaboratore dello Zar ha già lasciato intendere che le armi taceranno solo quando il governo di Kiev firmerà quanto gli viene chiesto di firmare: ossia la capitolazione. Il losco tentativo di stravolgere la narrazione ha il solo scopo di fare dimenticare chi è l’invasore e qual è la nazione invasa. Attraverso l’uso ingannevole dei mezzi di comunicazione Davide e Golia si invertono i ruoli.

 

SCINTILLE. Nel balletto diplomatico che ancora non ha il ritmo di un valzer viennese, anche la politica italiana sta cercando di ritagliarsi un ruolo che non sia solo da comprimario. Operazione non semplice da condurre in porto considerati i litigi nella maggioranza. Con Giorgia Meloni su tantissimi argomenti siamo agii antipodi e il giudizio rimane critico. A Varsavia assieme ai partner polacchi ha ribadito la sua visione di un’Europa delle patrie sovranista, impossibile da condividere. Una volta a Kiev, dopo dieci ore di treno sferzate da un vento gelido, la musica però è cambiata. Era quindi scontato che l’appoggio indiscriminato alla causa dell’Ucraina provocasse forti scintille tra coloro che il Figaro, non proprio un giornale di sinistra, ha definito i suoi alleati “partner infrequentabili di coalizione che sguazzano nel sostegno a Putin”. A destra è in voga il termine rosiconi per indicare la sinistra sconfitta. Dopo la staffilata dal quotidiano francese è altamente probabile che ora a ‘rosicare’ nei corridoi di Palazzo Chigi siano in tanti.

     

economia

 

L’oro e la nuova

moneta internazionale

 

I media occidentali sono talmente impegnati ad analizzare gli andamenti dello scontro militare in Ucraina da sottovalutare quanto sta avvenendo in altri settori strategici, ad esempio quello monetario… 

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all’economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 

Qualche settimana fa si era evidenziato come, in alternativa al dollaro, la Russia, la Cina e altri Paesi stessero discutendo di una nuova moneta internazionale per regolare i propri scambi commerciali e altre operazioni finanziarie. In particolare, si segnalava la proposta del noto economista russo Sergey  Glazyev che prefigurerebbe una moneta basata su un paniere di valute, tra cui il rublo e lo yuan, ancorata al valore di alcune materie prime strategiche, incluso l’oro. 

    Durante il 2022, l’inasprimento delle sanzioni occidentali nei confronti della Russia ha indotto Mosca a preferire altri partner economici come la Cina, l’India, l’Iran, la Turchia, l’Egitto, gli Emirati arabi uniti, ecc. Con ciascuno di loro, la Federazione russa ha un surplus commerciale. Secondo le stime della Banca centrale russa, nel periodo gennaio-settembre 2022 esso sarebbe di 198,4 miliardi di dollari, cioè 123,1 miliardi in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

    L’ammontare indubbiamente non compensa quanto si è perso nei commerci con l’Europa e con l’intero Occidente, ma rappresenta uno sviluppo alternativo. Detto ciò il cambiamento ha spinto molti economisti russi e dei Paesi non ostili alla Russia a promuovere delle nuove proposte in materia monetaria.

    Lo rivela un recente articolo pubblicato sulla rivista russa Vedomosti da Sergey Glazyev, insieme a Dmitri Mityaev, segretario esecutivo del Consiglio scientifico e tecnico della Commissione economica eurasiatica. Vi si afferma che a settembre la Russia è diventata il terzo Paese al mondo nell’utilizzo dello yuan per i pagamenti internazionali. Lo yuan oggi rappresenta il 26% delle transazioni in valuta estera della Federazione Russa. Glazyev afferma che con tutti i partner commerciali c’è stato un grande utilizzo delle monete locali e, a seguito dei surplus, Mosca ha accumulato grandi quantità di tali monete nelle banche dei partner.

    Poiché si stima che l’accumulo di fondi in queste valute aumenterà in futuro e che esse potrebbero essere soggette a rischi di cambio e di possibili sanzioni, gli economisti russi propongono di cambiare questa massa di monete locali in oro. In parte sarebbe tenuto nelle riserve dei Paesi coinvolti e utilizzato per regolamenti transnazionali, scambi di valute e operazioni di compensazione, e in parte rimpatriato in Russia. 

    L‘analisi afferma, inoltre, che anche in Occidente si pensa che, a causa dei rischi finanziari, nel 2023 l’oro potrebbe diventare un importante strumento d’investimento, accrescendone il suo valore. Il che andrebbe a beneficio dei Paesi detentori del metallo prezioso. Le grandi riserve auree consentirebbero loro di perseguire una politica finanziaria sovrana e di ridurre la dipendenza dai creditori esterni.

    Glazyev afferma che la Russia ha già grandi riserve auree e valutarie. E’ la quinta al mondo, dopo Cina, Giappone, Svizzera e India, e davanti agli Stati Uniti. A livello mondiale il volume dell’oro accumulato sarebbe pari a 7.000 miliardi di dollari, di cui le banche centrali non avrebbero più di un quinto. Sarebbe in atto, secondo gli economisti russi, una vera e proprio corsa all’oro, tanto che nel terzo trimestre del 2022 le banche centrali avrebbero acquistato una quantità record di 400 tonnellate d’oro.

    La People’s Bank of China ha annunciato per la prima volta in molti anni che sta aumentando le sue riserve auree. La Cina è al primo posto nella produzione di oro e ne vieta l’esportazione. L’India è considerata il campione mondiale nell’accumulo di oro: più di 50.000 tonnellate in gran parte in mani private e molto meno nella Reserve Bank of India. Negli ultimi 20 anni, il volume dell’estrazione dell’oro in Russia è raddoppiato, mentre negli Stati Uniti si è quasi dimezzato.

    A Mosca, però, tale politica non avrebbe un completo sostegno, tanto che Glazyev attacca la Banca centrale perché per essa l’acquisto di oro provocherebbe un’eccessiva monetizzazione dell’economia.

    Si potrebbe, quindi, dire che non è tutto oro ciò che luccica, ma sarebbe miope non analizzare quanto scritto in Vedomosti e quanto accade in molti Paesi. Nel mondo delle monete, il ruolo dell’oro sta ritornando al centro delle discussioni. È un fatto!

       

         

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.collettiva.it

 

la QUINTA RIVOLUZIONE

Gli impatti del digitale sul lavoro

 

Ora più che mai occorre vigilare sulle tecnologie affinché si attui un’innovazione “responsabile”, con particolare riguardo allo (stra)potere di algoritmi e piattaforme…

 

di Fulvio Ananasso *)

 

L’economia digitale è dominata dalla scienza dei dati, una sorta di quinta rivoluzione IT dopo il mainframe computing (anni Sessanta), il personal computer (anni Ottanta), internet/web 1.0 (anni Novanta) e web 2.0/social networking (anni Duemila). Quella che Luciano Floridi definisce la quarta rivoluzione industriale dominata dallo onlife e della hyperstoria.

    Le soluzioni internet of things (IoT), big data, cognitive computing, artificial intelligence (AI) e blockchain pongono nuove sfide etiche relativamente alla profilatura d’utente e gestione dei dati – personali e non.

    Citando John Naisbitt: “Per la prima volta abbiamo un’economia basata su una risorsa chiave – le informazioni – che non solo è rinnovabile, ma che cresce con il suo utilizzo. Non si corre il rischio che si esaurisca, ma di esserne sopraffatti”.

    In effetti, fino agli anni Sessanta il progresso tecnologico è stato funzionale alla ricostruzione del dopoguerra, mentre il trentennio successivo ha visto un prorompente sviluppo ICT (information & communication technologies), che ha dato impulso a nuove forme d’interazione sempre più diffusa delle persone con le tecnologie emergenti, culminato alla fine del secolo scorso con la messa a disposizione di tutti di reti e servizi internet senza alcuna riserva o cautela.

    Successivamente, con l’avvento della scienza dei dati e relative implicazioni (profilatura, sistemi predittivi, AI), il valore delle informazioni non risiede più nel loro solo scopo primario, ma anche (e soprattutto) negli utilizzi secondari.

    La Rete può costituire un potente motore di sviluppo e creazione di nuova occupazione, purché si mettano al centro etica e bene comune per uno sviluppo socio-economico e ambientale sostenibile. Gli algoritmi sono non solo nei sistemi software di gestione delle attività aziendali, ma sempre più decidono impersonalmente le interazioni con le persone e le relazioni di “lavoro”.

    È importante il rispetto delle norme che richiedono che l’ultima parola su temi etici rilevanti – tra cui quelli relativi al lavoro – sia di umani, non algoritmi – “human in/on the loop”.

    Papa Francesco ha sottolineato il 14 novembre 2019 la necessità di un approccio etico agli algoritmi: “Le possibilità della tecnologia sono sempre più elevate. […] Faccio quindi appello agli ingegneri informatici, perché si sentano anch’essi responsabili in prima persona della costruzione del futuro […] Tocca a loro, con il nostro appoggio, impegnarsi in uno sviluppo etico degli algoritmi, farsi promotori di un nuovo campo dell’etica per il nostro tempo: la algor-etica”.

    Le nuove forme di lavoro ai tempi di internet riguardano oggi attività quotidiane di miliardi di utenti online, spesso in assenza d’inquadramenti salariali e protezioni normative. Per un numero crescente di lavoratori, semi-professionisti, persone in cerca d’impiego, semplici utilizzatori, il lavoro passa dalle grandi “piattaforme” digitali, che possiedono la capacità di gestire sia lavoro esplicito e frammentato di quote crescenti di lavoratori più o meno precarizzati (logistica, produzione intellettuale, micro-lavori ‘gig’, generazione like), che lavoro ‘implicito’, più o meno volontario e non retribuito degli utilizzatori, che tutti facciamo addestrando i sistemi d’intelligenza artificiale con i nostri like, re-Captcha o fornendo gratuitamente contenuti mediante user generated content (UGC), spesso strumentalizzando a fini commerciali i termini ‘condivisione’, ‘collaborazione’.

    Da qui le diverse forme d’impiego e i conflitti generati dall’utilizzo delle piattaforme, nuove forme di organizzazione sociale (“capitalismo delle piattaforme”) con scenari incerti per il “futuro del lavoro” più che per il “lavoro del futuro”. Per poter essere “consum-attori” consapevoli nel dispiegamento di ecosistemi digitali intelligenti e, al tempo stesso, etici e socialmente responsabili, e gestirne i processi e le implicazioni sociali, occorrono competenze specifiche e trasversali, incluse quelle relative agli “algoritmi” di apprendimento automatico/AI – eXplainable Artificial Intelligence (XAI).

    Occorre vigilare su tali algoritmi, anche per contrastare sbilanciamenti di potere contrattuale “piattaforme-individuo” (nuovi lavori). Occorre attuare una innovazione ‘responsabile’, con particolare riguardo alla tutela dei dati personali/diritto alla privacy nelle nuove frontiere della scienza dei dati, e alla vigilanza sullo (stra)potere degli algoritmi e piattaforme per la salvaguardia dei diritti degli utenti e dei (nuovi) “lavoratori” del settore, specialmente le categorie più deboli e meno scolarizzate. Vigilare quindi su temi quali minacce di sfruttamento lavorativo (ai limiti della schiavitù) di categorie con poco potere contrattuale, possibili spaccature sociali tra gli ‘ultimi’.

    C’è infatti il serio problema dei potenziali costi sociali indotti dall’innovazione tecnologica. Le nuove tecnologie nel breve/medio termine riducono i posti di lavoro (soprattutto quelli di bassa specializzazione), ancorché una formazione ICT specifica dovrebbe aprire, nel medio/lungo termine, nuove opportunità nei settori emergenti (Impresa 4.0, robotica, intelligenza artificiale, data science), aumentando le possibilità di nuova occupazione, come generalmente accaduto nelle grandi trasformazioni sociali precedenti. Tali trasformazioni hanno però spesso comportato periodi transitori (più o meno lunghi e tragici) di assestamento, con moti di piazza, repressioni.

    È pertanto necessario che si instauri una vigilanza “sociale” affinché l’etica dei comportamenti prevalga su opportunismi egoistici e rischi di sfruttamento e sopraffazione dei più deboli. Piattaforme, algoritmi, giganti del web stanno infatti creando mercati del lavoro fortemente instabili e precari, basati sulla totale e incondizionata disponibilità a fornire prestazioni e “micro lavori” al limite dello sfruttamento. I nuovi lavori “on-demand” della sharing economy (Uber, Airbnb, gig economy), se da un lato creano nuove occupazioni sfruttando l’innovazione, dall’altro sollevano quesiti ansiogeni circa la qualità e le protezioni del posto di lavoro del futuro.

    E ancora: estremamente rilevante è il tema della sorveglianza. Circa il 90% degli utenti internet nel mondo (~4 miliardi di persone) viene monitorato in modo automatizzato grazie all’Intelligenza artificiale, attraverso la loro geo-localizzazione e sentiment analysis sui dati e relazioni sociali estratti dai social media. Le informazioni raccolte hanno un valore enorme, oltre che per le forze dell’ordine e agenzie di intelligence, per il controllo delle prestazioni ed efficienza lavorativa.

    Infine, il tema delle disuguaglianze sociali. Una società equa e inclusiva deve mirare a combatterle (vedi Forum Disuguaglianze e Diversità), e l’innovazione tecnologica è (o dovrebbe essere) intrinsecamente adatta a fornire gli strumenti adeguati a contribuire al benessere di tutti e ridurre le disuguaglianze nelle e tra le nazioni, come recita anche il goal #10 dell’Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile.

    Al contrario, purtroppo, il potere delle “piattaforme” sembra concentrare sempre più le ricchezze nelle mani di pochi, e ridurre il numero degli occupati. I big tech GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft), oltre capitalizzare in Borsa quanto il quinto Pil mondiale dopo Stati Uniti, Cina, Giappone e Germania, e fatturare cumulativamente più del pil svizzero, impiegano tutti insieme meno di 2 milioni di lavoratori. Molti di essi a bassa competenza (come la logistica di Amazon, sempre più automatizzata e affidata a robot ‘human-assisted’), pochi ad altissima preparazione tecnologica (data management, intelligenza artificiale), mentre i livelli intermedi soffrono di marginalizzazione professionale e salariale.

    Il mondo sta cambiando così rapidamente grazie alle tecnologie che occorre fermarsi a riflettere sull’esigenza di un afflato “umanistico” piuttosto che (solo) ingegneristico – troppa tecnologia “acritica” rischia di stritolarci. Occorre al riguardo porre enfasi non solo sulla formazione STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) ma anche MESH (Media literacy, Ethics, Sociology, History), salvo correre il rischio di formare persone tecnicamente competenti e brillanti che non hanno però le capacità per la cittadinanza democratica. Citando il compianto Stefano Rodotà, “Non tutto ciò che è tecnologicamente.

 

*) Fulvio Ananasso è presidente di Stati generali dell’innovazione

       

           

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

FIBRILLAZIONI

 

Tensioni e malumori crescenti nella maggioranza arrivano da più parti. Dalla politica estera e internazionale e da quella interna… 

 

di Daniele Unfer

 

In particolare le parole di Berlusconi sulla guerra in Ucraina hanno creato un doppio fronte. Quello della risposta diretta di Zelensky e quello della stessa compagine di maggioranza che non ha ben accolto le esternazioni dell’alleato. “Io credo che la casa di Berlusconi non sia mai stata bombardata, mai siano arrivati con i carri armati nel suo giardino”, ha detto il presidente ucraino, come a dire che altrimenti il Cavaliere non avrebbe mai tuonato contro di lui pochi giorni fa. L’eco di quelle frecciate arriva immediato ad Arcore. Monta l’irritazione, ma per il momento nessuna risposta. Bocche cucite fra i fedelissimi del Cavalere ma a nessuno sfugge il contesto di quelle dichiarazioni. Uno scenario quasi bipolare. Da una parte il presidente del consiglio Meloni appena rientrata da Kiev dove ha ribadito il sostegno italiano e dall’altra Berlusconi che si posiziona fuori questo perimetro. Zelensky non si sottrae alle domande dei giornalisti sul Cavaliere. Ma quello che non va giù a molti, dentro Forza Italia, è la reazione della presidente del Consiglio: la sua difesa di Berlusconi viene percepita come troppo tiepida e poco esplicita. Parole che nascondono una doppia linea sull’Ucraina.

    Quello che si è visto è uno Zelensky scatenato contro Silvio Berlusconi quello che risponde alle domande della stampa italiana durante la conferenza con Giorgia Meloni. Il contrario di quello che aveva immaginato fosse il risvolto della sua visita in Ucraina. La premier aveva impostato questa visita su un altro profilo: massima, totale adesione alla battaglia di Kyiv, sostegno agli aiuti militari, rilancio di una conferenza per la ricostruzione. Tutto cancellato in pochi minuti. Anzi una faglia all’interno del centrodestra e della maggioranza. Altra faglia è quella sul superbonus. Il governo è alle prese nel cercare una soluzione per ridurre il danno. La cancellazione di una misura senza prevederne modifiche o sostituzioni con altre, ha creato solo sconcerto tra i beneficiari della misura stessa. A prescindere dall’impatto che questa stesse creando. Anche qui Forza Italia si muove in autonomia cercando una propria soluzione. Il partito azzurro infatti fin da subito ha avanzato una serie di richieste di modifiche e in mattinata ha incontrato alla Camera il presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili.

    Il Pd, per voce del vicecapogruppo alla Camera Piero De Luca, parla di “pasticcio” a proposito del decreto Superbonus e sottolinea il danno a imprese e famiglie con il rischio di una perdita di oltre 100mila posti di lavoro. Anche la Cgil è molto critica. “Il Governo cancella la possibilità di cedere il credito fiscale e di ottenere lo sconto in fattura non solo per il superbonus 110% – ora già 90% -, ma anche per tutti i bonus edilizi, energetici, antisismici e per quelli finalizzati alla rimozione delle barriere architettoniche, senza alcun confronto con le rappresentanze dei lavoratori e con i sindacati che tutelano gli inquilini”. “È il colpo di grazia agli interventi di riqualificazione, efficientamento e messa in sicurezza che colpisce, oltre al sistema produttivo – con la sicura chiusura di imprese e perdita di migliaia di posti di lavoro – i contribuenti con bassi redditi i quali, privati di questi insostituibili strumenti di sostegno reale, non potranno utilizzare la detrazione pluriennale, perché incapienti rispetto all’entità dei lavori. Insomma, condomìni e case popolari saranno di fatto esclusi, dopo i già restrittivi termini fissati in legge di Bilancio, da qualsiasi processo di riqualificazione del patrimonio”.

       

                  

L’Avvenire dei lavoratori – Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

 

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La critica

 

Sanremo: falsità e cattivo gusto

 

Le polemiche (o la pubblicità) relative al Festival di Sanremo non si sono ancora sopite e si continua a discutere di questo o di quello. Mi pare persino più degli anni passati. Di conseguenza, anch’io voglio esprimere le mie impressioni, tanto più che proprio tale Festival ha fatto un po’ parte della mia vita nonostante io non ami, escluse alcune eccezioni, la musica italiana.

 

di Renata Rusca Zargar

 

Quando ero piccola, mia madre e mio padre andavano in vacanza a Chianciano terme e succedeva che mi portassero anche alle serate dove si esibiva Tonina Torrielli, cantante prediletta da mia madre. Allora, non avevamo ancora la televisione e i miei genitori sentivano le canzoni solo alla radio.

Diventata un po’ più grande, le mie predilezioni sono andate senz’altro alla musica straniera, a cominciare dai Beatles per arrivare ai Pink Floyd, Led Zeppelin, Emerson Lake & Palmer e altre band.

    Eppure, da quando ne ho memoria, ho sempre ascoltato Sanremo, ogni anno, sia per trovare uno o due motivetti piacevoli da riascoltare che per curiosare in un mondo che un po’ mi appartiene come italiana.

    Così, quando è il momento, mi concentro per qualche giorno sullo spettacolo: ascolto i testi, le musiche, i comici, i personaggi importanti e ogni altra occasione di intrattenimento.

    Certo, per me passa il tempo e, forse, comprendo meno le novità, mentre il Festival è sempre giovane, sempre nuovo di zecca.

    Quest’anno, purtroppo, non ho trovato nessuna canzone che abbia parlato al mio cuore: mi ha dato l’impressione che, in generale, nonostante molti cantanti abbiano una bella estensione vocale, le parole siano state davvero misere.

    Mi ha colpita molto, ad esempio, che un’interprete capace come Giorgia sia stata mortificata da un testo con ridicole rimette (Parole dette male, appunto!) che se l’avesse scritto un alunno delle scuole sarebbe stato senz’altro bocciato.

    Ho ascoltato, comunque, con attenzione le prediche (i monologhi) che mi hanno insegnato a non essere razzista, a sentirmi libera e molto altro. Apprezzo queste lezioni generali da uno spettacolo definito “per famiglie”, così il popolino sicuramente ormai non sarà più sessista e non farà più distinzioni di colore.

    Il Festival, evidentemente, ha anche lo scopo di veicolare concetti per migliorare la società. Non saprei se lo scopo sia stato raggiunto o no; ricordo, però, il Festival di Fabio Fazio in cui davvero si poteva imparare qualcosa per stare meglio tutti insieme. C’era uno stile diverso, non vorrei dire più elegante o intelligente, forse più sincero e convinto.

    Pazienza, tutto va bene lo stesso.

    A distanza di molti giorni, però, ancora si dibatte specialmente su due episodi studiati appositamente per attirare audience e per continuare ad attirarlo anche per il futuro, magari per incuriosire già sulla prossima edizione.

    Uno appartiene al povero Blanco che ha preso a calci dei fiori e ha malmenato i musicisti che, nonostante la sua ira, evidentemente falsa, ridevano a crepapelle.

    Ora la critica severa ricade su di lui, sebbene sia stato tutto organizzato prima nei minimi dettagli, tanto è vero che la fiorista aveva tolto le spine alle rose perché egli non si facesse male!

    L’altro episodio meschino è il bacio tra Rosa Chemical e Fedez, unito allo scimmiottamento di un presunto atto sessuale.

    Tutti avevamo visto il bacio che si erano scambiati i Coma_Cose alla fine della loro esibizione: un atto di tenerezza che ben esprimeva le emozioni di una storia d’amore con le sue difficoltà.

    Fedez e Rosa, invece, hanno lanciato un messaggio di volgarità quasi ad affermare che una storia d’amore non possa essere altrettanto bella e dolce se si tratta di due uomini ma solo lasciva e oscena.

    Visto che il Festival è per “famiglie”, rincorrendo spasmodicamente l’ascolto, si è persa un’ottima occasione per far capire la verità a chi ancora ha delle remore sugli omosessuali. Le persone che amano persone dello stesso sesso di nascita hanno dei sentimenti grandi e puri come chiunque altro e non sono depravati sporcaccioni. Sperano e soffrono come tutti.

    I due cantanti in questione, tra l’altro, all’affannosa ricerca di popolarità, non sono affatto omosessuali e così facendo hanno offeso e danneggiato la comunità LGBT+.

    Sarebbe davvero stato un insegnamento nobile se un bacio affettuoso e dolce come quello dei Coma_Cose fosse stato scambiato tra due uomini o donne omosessuali.

    Tutti, infatti, culliamo in cuore gli stessi sentimenti, purché sinceri.

    Ma, forse, al Festival di Sanremo non lo sanno ancora.

   

        

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze

http://www.rosselli.org/

 

Martedì 28/2 – Spencer Scala

su: L’uomo che fece il fascismo

 

Martedì 28 febbraio 2023, alle ore 17

allo Spazio Rosselli, via degli Alfani 101r, Firenze

presentazione del libro di :

 

Spencer Di Scala

L’uomo che fece il fascismo.

Mussolini e l’ascesa del populismo

(Castelvecchi, 2023)

 

Interventi di:

 

·       Ariane Landuyt, Professore ordinario di Storia Contemporanea dell’Università di Siena

·       Sandro Rogari, Presidente dell’Accademia La colombaria

·       Valdo Spini, Presidente Fondazione Circolo Rosselli

 

Sarà presente e interverrà l’autore

 

Fondazione Circolo Fratelli Rosselli

Tel. +41 (0)55 2052966

Facebook: www.facebook.com/FondazioneCircoloRosselli/?ref=bookmarks

Instagram: www.instagram.com/fondazionerossellifirenze/?hl=it

Sito: www.rosselli.org/

Canale YouTube: www.youtube.com/channel/UCiXE1Q2EKLfmgR_UaMbIblw/videos

Twitter: https://twitter.com/RosselliCircolo

       

                          

Riceviamo da “Anbamed”, notizie dal Sud Est

del Mediterraneo, e volentieri segnaliamo

 

Turchia: la mannaia della

censura sulle tv critiche

 

Il Consiglio supremo delle comunicazioni radiotelevisive ha comminato sanzioni contro tre reti tv per aver diffuso critiche all’azione del governo, durante il terremoto.

 

Secondo un deputato dell’opposizione, membro dell’ente di controllo, la grave sanzione censoria consiste in una multa pecuniaria corrispondente al 5% delle entrate pubblicitarie del mese di gennaio e la sospensione per cinque giorni di alcune trasmissioni.

       

                      

L’Avvenire dei lavoratori – Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

 

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

SE NON MI SPIEGATE NON CI STO

 

Siamo in guerra da un anno e rischiamo il terzo conflitto mondiale. La guerra è presente in Congo, in Afganistan, in Siria, in Birmania, in Burkina Faso, in Iran, nella Palestina di un Medioriente sempre più allargato, in Pakistan, nei Balcani così vicini e già provati: ovunque rischia di degenerare. È arrivata in Europa, a dimostrazione che la democrazia è fragile e può essere contagiata dall’incapacità di controllare i conflitti con le armi civili del dialogo diplomatico preventivo. Impensabile diventare indifferenti alla minaccia nucleare per accettazione disinformata, non più innocente.

 

di Giancarla Codrignani

 

Sono ben consapevole di che cosa significa vivere nel 2023 d.C. e avere, a 92 anni, ricordi ben precisi di che cosa sia una guerra mondiale; e con la guerra – io non sono nessuno – ma dico che se non ci dite quale strategia si sta perseguendo non ci sto più. Vivo in Occidente, ne sostengo i valori e perfino le alleanze e le ragioni dell’Ucraina. Ma se i morti civili sembrano essere meno di 10mila, quelli militari, segretati da entrambe le parti, secondo un generale americano presente all’incontro di Ramstein del 20 gennaio, sarebbero, per i soli russi 188mila. Altrettanto per gli ucraini? Faremo entrare oltre ai Leopard anche l’aviazione nella guerra? in funzione difensiva? con il parere negativo del Pentagono? Con Stoltemberg che è andato in Estremo Oriente a vedere se il teatro del Sudest asiatico può essere compatibile con quello ucraino?

    Rischiare la terza guerra mondiale classica insieme con quella già in atto e ben definita dal Papa? La guerra come soluzione civile e non il perseguimento della pace?

    Non ci si può abbandonare a calcoli non argomentati: i vecchi sofisti insegnavano che si può vendere come migliore la proposta peggiore. I discorsi politici e i resoconti giornalistici finora si convincono che proseguire la guerra non peggiora la situazione: l’ha detto anche Biden), ma gli scienziati calcolano i secondi sempre più ridotti all’orologio Armageddon.

    Ripeto che non ci sto. Non mi sento così subalterna al conformismo indotto da rinunciare alla mia intelligenza e alla mia conoscenza informata.

    Non sono nemmeno così pacifista da credere che l’Onu potrebbe dichiarare il disarmo universale, anche se farlo sarebbe nei termini del suo statuto. Purtroppo la guerra piace, soprattutto ai maschi. Se non piacesse, non si produrrebbero montagne di armi sempre più raffinate: oltre alle chimiche, biobatteriologiche, nucleari, di cui non si parla mai come non esistessero, sono tante le convenzionali: leggere, pesanti, marittime, aeree e terrestri, perfino nucleari miniaturizzate e droni; anche  armi elettroniche e satellitari, scese dai fumetti ad abitare le centrali strategiche pur di fare il peggior male possibile al “nemico” (che dal punto di vista suo pensa lo stesso di voi e vi spara), disposti a versare il sangue anche per patrie altrui, mentre potreste produrre effetti peggiori delle stragi, accecando ministeri, banche, ferrovie, ospedali e procurando al nemico un caos disastroso senza ricorrere al sangue. Invece aggiungete l’elettronica al sangue. I/le cittadini/e non possono sentirsi disertori se rifiutano di inviare armi finché non sanno una data dell’escalation. Sentire che la nonviolenza intelligente suggerisce altre strategie difensive non è disertare.

    Altrimenti teniamoci la guerra e le sue crescenti conseguenze: l’impoverimento dell’Europa, i danni alimentari all’Africa, la crescita della spesa militare a danno del welfare, l’accelerazione di ricerca e produzione di sistemi d’arma più sofisticati, il rischio del contagio con situazioni ancor più complesse che tenderebbero ad aggredire la Russia su più fronti.

    Davvero si aprirà un secondo anno di guerra senza sapere quanto durerà e quali decisioni vengono prese nel silenzio sostanziale di chi non va oltre l’invito – amici che accusate Putin, non ricordatemelo ancora, sono d’accordo con voi – a difendere l’Ucraina? Credo di non essere la sola a volere una risposta previa il 24 febbraio. Ragionata, perché il paese sappia.

    Fino alla fine della prima guerra mondiale la guerra era un valore in sé: in tutti i paesi del mondo, esisteva, impunemente, il “Ministero della guerra”. Dopo la seconda mondiale, quando si disse mai più, tutti si adeguarono: Ministero della Difesa. La parola guerra non è più amabile, mentre la difesa, rappresenta il desiderio di pace universale, paradossalmente: vale finché nessuno offende, ma se c’è un’offesa, si mettono in allerta le Forze Armate. Tra gli individui si privilegia la prudenza: se non tutti ci amano, almeno teoricamente si suggerisce di evitare la violenza e l’individuo si difende con i tribunali. Abele fu ucciso perché Caino era un cacciatore in conflitto con i raccoglitori stanziali; così i fratelli divennero nemici, un’invenzione dovuta alla paura, che non giustifica l’odio. Ma la perversione della logica amico/nemico è rimasta a livello incivile e il settore bellico non ha mai avuto cassa integrazione.

    Il 24 febbraio 2022 la Russia è entrata in territorio ucraino: tenendo conto della sproporzione tra il paese offeso e il continente russo che dagli Urali arriva al Pacifico, forse era il caso di chiedere immediatamente conto all’invasore delle sue intenzioni e all’Europa di farsi mediatrice. L’attentato russo all’indipendenza ucraina è stato un’inaccettabile sfida alla libertà comune.

    Forse qualcuno riteneva la Russia un paese liberale? Si è forse sfidato Putin nel 2006 in difesa di Anna Politkovskaya e dei ceceni? E’ noto che Putin con lo stato di diritto non ha molto a che vedere: dal 1999, anno della sua prima elezione (23 anni fa) continua a governare e ha addirittura riformato la costituzione per restare al potere fino al 2036. Potrebbe doversi dimettere? difficile, ma potrebbe: cambierebbe qualcosa con i boiardi? Contestualmente l’Europa, tranquilla, prelevava rifornimenti di gas e li pagava a Putin. In Russia c’è un’opposizione: vero, ma non è nata dalla guerra ucraina e, per ora, è ben lontana da pensarsi maggioranza.

    La storia russa non è storia di poteri flessibili, neppure in campo religioso. Agli zar è succeduto Stalin. La mancanza di quell’educazione alla libertà che precede la voglia di democrazia era pensabile solo dall’élite che ospitava Voltaire nel ‘700, ma oggi è la dimostrazione più evidente del fallimento comunista. Tuttavia nessuno si augura la rottura del mosaico che, unito sotto lo zar e l’Urss, dopo Gorbaciov, costituisce la Federazione Russa, lo Stato più grande del mondo in cui vivono entità e lingue diverse: chi va in Tatarstan incontra russi con gli occhi a mandorla, ricordo di Gengis-Khan. Il turista trova il McDonald russo compatibile con l’Occidente e non vede che la Russia è diversa, è Oriente, come noi siamo Occidente. La storia è iniziata con la fine del primo imperialismo, quando Roma non riusciva più ad amministrare le innumerevoli province e divise l’Impero d’ Oriente da quello d’Occidente: Costantinopoli e Roma. Quando i russi diventarono cristiani, scelsero l’ortodossia di Costantinopoli: Roma era diventata un’altra cosa, cattolica. Solo che, quando il principe Vladimir nel 988 decise la conversione, lo fece a Kiev, nell’Ucraina, evidentemente ritenuta russa anche nei secoli successivi. L’Ottocento, che è il secolo dei “risorgimenti” e dei tentativi dei popoli di rendersi autonomi, vide anche nostri patrioti partecipare alla guerra di Crimea, che oggi Zelinski considera territorio ucraino, come quando, nel 2014, sancì l’illegittimità del referendum sull’autonomia chiesto dalla Crimea. Sono stratificazioni di eventi che finiscono per alimentare nazionalismi, etnicismi e patriottismi esasperati (poi, ovviamente, le guerre), causati da continua mancanza di democrazia nei governi pur eletti democraticamente. Auguriamoci che l’Azerbaigian non attenda l’esito della questione ucraina per farci un suo pensiero.

    I problemi attuali si chiamano democrazia ’23. In questione è, in primo luogo, la conservazione della democrazia europea. E’ un problema di sicurezza: l’affideremo alla crescita degli armamenti in tutti i nostri paesi, bisogno piuttosto di accrescere i bilanci della sanità, della scuola, del lavoro, della cultura? La prospettiva dell’esercito europeo non va accantonata proprio per ragione di sicurezza. La Germania che non aveva ambizioni militari, ha messo 100 mld di investimenti in armi, la Francia idem e noi pure. Sicuri che è sicurezza?

    Bisogna applicare i diritti umani, fondamento assoluto dei principi di umanità e civiltà: il diritto internazionale, le giurisprudenze europee seguono in linea di principio la Dichiarazione universale die diritti umani. La guerra ne è la negazione di fatto.

    Infatti il problema della difesa è “di chi”. Se mi accorgo di un incendio: mi precipito con un secchio o telefono ai pompieri? L’opinione pubblica mondiale ha visto che la Germania ha ceduto sulla consegna dei Leopard perché costretta: il ritardo non era dovuto a egoismo nazionalistico o perché le frontiere tedesche sono le frontiere dell’Europa e il sospetto delle risposte da parte dell’onorabilità vendicativa putiniana fa paura. La responsabilità è di erodere i minuti all’orologio di Armageddon. Se la ministra della Difesa tedesca Christine Lambrecht ha dato le dimissioni – formalmente per quello che se ne sa, immotivate – ed è stata sostituita non da Eva Högl per equilibrio di genere, ma da Boris Pistorius, qualche problema risulta evidente. Lo stesso incontro Nato di Ramstein è sembrato abbastanza confuso, l’Italia si è impegnata a mandare il sistema di difesa aerea avanzato Samp/T portando a oltre il miliardo l’aiuto militare all’Ucraina, i governi dell’Ue non esprimono, però, loro scelte strategiche precise, i nostri generali nelle interviste non appaiono mai decisionisti e il Pentagono dà parere negativo alle scelte del presidente. I militari non lo diranno mai – avrebbero fatto un altro mestiere – ma per competenza hanno paura delle decisioni dei politici.

    La Nato, infatti non può sostituire la multilateralità. E la fedeltà agli Usa non coincide con gli attuali interessi elettorali degli Stati Uniti che – il dollaro non è al massimo del suo fulgore – finora hanno delegato la guerra e i suoi costi all’Europa, ma non prevedono gli umori del Congresso. Vogliono uno scontro tra le “grandi potenze”? Ormai tra le “grandi potenze” è entrata la Cina: Biden sceglierà di provocare Taiwan o fingerà di credere alla dichiarazione di “perseguimento della pace” scritta nelle conclusioni del Congresso del PCC (ottobre 2022) per usarne preventivamente alla prima minaccia per disinnescare le mine? La diplomazia c’è per questo, se ne ammette la riservatezza, non l’assenza di qualunque segnale positivo: dopo non si giustifica il rinvio al momento in cui le armi sparano da sole.

    Se, poi, ci sono incertezze sul piano della difesa, il punto di vista economico è chiarissimo: fortunatamente il momento presenta una ripresa del mercato, ma nessuno garantisce da una recessione. I prezzi crescono, i profughi sono respinti, aumentano le disuguaglianze, i governi parlano di altri “sacrifici”, i problemi energetici causano le peggiori prospettive perché incidono sia sui problemi ambientali urgenti per i quali non ci sono finanziamenti (mentre Biden stanzia 370 mld per le imprese in sostenibilità), sia perché la guerra è fonte massima di inquinamento. Inoltre a primavera come sarà possibile il lavoro agricolo nel “granaio europeo”? Dopo la rinuncia alle forniture russe, il governo Draghi aveva aperto le vie al mercato energetico alternativo e le missioni della presidente Meloni e del ministro Taviani in Africa proseguono nell’intento di reperire nuove fonti energetiche dai paesi petroliferi. Vogliamo riprendere il problema morale pur sapendo che in politica non ha nessun valore? come stanno i diritti umani, lo stato di diritto, le libertà democratiche in Libia, Egitto, Algeria, eventualmente Qatar?

    L’Ucraina è, comunque, un paese pieno di gente russa, che parla russo. Ormai è arrivato l’odio etnico come fu quello dei serbi in Kosovo. A fine guerra l’Ucraina rischia la guerra civile tra prevalenze di linguaggio. D’altra parte non sarà facile provvedere alla ricostruzione: toccherà a noi aiutare, ancor più giustamente, con la solidarietà economica. Come per le armi, bisognerà prevedere: le armi consentono intrecci perversi con droga e criminalità organizzata, ma le ricostruzioni sono il primo business dei dopoguerra: il paese non ha fama di incorruttibilità e anche Zelinsky ha smontato mezzo governo per scandali sulle spese militari, ma la mafia italiana deve essere già lì. Pensiamoci fin d’ora. A meno che non si scelga un altro anno di guerra.

    La democrazia, essendo il regime più fragile di tutti, non può essere violenta. Non è clericalismo cattolico: infatti dal punto di visto cristiano si potrebbe criticare perfino la guerra difensiva. E’ una conquista successiva alla fine seconda guerra mondiale: la filosofia della nonviolenza.  Anche Paolo VI nel 1973 quando fu firmato l’armistizio che pose fine alla guerra del Vietnam ebbe e recriminare le guerre, vinte e perse: “il conflitto sarebbe potuto finire otto anni prima… Siate sicuri che noi condividiamo le pene, così pure le speranze e le  aspirazioni dei  vietnamiti”. Stenta ad estendersi e non affascina i politici perché il costume onora oltre il dovuto la competizione, le sfide, le prove di forza, caratteri che comportano non progresso e benessere, ma spreco di risorse umane e conflittualità e nemmeno lo sport si salva dalla guerra delle “curve”. L’Ucraina ha una legge che riconosce l’obiezione di coscienza, sospesa perché vige lo stato d’assedio e la mobilitazione è generale. Ma il Movimento Nonviolento ne riceve i documenti di opposizione alla violenza della guerra e disconoscimento dell’esasperazione nazionalista. Insegna una passione che, per chi vuole essere o diventare europeo, possiede la nobiltà patriottica della libertà di ogni casa nel rispetto delle case altrui.

    Ma cittadini europei vogliono rileggere le loro costituzioni democratiche e considerare il patrimonio culturale, sociale, economico delle istituzioni europee che fin qui hanno funzionato per unire laicamente un continente memore di storie divise e di conflitti e atrocità dovuti alle divisioni di antichi stati e imperi ritenutisi sovrani, e, rispettando le alleanze di cui sono parte attiva, non dare l’Ue in appalto alla Nato? Avete per caso letto il lungo discorso che il 7 luglio 2022 Jacinta Andern prima ministra della Nuova Zelando aveva tenuto a Sidney? “In un mondo sempre più polarizzato e conflittuale, dove le relazioni diplomatiche si fanno più dure, come perseguire una politica estera davvero indipendente? questa guerra (l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia) cambia la nozione di conflitto, è multidimensionale, produce crisi economica, logora la coesione sociale e la fiducia nelle istituzioni. I principali elementi della politica neozelandese si fondano sul senso di collettività, di cooperazione globale da rafforzare… principio di politica estera indipendente (sono i valori) dei diritti umani, dell’uguaglianza di genere, della sovranità statale e dell’azione sul clima, responsabilità che ricade su di noi. Poi, resa la mappa della Nuova Zelanda ahimè insolita la vede al centro dell’area del Pacifico: non esclude che altri possano avere interessi in quell’area, ma dobbiamo essere noi a definire le nostre priorità. E prendeva ad esempio la guerra in Europa: l’invasione di Putin senza dubbio illegale e ingiustificabile. La Russia deve essere chiamata a risponderne presso la Corte penale internazionale……non può essere la premessa di un inevitabile sviluppo in altre aree di confronto geostrategico. Jacinta andava presa in considerazione: peccato che si è dimessa. Colpa di noi donne a cui, in genere, la guerra non piace.

    Tirando la somma: davvero apriremo il secondo anno di guerra senza porre date a una strategia motivata ad una fine ragionevole?

 

P.S.: Questo è un documento individuale, non retorico (se non per la lunghezza) né sbilanciato (nego simpatie a Putin e, in Italia, al pacifista-verde Conte) e vieto ai filorussi di farne uso.

       

 

L’Avvenire dei lavoratori

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

 

L’Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigra­zione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall’Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all’estero, L’ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon­diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l’Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L’ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l’integrazione dei mi­gran­ti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all’eclissi della sinistra italiana, diamo il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appar­tiene a tutti.

 

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