da Payden & Rygel – Economie di frontiera: una strada da esplorare – Kristin Ceva

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di seguito e in allegato inviamo il commento “Economie di frontiera: una strada da esplorare” a cura di Kristin Ceva, Responsabile strategie paesi emergenti di Payden & Rygel.

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Giulia Franzoni

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Economie di frontiera: una strada da esplorare

 

  • Il debito dei mercati emergenti si è sviluppato come asset class, portando con sé un nuovo sottoinsieme di Paesi: i “mercati di frontiera”. Attualmente 38, le loro economie sono classificate secondo tre criteri: rating del credito (high yield), stato del reddito e dimensione dell’emissione
  • Dal 2020 le economie emergenti hanno affrontato diversi shock: la pandemia, l’aumento dei prezzi di generi alimentari ed energia, il rialzo dei tassi d’interesse globali. Essendo le economie emergenti di dimensioni più ridotte, ciò ha comportato un aumento dei rendimenti e un accesso più limitato ai finanziamenti denominati in dollari
  • Tre i punti a favore di investimenti in queste economie: il potenziale di diversificazione tra i 38 Paesi che ne fanno parte, la vasta differenziazione tra i debiti sovrani e, soprattutto, la capacità di sovraperformare in modo significativo i più ampi indici obbligazionari EM con pagamento in dollari
  • Per quanto riguarda i macrotrend nelle economie di frontiera, in linea di massima la crescita è più elevata, considerata la partenza da una base più piccola. Per quanto riguarda la politica monetaria, l’inflazione è più alta e gli alimenti hanno un peso maggiore nel paniere dell’IPC

 

A cura di Kristin Ceva, responsabile strategie paesi emergenti di Payden & Rygel

Milano, 29 febbraio 2024 – Uno dei punti di forza dell’esposizione al debito dei mercati emergenti è la sua diversificazione geografica. Negli ultimi 25 anni, infatti, questa asset class si è sviluppata in maniera significativa e se nel 1995, anno in cui è stato lanciato il benchmark EMBI Global (EMBIG), i Paesi che vi rientravano erano solo 8, oggi ammontano a 69. Nel tempo, un numero crescente di emittenti più piccoli e con rating high yield sono entrati a far parte dell’indice: si tratta di Paesi meno frequentati e sviluppati rispetto a Brasile, Messico, Indonesia e India. Ci riferiamo a questi Paesi come “economie di frontiera”.

Cos’è un’economia di frontiera

Per restringere questo sottoinsieme di economie, possiamo utilizzare due definizioni. La prima è di carattere tecnico e comprende i Paesi sovrani investibili inclusi nell’indice NEXGEM (Next Generation Emerging Market) di JP Morgan. In linea di massima, per essere NEXGEM, un Paese deve avere un rating high yield e costituire meno del 2% dell’indice EMBIG più ampio. Dei 69 EM presenti nell’EMBIG, 35 fanno parte dell’indice NEXGEM, pari a solo il 9,2% dei 1.200 miliardi di dollari di capitalizzazione dell’EMBIG. La seconda definizione è più olistica e include tutti i Paesi NEXGEM più le economie ad alto rendimento e a “reddito medio-basso” (secondo la definizione della Banca Mondiale). Questo allarga l’universo di tre Paesi (Egitto, Libano e Marocco), portando il numero totale a 38, tutti con emissioni di Eurobond investibili sul mercato.

Le economie di frontiera sono più piccole e meno ricche rispetto agli altri Emergenti, con un PIL medio inferiore ai 95 miliardi di dollari e in nessun caso superiore ai 500 miliardi (dati relativi al 2022). Inoltre, non possono far parte dell’Unione Europea e quindi l’indice NEXGEM è sbilanciato verso l’Africa, dove si concentra quasi il 40% degli emittenti. L’America Latina e la CEEMEA (Europa Emergente e Medio Oriente) sono rispettivamente la seconda e terza regione più rappresentata nel campione, con il 31% e il 16% dei Paesi.

Perché investire nelle economie di frontiera

Negli ultimi anni le economie emergenti sono state colpite da diversi shock: i più rilevanti sono stati la pandemia, l’inflazione e l’aumento dei costi di finanziamento delle economie avanzate. Eventi che hanno impattato negativamente le metriche economiche nella maggior parte dei Paesi, portando a un aumento dei default sovrani. Dopo la pandemia si sono contati 14 default tra i Paesi in via di sviluppo, anche se non tutti hanno coinvolto le economie di frontiera. In ogni caso, la maggior parte delle economie che hanno subito default sono di dimensioni ridotte, quindi non hanno causato un impatto sistemico sull’asset class.

 

Analizzando da vicino l’indice NEXGEM, scopriamo che questo tende a offrire rendimenti più elevati nel tempo. Dal 2001, il NEXGEM ha fornito un rendimento annuo aggiuntivo dell’1,7% rispetto all’EMBI Global, che si traduce in un rendimento annualizzato dell’8,5% rispetto al 6,8% dell’indice più ampio.

 

Diversificazione: gli investimenti nel debito di frontiera consentono di esporsi a Paesi che non si trovano facilmente in altre classi di attività. Poiché i mercati di frontiera sono più piccoli, tendono ad essere guidati maggiormente dalle dinamiche di mercato interne, con due implicazioni: in primo luogo, le valute locali di queste economie sono meno correlate agli altri mercati valutari EM; secondariamente, dal momento che questi mercati non sono così saturi di investitori internazionali, le considerazioni macro in essi possono essere più importanti dei driver globali. Tuttavia, il potenziale di rendimenti più elevati può andare a scapito della liquidità.

 

Differenziazione: prese nel loro complesso, le economie di frontiera presentano una serie di sfide, in virtù dell’eterogeneità della loro composizione. Anche se tutti questi Paesi hanno rating ad alto rendimento, alcuni (14 su 38) sono classificati BB secondo almeno un’agenzia di rating: si tratta di Paesi – per esempio Costa d’Avorio, Marocco, Paraguay, Costa Rica – meno vulnerabili al rischio di eventi esterni e con solide metriche di credito. Agli estremi dello spettro ci sono i crediti classificati come “B” e “CCC”, che potrebbero, in caso di eventi avversi, soffrire di problemi di affidabilità creditizia e cadere in difficoltà, come Ghana, Zambia, Sri Lanka e Suriname. Molti Stati si collocano tra questi due estremi: in alcuni – tra tutti, Giordania, Nigeria e Angola – i fondamentali del credito possono non essere solidi, ma al momento non sussiste un rischio elevato di insolvenza.

 

Crescita: è una delle caratteristiche che rendono le economie di frontiera attrattive per gli investitori. In media si notano tre tendenze a livello aggregato: la prima è che la loro crescita è superiore a quella dei “Paesi EM standard”, una conclusione logica perché la maggior parte di questi Paesi è più povera e, quindi, ha più strada da percorrere prima di raggiungere il pieno status di reddito medio. La seconda tendenza è meno intuitiva: guardando al 2000, si nota che la deviazione standard della crescita è pari a quella delle economie EM non di frontiera; in altre parole, nelle due economie, a fronte di un livello di crescita più elevato, si registra una volatilità simile. Il terzo trend è il più significativo in una prospettiva rivolta al futuro. Molti Paesi di frontiera sono entrati o stanno entrando nel territorio del “dividendo demografico” associato a una crescita più elevata. In particolare, il calo dei tassi di fertilità e l’aumento dei tassi di dipendenza (rapporto tra adulti e bambini e pensionati) potrebbero creare le condizioni per una maggiore crescita.

 

Inflazione e trend di politica monetaria: rispetto all’inflazione, i trend sono più sfumati. In primo luogo, negli ultimi 10 anni l’inflazione media nelle economie di frontiera è stata più elevata rispetto al resto dei Paesi Emergenti. Nel post-pandemia, i mercati di frontiera hanno risentito dello shock globale all’inflazione con un andamento simile a quello di altri Paesi Emergenti: l’inflazione globale di frontiera ha subito un’impennata nella seconda metà del 2022 prima di iniziare la sua discesa, in particolare in America Latina, Europa e Medio Oriente.

 

Osservando l’aumento dei prezzi in un qualsiasi Paese emergente, non si può prescindere dall’analisi della composizione del paniere di riferimento. Nelle economie di frontiera, la ponderazione degli alimenti, che già tende ad essere più elevata negli EM rispetto ai Paesi Sviluppati, è ancora più elevata. Il nostro campione di economie di frontiera mostra che il peso degli alimenti e delle bevande analcoliche è in media del 35,1% sul totale del paniere, contro il 25,5% delle altre economie EM. Questo perché per le popolazioni a basso reddito i generi alimentari tendono a costituire una quota maggiore dei consumi. I prezzi dei beni alimentari hanno quindi un impatto più consistente sull’inflazione dei Paesi Emergenti rispetto a quanto accade nei mercati sviluppati. Posto questo, il fatto che i prezzi degli alimenti a livello globale siano calati del 25% rispetto al picco toccato dopo la guerra in Ucraina dovrebbe esercitare una pressione al ribasso sull’inflazione di frontiera.

 

In materia di politica monetaria, in risposta allo shock inflattivo del 2022 le economie di frontiera hanno aumentato i tassi di interesse in modo aggressivo, in linea con i trend globali. È però interessante notare che la magnitudo dei rialzi è stata simile tra le economie emergenti di frontiera e non – tra 500 e 600 punti base dal minimo (gennaio 2021) al massimo. I rialzi maggiori si sono osservati nell’Africa di frontiera, in particolare in quei Paesi che stanno sperimentando instabilità finanziaria o problemi nella bilancia dei pagamenti (Ghana, Egitto, Nigeria). Al contrario, nei mercati di frontiera meno volatili (Guatemala, Marocco, Vietnam, Giamaica) gli aumenti sono stati modesti. Appena le banche centrali dei Paesi emergenti più grandi hanno iniziato ad allentare la pressione, anche alcune banche centrali di frontiera hanno avviato i tagli; i tassi di policy in circa un terzo del nostro campione di frontiera sono al di sotto dei massimi recenti.

 

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Questo materiale è stato approvato da Payden & Rygel Global Limited, società autorizzata e regolamentata dalla Financial Conduct Authority del Regno Unito, e da Payden Global SIM S.p.A., società di investimento autorizzata e regolamentata dalla CONSOB italiana.

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