2 agosto 2023, l’intervento del sindaco di Bologna Matteo Lepore nel 43° anniversario della strage alla stazione

Comune di Bologna - Ufficio Stampa

02 agosto 2023

2 agosto 2023, l’intervento del sindaco di Bologna Matteo Lepore nel 43° anniversario della strage alla stazione

Il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, è intervenuto questa mattina in Piazza Medaglie d’Oro dopo il minuto di silenzio in memoria delle vittime della strage alla stazione del 2 agosto 1980.

Di seguito il discorso pronunciato.

“Caro Paolo, cari familiari delle vittime.
In questo 43 esimo anniversario della Strage alla Stazione, come Sindaco di Bologna sono qui ad esprimervi la gratitudine della nostra città e il pieno sostegno. Senza se e senza ma.
Saluto le autorità civili e militari presenti, i tanti sindaci e amministratori venuti da ogni parte d’Italia con i loro gonfaloni e le loro fasce tricolore.
Saluto e chiedo anche a voi di salutare con un grande applauso le scuole presenti, i tanti giovani che ancora una volta hanno riempito il nostro corteo. I tanti studenti e le studentesse, e tra loro uno in particolare che saluto e ringrazio per la sua presenza con noi accanto ai familiari dandogli per il suo primo 2 agosto: Patrick Zaki. Bentornato a casa.

Cari bolognesi, il corteo di quest’anno non è solamente un cammino della memoria, ma un atto di militanza e di impegno.
Noi, siamo qui oggi in migliaia a chiedere due cose molto precise: verità e giustizia.

Purtroppo questo è il primo anno, il primo di 43 lunghi anni, senza Miriam Ridolfi. Anch’io la voglio ricordare questa nostra instancabile e preziosa Miriam.
A Miriam dobbiamo molto.
Quel giorno, Miriam era un giovane Assessora comunale di turno in una Bologna assolata e già in vacanza.
Vista l’assenza del Sindaco Zangheri, toccò infatti a lei poco più che trentenne organizzare in brevissimo tempo la presenza e la risposta del Comune a chi cercava i propri cari tra le macerie, accompagnandoli, offrendo loro il supporto necessario per tutto quanto potesse servire.
Un lavoro incessante e complicato, che valse alla nostra città la medaglia d’oro al valor civile conferita dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini.

La risposta della città di Bologna fu davvero esemplare – ha scritto Miriam, in un libro pubblicato poco prima della sua recente scomparsa – Io, che ho accolto tutti i familiari delle vittime e dei feriti e tutti gli scampati nel Centro di coordinamento istituito in Comune fin dalle 10.40 del 2 agosto, del lavoro di quei giorni ricordo soprattutto i silenzi delle famiglie, lo sgomento dei feriti più lievi e dei coinvolti, e anche l’angoscia di quanti per un caso erano scampati e di chi non avendo notizie dei propri figli temeva che fossero coinvolti.
Feci appello – scrive Miriam – alla radio perché quanti erano in vacanza contattassero i loro cari per tranquillizzarli. E poi il dolore inconsolabile, straziante e muto di chi ha dovuto riconoscere, da qualche brandello di veste o da una fede nuziale, i propri congiunti: ho vissuto direttamente il significato del lutto, quando nessuna ragione ti soccorre, quando ti domandi a vuoto perché, e sai che non si tratta né di malattia né di errore umano.
E così, i familiari delle vittime sono diventati miei familiari.
Ricordo la carezza che il presidente Pertini mi fece poco prima di affiancare il sindaco Zangheri ai funerali del 6 agosto, e il richiamo del sindaco al dovere di svolgere fino in fondo la propria parte.
Tornai a casa per la prima volta la sera del 6 agosto.
Avevo il desiderio incontenibile di abbracciare i miei figli e mia suocera Cesarina che mi aveva sostituito in quei giorni, senza lamentele, senza farmela pagare (…) così, insieme a lei, ho finalmente pianto.
Fu mia suocera a lavare e a conservare il vestito che in tutti quei giorni avevo indossato: me lo restituì molti anni dopo, prima di morire (…) e così l’ho conservato’.

A quella tragica ferita, Miriam ha deciso di dedicare la propria vita.
Direttrice del Liceo Augusto Righi, un ruolo che ha svolto in modo encomiabile, poi la sua collaborazione per le Biblioteche di Bologna, come staffetta della memoria per le scuole.
A lei probabilmente dobbiamo il fatto che da allora, di fronte ad eventi o accadimenti drammatici noi bolognesi d’istinto rispondiamo: come posso aiutare? ci sono, cosa posso fare?
Cara Miriam, a te dobbiamo molto.
Sei stata una partigiana della nostra indomabile resistenza.

Voglio qui ricordare anche un altro grande amico dei familiari delle vittime di questa e purtroppo di altre stragi italiane: il giornalista Andrea Purgatori.
Un giornalista d’inchiesta, che ci ha lasciati pochi giorni fa e tanto ha fatto per la ricerca della verità in questo Paese. A partire dalla strage di Ustica, ma non solo.
Andrea è una persona a cui Bologna deve riconoscenza.
Un cittadino che ha servito la democrazia del nostro paese, difendendolo da depistaggi e bugie delle gerarchie militari e da chi ricopriva posizioni di governo.
In questi giorni, i familiari delle vittime di Ustica ci hanno chiesto di dedicare ad Andrea Purgatori uno spazio nel giardino antistante il museo. Una richiesta alla quale come Comune di Bologna aderiamo volentieri.

Cari cittadini bolognesi, voglio porre a tutti voi una domanda.
Soprattutto voglio rivolgerla ai rappresentanti delle istituzioni che ci ascoltano, ad ogni livello.
Voglio porgere questa mia domanda anche a chi non ci vuole o non ci può ascoltare, ai rappresentanti delle istituzioni di oggi, a quelli di ieri e a quelli di domani.
Quanto valeva la vita dei nostri concittadini italiani morti per strage alla Stazione?
Ditemi, quanto valeva la distruzione della nostra amata città?
Come Sindaco e testimone di parte civile al processo mi è stata posta in un certo qual modo questa tragica domanda.
Secondo il documento “Bologna” ritrovato accuratamente ripiegato nel portafoglio di Licio Gelli, tutto questo dolore valeva 5 milioni di dollari.
5 milioni di dollari?
Era questo il prezzo che eravate disponibili a pagare?
Quanto pesano i nostri corpi, quanto pesano i nostri sogni, l’abbraccio aggrovigliato nei nostri affetti, il buio indicibile in cui avete gettato il nostro paese?
Secondo i giudici che hanno redatto la sentenza dei mandati, 5 milioni è la cifra che il mandate Licio Gelli, capo della loggia massonica P2, ha pagato per organizzare ed eseguire la strage alla Stazione di Bologna che il 2 agosto causò la morte di 85 persone e il ferimento di altre 200.

Una strage eseguita dalle principali sigle del terrorismo e dell’eversione fascista dell’epoca.
Una strage realizzata e rimasta impunita per anni grazie alle connivenze e ai depistaggi, all’interno dei servizi segreti militari e della politica italiana.

La sentenza arrivata nella primavera 2023 che i familiari delle vittime citano nel manifesto di quest’anno, mette finalmente in luce il filo nero che lega gli esecutori materiali della strage ai suoi mandanti.
La sentenza parla infatti della “prova eclatante che la strage non fu frutto dello «spontaneismo armato» di gruppi neofascisti ma attuazione di un piano nel quale i fascisti agirono di concerto con i servizi deviati o con elementi della massoneria”: parla infatti di quello che è stato definito “il documento Bologna”.

Un appunto ritrovato nel portafoglio di Licio Gelli durante il suo arresto, nel quale ci sono indicazioni e cifre pagate in prossimità della strage per pianificarla e attuarla.
Quel pezzo di carta, ricomparso quasi fortuitamente e che si trovava tra i documenti del processo sul Banco Ambrosiano, grazie alla tenacia dei familiari e a uno straordinario lavoro investigativo della Procura Generale e della Guardia di Finanza, ha collegato nomi a flussi di denaro e a precise responsabilità.
Quella di Licio Gelli e dei suoi complici e sodali che agivano nello Stato contro la democrazia.

Lo dice bene la sentenza: mandanti e finanziatori che pur non appartenendo direttamente a gruppi fascisti ne condividevano gli obiettivi antidemocratici, tipici di uno Stato autoritario e l’esclusione dalla politica delle masse popolari.
Poteri occulti egemonizzavano la vita politica del paese nel 1980, sottomettendo la politica ufficiale, costruendo un intreccio di relazioni oscure, miranti a modificare attraverso azioni clandestine ed eversive i destini del paese.
Una rete di relazioni politico-affaristiche tendenti ad assumere il controllo delle istituzioni, della finanza, dei mezzi di comunicazione, per rovesciare dall’interno l’assetto istituzionale.
Una rete che, secondo il Giudice estensore costituisce un vero e proprio: Doppio Stato.

Io vi chiedo di indossare per un momento le lenti di questa sentenza per riguardare la storia del nostro paese. Ne uscirete sconvolti.

Come nel territorio infestato dagli intrecci mafiosi non si può più distinguere lo Stato dall’Antistato, il funzionario leale alla Repubblica da quello corrotto, e così abbiamo assistito per oltre quarant’anni a un eterno processo contro le vittime. Quei familiari che invece lottavano per la verità, insieme alle parti civili, insieme alla Procura generale di Bologna.

Se siamo arrivati alla sentenza sui mandanti lo si deve unicamente al lavoro imponente che hanno portato avanti, con la partecipazione di tante figure che sono anche qui presenti oggi in piazza tra voi e che ringrazio: avvocati e giornalisti di inchiesta, che frammento dopo frammento, hanno portato elementi utili al lavoro inestimabile della Procura generale.

Ma a voi chiedo: chi ha paura della sentenza sui mandanti?

Chiediamocelo insieme.
Perché proprio a gennaio di quest’anno arriva la proposta di istituire una commissione d’inchiesta sulla violenza politica in Italia tra gli anni ‘70 e ‘80 in Italia, da parte del vicepresidente della Camera Fabio Rampelli noto esponente di spicco di Fratelli d’Italia?
Oppure, perché un mese fa viene depositata una proposta simile, con primo firmatario il parlamentare Alfredo Antoniozzi, anche lui dello stesso partito?
Tra i firmatari, anche il deputato Federico Mollicone, autore pochi giorni dopo di una interpellanza alla premier Giorgia Meloni e ai ministri dell’Interno e della Giustizia Nordio, per provare a riaprire – dopo essere stata definitivamente derubricata in sede giudiziaria – la famosa ‘pista palestinese’.
Sempre a maggio di questo anno abbiamo assistito al singolare tentativo di far saltare il processo in Corte d’Assise d’appello all’ex Nar Cavallini per la strage di Bologna, attraverso una interpretazione restrittiva di una regola processuale, come ci ha ricordato lo stesso Paolo Bolognesi. Una lettura avvallata in un primo momento anche dallo stesso ministro della Giustizia Nordio in Parlamento.

Incredibile.

Tutti tentativi che purtroppo non hanno riguardato solo la Strage del 2 agosto, ma anche Ustica, con la ricomposizione della commissione della desecretazione degli atti, cosiddetta commissione Renzi-Draghi, che ha visto l’ingresso dell’Associazione per la verità sulla strage di Ustica, vicina all’ex ministro Giovanardi, impegnata da anni a contrastare – anche qui con la fantomatica pista palestinese – gli esiti di indagini e processi.

Cari cittadini e care cittadine bolognesi, cari italiani e care italiane, sappiate che l’Amministrazione comunale di Bologna e l’Associazione delle vittime dei familiari si è opposta e continuerà ad opporsi a questi continui e nefasti tentativi di ribaltare la verità.

Noi non cederemo di un passo. E continueremo a denunciare chi intende ferire la nostra città e i nostri morti.
Sulla linea che divide la democrazia dall’eversione e dal fascismo, vecchio e nuovo, non arretreremo, al contrario risponderemo con maggior vigore e coscienza più chiara della posta in gioco.
Una posta altissima.
Per questo, a voi tutti, alle migliaia di persone presenti qui oggi in piazza chiedo di essere staffette della memoria.

Come Miriam e come i suoi studenti, generazioni e generazioni appassionate, desiderose di alimentare quella luce che ci guida nel buio.
Quella luce e quella cultura della solidarietà che allora spinsero centinaia di volontari a buttarsi nelle macerie, a scavare con le mani, a mettere a disposizione autobus, taxi, auto private, la propria vita per salvarne altre.
Quella stessa cultura della solidarietà che oggi ci permette di essere qui con la schiena diritta, noi si, con la schiena dritta, 43 anni dopo a batterci per la piena affermazione della giustizia, dei diritti umani e civili ogni qual volta essi vengano violati.
Perché la vita e la libertà di nessuno possono avere un prezzo.
E nessun prezzo può essere pagato.

Cari bolognesi, mi avvio a concludere.

Questo è il mio secondo discorso da Sindaco di Bologna in carica, come sapete il primo Sindaco nato dopo lo scoppio della bomba.
Su di me sento la responsabilità di quanto è accaduto e continua ad accadere. Anche per questo, abbiamo deciso di ospitare presso il Palazzo Comunale la sede dell’Associazione dei familiari delle vittime che in questo primo anno di attività hanno già ospitato centinaia di classi e di scuole.
Presto arriveranno anche gli archivi e il nostro Polo della memoria crescerà, dando nuova linfa al cammino che dobbiamo percorrere assieme.
Ma il nostro compito come città è ancora più grande. Spetta a noi, sí a Bologna, il compito di ravvivare quella partecipazione popolare che le bombe della strategia della tensione avrebbero voluto spegnere.

È grazie a questa partecipazione che Bologna potrà rimanere baluardo delle libertà civili, dei diritti umani e della democrazia.
Bologna città della solidarietà.
Bologna Medaglia d’oro della Resistenza e del valor civile.
Come Antigone Bologna ha sfidato il potere dando degna sepoltura ai propri morti, raccontando le loro vite.
85 morti, 85 viaggi da completare come se fossero ancora vivi, come ci ha raccontato il bellissimo film documentario “Quel dolore non è immobile” proiettato ieri sera in Piazza Maggiore da un’idea dell’Associazione dei familiari, per la regia di Giulia Giapponesi e l’idea di Cinzia Venturoli.
Quel dolore non è immobile, ha scritto Miriam Ridolfi in una delle sue ultime storie. Il suo testamento morale.

Perché come ha scritto il poeta Franco Arminio

Alla fine dei tuoi giorni
resteranno
le tue imprudenze,
più che gli indugi
resteranno
i canti.

Resteranno i canti.
I canti di Miriam, di Andrea, di Paolo, di Giulia, di Cinzia i canti dei familiari, degli studenti e delle studentesse, di chi indossa ancora dopo 43 anni un fiore bianco all’occhiello, i canti di noi tutti qui che ci siamo raccolti in questa piazza in attesa di un triplice fischio e di un silenzio infinito.

Questo lasceremo ai nostri figli i nostri canti e le nostre lotte.

Ma sicuramente un paese più giusto e un paese più vero.
Questo è solo l’inizio”.


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