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inviamo di seguito e in allegato il commento “Premium Brands: un’opportunità d’oro per il 2023” a cura di Caroline Reyl, gestore del fondo Pictet-Premium Brands di Pictet Asset Management (+ foto).
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Premium Brands: un’opportunità d’oro per il 2023
A cura di Caroline Reyl, gestore del fondo Pictet-Premium Brands di Pictet Asset Management
28.02.2023
La riapertura della Cina dopo il sollevamento delle politiche zero-Covid ha rinvigorito le prospettive per il comparto Premium Brands, dopo un 2022 a più velocità. Pricing power, domanda rigida, alta reputazione e spirito innovativo si confermano ancora fattori chiave a supporto del tema nel lungo periodo.
Cina, acquirente strategica per il comparto lusso
Il 2023 per il mercato dei beni di fascia alta si apre all’insegna della positività e la riapertura cinese è tra le prime ragioni a supporto del segmento. La decisione presa da Pechino a fine 2022 di rimuovere in brevissimo tempo le restrizioni anti-COVID ha riacceso l’interesse degli investitori verso quelle aree dell’economia più esposte alla capitale asiatica, in primis il settore del lusso. Se si guarda l’ultimo quinquennio, il 40% delle vendite dei beni di lusso è arrivato proprio dalla Cina, che tuttavia nel corso del 2022 ha registrato un rallentamento delle vendite del 15% (contro una crescita annuale che, generalmente, si è attesta al 10%). Sempre a fine 2022, l’eccesso di risparmio delle famiglie cinesi si è attestato a quasi il 20%del PIL. A beneficiare di questa riapertura dovrebbero essere non solo moda e accessori di alta fascia, ma anche cosmetica di qualità (il segmento più difensivo tra i premium brand) e articoli sportivi (con i principali player pronti ad aumentare la loro presenza mondiale, assecondare la trasformazione digitale e a costruire un legame diretto con il consumatore finale per una migliore esperienza d’acquisto).
Cresce l’appetito per i brand di qualità nel mondo
Oltre alla Cina, da attese, anche la domanda statunitense resterà resiliente e stabile per l’anno 2023, mentre l’Europa dovrebbe beneficiare dell’aumento del turismo internazionale, sebbene permanga l’incognita della guerra russa in Ucraina. Proprio la presenza dei premium brand a livello globale aiuta le aziende a bilanciare i rischi legati alle singole regioni, che possono influenzare il sentiment dei consumatori. Inoltre, guardando al lungo termine, i premium brand si affacceranno sempre più alle economie in via di sviluppo, che attraversano ora una fase di profonda transizione: il Sud-est asiatico, ad esempio, presenta una domanda in forte espansione (con una polarizzazione del mercato verso consumatori di sesso maschile e giovani), ma anche India, America Latina e Africa rappresenteranno aree di sbocco dall’alto potenziale per il futuro della strategia Premium Brands.
Vantaggi di una domanda rigida in fasi di incertezza
Il 2022 è stato un anno di test per il mercato del lusso, che ha dimostrato una buona capacità di tenuta in contesti sfidanti e di diversa natura: domanda più resiliente alle pressioni inflazionistiche, capacità di determinazione dei prezzi e la caratteristica di riserva di valore nel tempo hanno infatti supportato i ricavi delle aziende del segmento nel 2022, nonostante l’incertezza generalizzata ne abbia penalizzato le valutazioni: se guardiamo all’anno appena trascorso, il mercato luxury globale è cresciuto del 21% sfiorando quota 1.400 miliardi di euro, a fronte di corsi borsistici che hanno però segnato un -27%.
L’appetito degli acquirenti di alta qualità si è quindi mantenuto forte, diminuendo in alcuni casi, ma senza mai esaurirsi del tutto e solo per un periodo di tempo contenuto.
Storia dei marchi premium e capacità di rinnovarsi
Quando parliamo di premium brand ci riferiamo a una categoria di aziende, per lo più longeve, del commercio al dettaglio di fascia alta: da Remy Cointreau ed Hermes, fondate nel 18esimo-19esimo secolo, a Louis Vuitton, Tiffany, Shiseido e Gucci di inizio ‘900, fino a Dior, Estee Lauder e Ferrari nate nel secondo dopoguerra, seguite da nomi come Essilor Luxottica negli anni ’70. Si tratta di firme che ritroviamo all’interno della strategia Premium Brands, caratterizzate da elevata capacità di innovazione e differenziazione dei prodotti, con un’importante componente di acquisto esperienziale e postvendita. Il segmento si è inoltre concentrato negli ultimi anni nello sviluppo online, spinto dalla pandemia a differenziare la distribuzione su più canali e a investire in attività di marketing e personal branding. L’ingresso nel mondo digitale non solo ha aperto le porte a nuovi consumatori (acquirenti di ceto medio-alto cinesi lontani dalle boutique fisiche e GenZ, che potrebbe arrivare a pesare il 40% degli acquisti globali di beni di lusso, rispetto al solo 4% di oggi) ma ha anche cambiato il modo di attirare clientela, integrando pratiche di digital engagement capaci di offrire modalità di acquisto esperienziale. Alcuni marchi stanno anche sperimentando la realtà aumentata, ponendo le basi per condurre il proprio business nel metaverso.
Premium Brands: sostenibili contro il fast fashion
Gioca inoltre un ruolo fondamentale la capacità dei premium brand di raccontarsi al mercato, di trasmettere sicurezza e trasparenza nelle procedure aziendali e di affiancare all’attività core iniziative più legate all’arte, al sociale e alla filantropia, supportando talenti emergenti e aiutando in progetti umanitari.
I marchi premium rappresentano l’antitesi del “fast fashion”, grazie alla qualità e longevità dei prodotti (“le luxe c’est ce qui se répare” è tra le citazioni che risuonano in casa Hermès) e alla loro capacità di preservare e accrescere il loro valore nel tempo (circa il 6% in termini di CAGR nel periodo 2011-19). Raggiungere il livello di marchio premium implica poi un forte impegno a preservare la reputazione del nome, un’attività che richiede uno stretto controllo delle catene di approvvigionamento e della produzione ed elevati standard.
Premium Brands: tutti i trend a supporto
Dopo un periodo di peggioramento dei rating nel 2022 (dovuto anzitutto al contesto più sfidante e a una minor visibilità sulla guidance futura), il mercato potrebbe assistere a un re-rating generalizzato per le aziende di settore. A livello di utili per azione, il consenso è previsto a rialzo nel 2023 poiché la domanda cinese e il potere di determinazione dei prezzi risultano attualmente sottostimati. Infine, sebbene i multipli rimangano leggermente superiori alla media storica (P/E pari a 23,8x a fine gennaio 2023 poco sopra il livello storico di 21x) il confronto con la fase pre-Covid (pari a 25x) li rende oggi più appetibili. A livello di singoli settori, ci aspettiamo una nuova spinta per il segmento travel retail ancora inespressa, il ritorno dei viaggi di lavoro e di gruppo e una ripresa dei viaggi internazionali per ragioni anche differenti a quelle lavorative e ricreative (ad esempio, per studio, formazione o salute). Anche per i premium brand l’ambito digitale resta tra i principali motori di crescita strutturale, con una accelerazione della penetrazione del lusso online (dal 12% nel 2019 al 22% nel 2022).
Brand di lusso: le incognite di breve da monitorare
Restano comunque alcune incognite. Tra le principali, il rischio di un peggioramento della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti e nuove restrizioni che potrebbero colpire soprattutto il settore dei viaggi e del leisure. Guardando al mercato cinese più da vicino, rimane da capire che direzione vorrà prendere la politica e se i grandi patrimoni di famiglie e imprenditori resteranno all’interno della regione o si sposteranno all’estero in cerca di una maggior stabilità e libertà. A partire dallo scoppio della pandemia, Pechino ha annunciato e attuato una serie di misure che hanno colpito le grandi aziende e i grandi imprenditori con normative arbitrare via via più severe. Pechino, nell’ottica di controllare usi, costumi e consumi dei cittadini cinesi, potrebbe decidere di tassare i beni di lusso.
Complessivamente, tuttavia, la Cina ha promesso un maggior supporto alla crescita per gli investitori. Ancora, la conferma della politica di “common prosperity” perseguita da Xi dovrebbe offrire supporto ai marchi premium, aumentando la platea dei possibili consumatori.
Il Gruppo Pictet
Fondato a Ginevra nel 1805, il Gruppo Pictet è uno dei principali gestori patrimoniali e del risparmio indipendenti in Europa. Con un patrimonio gestito e amministrato che ammonta a circa 620 miliardi di euro al 31 dicembre 2022, il Gruppo è controllato e gestito da otto soci e mantiene gli stessi principi di titolarità e successione in essere fin dalla fondazione. Il Gruppo Pictet, con oltre 5.300 dipendenti, ha il suo quartier generale a Ginevra e altre sedi nei seguenti centri finanziari: Amsterdam, Barcellona, Basilea, Bruxelles, Dubai, Francoforte, Hong Kong, Londra, Losanna, Lussemburgo, Madrid, Milano, Montreal, Monaco di Baviera, Nassau, New York, Osaka, Parigi, Principato di Monaco, Roma, Shanghai, Singapore, Stoccarda, Taipei, Tel Aviv, Tokyo, Torino, Verona e Zurigo. Pictet Asset Management (“Pictet AM”) comprende tutte le controllate e le divisioni del Gruppo Pictet che svolgono attività di asset management e gestione fondi istituzionali. Fra i principali clienti si annoverano alcuni dei maggiori fondi pensione, fondi sovrani e istituti finanziari a livello mondiale.
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